Sezione Gemellaggio Artistico
SERENA PAGANI
Trattando
dei Malaspina e di Dante
al VI gemellaggio artistico tra Lerici e Filattiera
al VI gemellaggio artistico tra Lerici e Filattiera
La
dinastia dei Malaspina risale alla stirpe illustre longobarda degli Obertenghi.
Il capostipite malaspiniano fu Oberto Obizzo I, eroe della guerra arduinica,
nato sul principiare del XII secolo.[1]
Alla
famiglia Malaspina e a poche altre dell’Italia settentrionale, quelle che
svolgevano azione di mecenatismo in favore dei trovatori, e pertanto celebrate
all’interno delle canzoni trobadoriche,[2] si
deve di fatto, come intuito dal Manuguerra, «la nascita della Storia della
Lingua Italiana». Questo principio è sancito definitivamente da Dante nelle
caratteristiche indispensabili alla lingua volgare (illustre, cardinale, aulica,
curiale) per essere degna della scrittura, secondo quanto detto all’interno del
trattato latino De vulgari eloquentia.
Ecco
allora che si comprende perché si debbano considerare i Malaspina illuminati:
non tanto per il semplice gesto di accoglienza nei confronti dell’esule
fiorentino, quanto piuttosto per aver avuto l’intuizione precoce
dell’importante funzione epica trobadorica.
Oltre che amplificare il concetto dell’amore vassallatico cortese, i
trovatori si dimostrarono i «grandi testimoni nella corrente della Letteratura
Epica europea»,[3]
attraverso la Chançon de Geste e il ciclo bretone dei Cavalieri della
Tavola Rotonda, da cui D. ha tratto ispirazione per il canto di Paolo e
Francesca.
Il
primo maestro trovatore fu Guglielmo IX duca d’Aquitania (1071-1126), Conte di
Poitiers, seguito da Jaufré Rudel, il quale partecipò alla II Crociata (1147),
tematica riscontrabile nei suoi componimenti (poi tema centrale nelle canzoni
trobadoriche chanson de croisade). Come osserva M. M. ai Malaspina è riservato
il «pregio de la borsa e de la spada» (versi 121-132 dell’VIII canto
purgatoriale); dunque l’elogio per essere cavalieri. Tra poesia e cavalleria si
strinse in epoca medievale un forte legame, come dimostrato dall’Accademia
Palatina ad Aquisgrana, in cui si raffinarono gli animi dei principi.
Lo
stesso celebre motto legato ai Malaspina è di indiscussa «matrice
cavalleresca»: Sum mala spina malis, sum bona spina bonis, ovvero Sono
spina cattiva per i malvagi, sono spina buona per gli onesti. La leggenda
vuole che, intorno all’anno 540, un nobile giovinetto, Accino Marzio (da qui già
un primo collegamento a un’illustre stirpe romana), vendicò la morte del padre,
trafiggendo Teodoberto re dei Franchi, con una grossa spina di biancospino. Il
re, colto nel sonno, gridò: «Ahi! Mala spina!».
Come
confermano gli studi, è verisimile che l’origine del mito sia da far risalire
alla volontà della famiglia, giacché non se ne hanno tracce fino al XVI secolo,[4]
per poi comparire nel 1726 in uno scritto del sacerdote e storico bagnonese
Domenico Cattaneo.[5]
Ciò
nonostante l’elogio di Dante al ramo ghibellino, esplicitato nei confronti
dello spirito di Corrado il Giovane, marchese di Villafranca, potrebbe
risultare ancora smisurato:
E
io vi giuro, s’io di sopra vada,
che
la vostra gente onrata [...]
sola
va dritta e ‘l mal cammin dispregia.
(Purg
VIII 127-132)
Il nipote dell’Antico[6],
com’è noto, è uno dei soli sei personaggi di tutta la Commedia a cui
Dante riserva l’uso riverente del “voi”.[7] A
questo punto è opportuno sottolineare la sua collocazione nella valletta degli
[1] Cfr. M. MANUGUERRA, La Sapienza dei
Malaspina, comparso dapprima su «Il Porticciolo», VII/1 (2014), pp. 63-70,
poi, con piccole varianti, su «Quaderni Obertenghi», 4 (2015), pp. 49-59; M.
MANUGUERRA, Il Canto VIII del Purgatorio (o l’Inno di Dante alla Pace
Universale), in ID, Lunigiana Dantesca, Edizioni del CLSD, La Spezia, 2006,
pp. 71-98; L’esoterismo allegorico del Canto VIII del Purgatorio e il
modello dantesco della Pace Universale, su «Atrium», XI/1 (2009), pp.
57-92; I castelli malaspiniani in Lunigiana: il ramo imperiale dello “Spino
Secco” e l’orma di Dante, in «Quaderni Obertenghi», 3/2011, pp. 245-54.
[2] Cfr. M. MANUGUERRA, Una visita a
Oramala: alle origini della famiglia Malaspina, su «Lunigiana Dantesca»,
VI/42 (2008), pp. 3-4.
[3] M. MANUGUERRA, LA SAPIENZA ERMETICA
DEI MALASPINA: ULTERIORI CONSIDERAZIONI, (© Centro Lunigianese di Studi
Danteschi), p. 2.
[4] Il mito è presente per la prima volta
nell’opera del 1585 del primo biografo dei Malaspina, l’umanista aretino
Tommaso Porcacchi: Historia della origine et successione della illustrissima
famiglia Malaspina, Verona, 1585.
[5] Cfr. D. CATTANEO, Istorica
descrizione dell’insigne terra di Bagnone, Massa, Frediani, 1726
[6] Anche la maiuscola su ‘Antico’ è stata
introdotta dal Manuguerra e oggi concordemente riconosciuta dalla maggior parte
degli editori. Cfr. M. MANUGUERRA, La questione di Corrado «l’Antico»: una
maiuscola di non trascurabile importanza, su «Il Porticciolo», II/1 (2009),
pp. 35-7
‘spiriti
nobili’: dietro l’allegoria mistica dei due angeli che per mezzo di spade dalle
punte tagliate scacciano il serpente, D. desidera eleggere i Malaspina quali
esponenti della filosofia di Pace Universale.
La divisione
del casato risale al 1221, per opera di Corrado l’Antico,[8]
con la conseguente bipartizione dei due Stemmi e il trasferimento dell’intera
corte in Lunigiana, dalla rocca di Oramala. Lo Spino Secco (quello dell’Antico)
rappresentò fin da subito il ramo ghibellino del casato.[9]
La
scelta del soggetto dello stemma, il ramo di biancospino fiorito e secco, non
sarebbe quindi per nulla casuale; la pianta cela infatti l’argomento di una
delle più importanti tenzoni poetiche fra i trovatori del tempo, incentrata
specificatamente sulle figlie dello stesso Corrado, cantate come muse nelle
liriche: Beatrice e Selvaggia. [10]
Il
primo richiamo al biancospino è contenuto nella terza cobbola della canzone Ab
la douzor del temps novel, del trovatore Guglielmo IX d’Aquitania:
Così
va il nostro amore,
come
il ramo dello spino:
sta
dritto tutta notte
nella
pioggia e nel gelo,
domani
il sole scalda
la
foglia verde e i rami.
Ma la
pianta cara ai trovatori è ricordata anche nella prima cobbola della canzone Lanquan
li jorn son lonc en mai opera di un altro grande cantore, Jaufre Rudel:
il
canto e il ramo in fiore dello spino
non
amo più dell’inverno di ghiaccio.
I rami
secco e in fiore, riconducibili alle due sorelle, rappresentano le parti
ghibellina e guelfa di un unico casato, le quali non si oppongono, ma si
completano, secondo l’idea della Pace Universale, suggellata da D. nella Monarchia.
Si comprende a questo punto come il poeta riconosca a Corrado il Giovane e alla
sua gente il primato di avere concepito un tale sublime concetto.[11]
Trattando
il tema di Dante e della Lunigiana e trovandoci a Lerici, occorre accennare,
anche se solo brevemente, al punto in cui il poeta fa menzione della città assieme
alla località francese La Turbie, nell’itinerario con cui si confronta
la salita all’erta del Purgatorio.
Tra Lerice e Turbìa, la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole ed aperta.
(Pur iii 49-51)
Secondo quanto dimostrato, ancora da M. M., i
luoghi citati, benché intendano descrivere la costa frastagliata marittima
ligure, corrispondono invece al percorso dell’entroterra, ossia la Via dei
Monti Liguri.[12]
L’intuizione risalirebbe a una particolare lettura, risalente agli anni ’70,
della Tabula Peutingeriana,[13]
del
[7] Per l’unicità dell’elogio, cfr. M.
MANUGUERRA, Purgatorio VIII: il Colloquio di Dante con Corrado Malaspina il
Giovane, marchese di Villafranca, Lectura Dantis, Villafranca in Lunigiana,
antica navata della chiesina di S. Niccolò in Malnido, 21 giugno 2003, su
LD, 6 (2003), pp. 6-11.,alla p. 10.
[8] L’atto notarile della divisione è datato
28 agosto 1221
[9] Cfr. C. . PALANDRANI, Dante, i
Malaspina e la Val di Magra, Comitato “Lunigiana Dantesca 2006”, Massa,
Alberto Ricciardi Editore, 2005, p. 45.
[10] Il concetto ben spiegato da Manuguerra e
da C. LANZI, in Minnesänger – La Guerra e l’Amore, in *Amorosa Sapienza, Simmetria
Edizioni, Roma, 2011, pp. 25-46, alla p. 28-29, qui solo accennato verrà
ripreso, in parte, più avanti.
[11] Cfr.
M. MANUGUERRA, Il ‘Colloquio’ di Pur VIII: la Lunigiana di Dante tra
politica e ospitalità, su LD, 16 (2004), pp. 1-9 (Atti del Convegno ‘Il
ruolo della Lunigiana nella formazione politica di Dante’, in onore di Carlo
Dolcini, Mulazzo, 1 maggio 2004); M. MANUGUERRA, Dante e la Lunigiana,
Edizioni Luna Nova, Sarzana, 2002, pp. 13-4
[12] Il riferimento, collegandosi alla
Lunigiana Storica, è da indicarsi con la zona del Muzzerone, dove si trova
l’omonimo Orrido, posto tra Portovenere e i vinali di Tramonti. Cfr. M.
MANUGUERRA,
[13] La più antica testimonianza della viabilità
dell'Impero Romano a noi pervenuta. Trattasi di una pergamena di 6,80 metri
suddivisa in dodici fogli (di cui il primo è andato perduto) da ritenersi con
sufficiente sicurezza una copia
ricercatore massese
Ferruccio Egori, che M. riscopre, ritenendola corretta rispetto ai precedenti
studi.[14] È verisimile ritenere che ancora nel XIV
secolo la definizione geografica dell’arco ligure sia quella della Tabula
Peutingeriana, ossia quella della cartografia romano-imperiale;[15] a
suggello di ciò rimane un analogo tracciato, ripercorso nientemeno che dal
Petrarca, in cui ancora compaiono due località con i toponimi originari (Il
nostro Capo Corvo , e il Porto
Erculeo, l’attuale Principato di Monaco).[16]
In ultima istanza, libera
da ogni servile encomio, mi permetto di ringraziare colei che, a mio avviso,
rappresenta un verde virgulto della nostra cultura lunigianese: la
professoressa Ezia Capua. Il suo animo gentile, la sua fede, la sua humanitas
e la multiforme predisposizione del suo ingegno all’arte, correlati alla
dolcezza femminile hanno dato vita a questo incontro, che non è semplicemente
un gemellaggio culturale, ma una riproposta di quel concetto di Pace
Universale, tanto cara al casato malaspiniano e al sommo poeta.
Il mio augurio, oggi, ha
il colore fresco dell’erbetta del castello degli Spiriti Magni, quello stesso
verde della veste degli angeli dell’VIII canto purgatoriale, perché sia il
segno di una speranza futura, che mai deve venire meno, ma sempre risorgere
dalle ceneri, anche quando sembra impossibile. La speranza di un mondo
rinnovato dall’Amore divino, nonostante il serpente insidioso che è sempre in
agguato, ma che è subito cacciato dalle spade tagliate dei due angeli messi a
guardia.
romana di epoca imperiale,
precisamente una carta itineraria militare databile attorno al 190 d.C.
Disegnata secondo tradizione a Colmar, in Alsazia, da un frate domenicano nel
1265, fu scoperta nel 1507 dall'umanista viennese Celtis e quindi ceduta per la
pubblicazione all'editore-antiquario tedesco Konrad Peutinger, da cui assunse
la denominazione. Pubblicata completa soltanto nel 1598, la Tabula è oggi
conservata presso la Hofbibliothek in Vienna. Un copia è presente nella
Biblioteca “U. Mazzini” della Spezia. I fogli di competenza lunigianese sono il
II e il III.
[14] Cfr. E. Silvestri,
cit., nota 62, p. 98. Il riferimento è valido anche per l’edizione
dell’82, in cui l’analisi era già comparsa. Per la prima volta si veda ID, L’equivoco
di Boron, su “La Nazione”, ed. La Spezia, 25 ottobre 1978. Soltanto in
seguito uscì la memoria del formulatore della tesi: F. Egori, L’equivoco di Boron, su «Le Apuane», III
(5), 1983, pp. 57-64; in essa si riporta il testo completo dell’omonimo
articolo del Silvestri.
[15] A. ZOLLINO, La Spezia e le Apuane.
Biografia, cultura e poesia tra «L'alpe e il mare» di 'Alcione', in «Terre,
città, paesi nella vita e nell'arte di Gabriele D'Annunzio», II-III (Toscana,
Emilia Romagna, Umbria e Francia), Atti del XXIV Convegno Internazionale,
Firenze-Pisa, 7-10 maggio 1997, pp. 523-39, alle pp. 531-2.
[16] F.
Petrarca, Familiarium rerum libri, XVII 4, 5.
SERENA
PAGANI – Dopo la maturità
classica conseguita con il massimo dei voti al Liceo Classico Vescovile di
Pontremoli, consegue la laurea magistrale in Lingua e Letteratura Italiana,
presso l’Università di Pisa, per la quale oggi svolge attività di ricerca in
ambito italianistico (l’oggetto di studio specifico è la fortuna secolare del personaggio della Pia dantesca in tutte le forme
d’arte). Attualmente è Vicedirettrice della Rivista «Lunigiana Dantesca»
PUBBLICAZIONI:
SERENA
PAGANI, La Pia: leggenda romantica di Bartolomeo Sestini. Edizione critica e
commentata a cura di Serena Pagani, “Edizioni dell’Assemblea”, Consiglio
regionale della Toscana, Dicembre 2015.
SERENA PAGANI, La vita quotidiana nel
Quattrocento lunigianese: studio linguistico e lessicale sul memoriale di
Giovanni Antonio da Faye, in «Studi Lunigianesi» Voll. XLIV- XLV (Anno XLIV-XLV
2014-1015), volume curato da Mattia Maffei, per l’Associazione «Manfredo
Giuliani» per le ricerche storiche e etnografiche della Lunigiana, Villafranca
Lunigiana, Settembre 2015, pp. 71-110.
SERENA
PAGANI, «Ricorditi di me». Pia de’ Malavolti e Nello de’ Pannocchieschi
(“Purgatorio” V, 130-136), in «Italianistica» anno XLIV, n.2, maggio-agosto
2015, pp.131-148.
SERENA
PAGANI, La Centralità di Pur V nell’Antipurgatorio (Lectura
Dantis), in «Lunigiana Dantesca» (ANNO XIII n. 109– 2015), scaricabile su:
http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA
PAGANI, Dai Poemi Conviviali di Giovanni Pascoli: ‘La Buona Novella, In
Oriente’, in «Lunigiana Dantesca», (ANNO XII, n. 100 – 2014), scaricabile su:
http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA
PAGANI, Dante nella Cappella Sistina, in «Lunigiana Dantesca», voll. n. 100
(ANNO XII, n. 100 – 2014), scaricabile
su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA
PAGANI, Gli Argonauti – Dai Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, in
«Lunigiana Dantesca», (ANNO XIII, N. 101 – 2015), scaricabile su:
http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA
PAGANI, Dai Poemi Conviviali di Giovanni Pascoli, “La Buona Novella –
II – In Occidente”, (ANNO XIII, n.102 -2015), scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA
PAGANI, Il pianto della Madonna di Jacopone da Todi, in «Lunigiana Dantesca»,
(ANNO XIII, n. 104 -2015), scaricabile su:
http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA
PAGANI, “La Beca da Dicomano” di Luigi Pulci nella tradizione rusticale, in
«Lunigiana Dantesca», (ANNO XIII n. 104- 2015) scaricabile su:
http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA
PAGANI, Caravaggio a Malta e le commissioni di Ippolito Malaspina, in «Lunigiana
Dantesca», (ANNO XIII n. 111- 2015) scaricabile su:
http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA
PAGANI, La voce dei magi: ‘Siamo venuti per adorarlo’, in «Lunigiana
Dantesca», (ANNO XIV n. 113- 2016) scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA
PAGANI, La Resurrezione, dagli Inni Sacri manzoniani, in «Lunigiana Dantesca»,
(ANNO XIV n. 115- 2016) scaricabile su:
http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA
PAGANI, Cervantes, 400 anni dopo, in «Lunigiana Dantesca», (ANNO XIV n. 119-
2016) scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
RECENSIONI
E SCHEDE
GIUSEPPE
INDIZIO, Problemi di biografia dantesca (SERENA PAGANI), in «Italianistica»
anno XLIV, n.1, gennaio-aprile 2015 pp. 204-208
SERGIO
CHIERICI. Lievi canti dell’anima, (SERENA PAGANI), in «Lunigiana Dantesca»,
(ANNO XIV n. 114 – 2016) Scaricabile su:
http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
ASSOCIAZIONI CULTURALI
Membro
attivo dell’ASSOCIAZIONE «MANFREDO GIULIANI» PER LE RICERCHE STORICHE E
ETNOGRAFICHE DELLA LUNIGIANA.
Membro
attivo del CENTRO LUNIGIANESE DI STUDI DANTESCHI.
Soprano corista e solista nel cori: Ars Antiqua di Villafranca e Coro Schola cantorum S. Nicolao di Bagnone,
nonché attrice di teatro
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MICHELE MORONI
DANTE
Dante con Omero, Virgilio, Shakespeare,
Goethe, Rabelais per citare solo alcuni della manciata, esigua purtroppo, delle
nobili penne dall ‘eccelso pensiero è, di diritto, assunto nell ‘Olimpo della
storia delle letterature.
Cio’ lo rende incondizionatamente,
discusso, amato, criticato ed osannato tanto da avere una scia di seguaci da
ambo le sponde.
Dante rompe il silenzio del segreto quasi
imposto, non detto ma palese, dettato dalla scolastica, quella stessa dei suoi
maestri come Bonaventura, Tommaso d ‘Aquino, Agostino, e dona la facolta’ di
ricercare la conoscenza. Non solo per letterati ed istruiti ma apre la via al
sapere alla nuova società nascente, quella che conosceva non il latino ma il
ridicolo ed inutile latinorum ecclesiastico, infondendogli la brama di sapere e
di conoscere. A questo scopo scrive un trattato in volgare, il Convivio, perché
è proprio “a quella mensa dove lo pane de li angeli si manduca” che tutti, dal
nobile al contadino, ci si siede e dove “lo pane de li angeli” non è altro,
appunto, che la conoscenza.
Dante nato in una famiglia della piccola
nobiltà fiorentina riesce ad istruirsi nelle 7 arti, in poesia, in diritto per
poi riuscire ad entrare in politica occupando cariche pubbliche (ambasciatore
di Firenze presso il Papa Bonificio VIII ad esempio oppure durante l ‘esilio
ravennate a Venezia) tramite la gilda dei medici e speziali. Oltre ad uno
spiccato spirito critico, che dimostrerà apertamente nella Commedia, Dante è
teso fin dal principio ad una politica equa e giusta, portata avanti con la
migliore retorica greco-latina ma in lingua volgare, e per innalzare il volgare
a lingua discendente e continuativa del latino scrive il primo trattato di
filologia “moderna”, ancora insuperabile pietra miliare per lo studio di questa
materia.
Fin da subito il suo sguardo e il suo
pensiero politico-letterario lo applicò al rinnovamento del concetto latino di
CIVITAS sommando gli ideali civili e morali dell ‘antica Roma alla spiritualità
della Roma cristiana. Questa intuizione prende corpo e forma nel distinguere
Filosofia e Teologia e la esporrà ampliamente nel Monarchia, dove delinea in
modo esplicito e netto la separazione del potere temporale dal potere
spirituale pur accumunandoli alla sola matrice divina. E’ proprio nel Monarchia
che Dante esce dai ferrei schemi di segretezza della scolastica affiancandovi
il suo studio di Aristotele rivisitato da Averroè, ponendo la divisione
sistematica dei poteri, anche se, e non poteva assolutamente farne a meno, il
potere temporale imperiale è bene che segua quella REMEDIUM PECCATI estrapolata
dalla profonda conoscenza dell ‘opera e il pensiero agostiniani. Una
separazione che, purtroppo, non è ancora stata attuata.
Convivio, Rime, Vita nuova, De vulgari
eloquentia, Egloghe, Epistole, infine Questio de aqua et de terra trovano la
loro somma di concetti e pensieri confluendo proprio nella Commedia. Nella
Commedia Dante ha modo e libertà di infondere tutto se stesso, la vita, la
poesia, l ‘amor cortese, la filosofia, la politica, la scienza, persino un
simbolismo esoterico tanto da farlo pensare un iniziato ai misteri (Eleusi,
Caldiaci, Ermetici etc. etc. etc. per esempio), se non addirittura esserne un
Maestro, che ciò sia vero o no c’è sicuramente in Dante una sublimazione
concettuale del mistero e del simbolo in tutto il percorso della Commedia.
Il percorso della Commedia è un percorso
dove tempo e luogo trascendono l ‘umana concezione, un tempo circolare con
luoghi e scenari iperbolici. Un percorso lungo tre meravigliose cantiche nelle
quali Dante infonde tutto il suo sapere, la sua conoscenza, il suo pensiero, ma
tutto ciò, e torno a ripetermi, non per letterati, filosofi, politici e poeti
addetti ai lavori ma per chiunque sia assetato di sapere e di conoscenza.
Quella conoscenza tenuta nascosta, poiché
conoscenza è uno dei migliori sinonimi di libertà, giustizia, uguaglianza. E’
nella Commedia che Dante esalta tutto il suo genio per il semplice fatto che
riesce nel suo obbiettivo di essere il buon maestro didascalico divulgativo.
Maestro che insegna una lingua, filosofo che divulga idee attraverso gli
antichi e tramite una perfetta translatio studi, politica con gli occhi dell
‘uomo del suo tempo cronista, osservatore e critico.
Dante è tre volte sommo, sommo poeta,
sommo filosofo, sommo politico. Ecco la ragione per la quale ancor oggi è
insuperabile.
Per la Commedia vi è oggi sicuramente un
rinnovato interesse, sia nella lettura che nel suo ascolto. Ecco allora il
sentire, ad ogni angolo letterario, meravigliosi endecasillabi enunciati dai
più disparati, o disperati, personaggi e allora, dato il mio spiccato senso e
propensione al dubbio, mi chiedo se si debba parlare di DANTISTI o più
semplicisticamente di DANTOFILI e, credetemi, tra l ‘uno e l ‘altro vi è un
abisso … abissale.
Il DANTISTA non ha bisogno di mostrarsi
recitando a memoria pubblicamente la Commedia ma se lo fa, lo fa con uno scopo
ben preciso e non è quello semplicistico di divulgarla ulteriormente. Il
dantista, tramite la commedia, tende a ri-promuovere l‘intuizione geniale di
Dante, non quella della Commedia bensì quella del Convivio poiché è lì, in
quella frase citata all ‘inizio di questo mio intervento, che il dantista trova
forza e slancio nel farlo. Quindi NON nelle ma TRA le terzine il dantista
cerca, trova e ripropone il fulcro di tutta l ‘opera dantesca, il dubbio e la
brama della ricerca della conoscenza, non ad uso personale ma ad uso
didattico-divulgativo.
Il DANTOFILO, per contro, lo vedo più come
un seguace modaiolo che impara bene la sua parte interpretandola, chi meglio
chi peggio, in occasione di divanate televisive per non o poco addetti ai
lavori che non hanno interesse alla conoscenza ma che si accontenta della
facciata modaiola da carta patinata perdendo, di conseguenza, la forza, l
‘impegno e l ‘insegnamento del genio Dante.
MICHELE MORONI (HELEMORN): Spirito libero in viaggio nato a La Spezia nel
maggio 1965. Ragioniere fallito, cantante rock e blues per hobby, pittore per
sfida, Magister Artium in Romanistica presso la TU Dresden (equipollente ad una
laurea magistrale italiana nelle seguenti tre materie, lingua e letteratura
italiana, filologia romanza e storia dell ‘arte), ex docente di lingua e
cultura italiana presso il centro linguistico di una universita‘ in Sassonia,
ex assistente alla qualita‘ in una fonderia nel pinerolese ed ancora ex
impiegato al personale di una ditta sempre nel pinerolese, attualmente
collaboratore scolastico nella provincia di La Spezia. Ha al suo attivo ho 5
pubblicazioni ( due recensioni delle quali una su una rivista specializzata in
Romanistica, un articolo sulla produzione della prima porcellana in europa a
Meissen, due racconti con lo pseudonimo, che mi rappresenta, Helemorn) e due mostre
Michele Moroni, Grazie Dini!, in: Speciale
del giornale Nuovo Modena Flash dedicato alla 58.a Fiera di Modena, Guerzoni
Editori, Nr. 2, 1996.
Michele Moroni, Dalla Cina alla Sassonia
fino ... a Sassuolo, in: Speciale del giornale Nuovo Modena Flash dedicato alla
59.a Fiera di Modena, Guerzoni Editori, Nr. 1, 1997.
Moroni Michele, Besprechung zu Vittorio
Caratozzolo/Georges Güntert (edd.), Petrarca e i suoi lettori, Ravenna, Longo,
2000; erschienen in:
Zeitschrift für romanische Philologie, Band 118(2002) 4, S.639-642.
Helemorn, L’Anarchia e‘ amore?, in: Storie
d’autore, Pagine editore, 2013
Helemorn, De Satanibus. Ovvero: Scusa Capo
posso tornare su‘?, in: Collana Autori, Pagine editore, 2012 (riduzione di un
monologo teatrale).
Partecipazione con due opere su tela alla collettiva "Poesia
, Pittura e Fotografia" in calendario dal 9 al 16 Aprile presso gli spazi
della Struttura polivalente comunale di Follo - Piazza Garibaldi curata dall
associazione culturale san martino di durasca
Esposizione con Roberta Carusio di opere presso il Bar Dolcevita
a Sarzana dal titolo “Coppia mista a colori”.
Attualmente sempre in movimento, incrosto tele con colori e a
volte parole, scrivo poesie, raccontini, saggetti, teatro (due monologhi e una
commediola), libri (uno pronto in attesa di trovare editore), ma in particolare
scrivo perché sono un terrorista del pensiero.
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DONATELLA ZANELLO
FIRENZE:
CRONACA DI UN ADDIO
Fredda cronaca di
un addio
nella pungente
mattina di marzo.
Ti voltasti, viso
senza lacrime.
Non vi era pianto
nella pioggia sottile,
soltanto lo spettro
dell’annunciato
abbandono,
evanescente, irreale,
come fumo dai comignoli
sul Lungarno.
Firenze era opaca
di nebbia, Ponte Vecchio
avvolto nella bruma
pallida e grigia
si rifletteva nei
miei occhi lucidi.
Sotto di noi
scorreva l’Arno tristemente,
fluiva come le
antiche parole di Dante divino.
Gli anni
avanzavano, opprimendo
il mio giovane
cuore, Firenze
era lo specchio
della mia anima pura,
mentre andavo
incontro, consapevole,
alla solitudine
scelta per il mio futuro.
Non vi è giustizia
nel tradimento.
Non avevo lacrime,
esse restavano
come perle trattenute tra le ciglia.
Lo sguardo era
fermo, implacabile,
sull’acqua
incessante del fiume.
L’amore non ha
radici e vola nel vento,
L’amore ha il viso
angelico – pensavo -
impresso sulle tele
degli Uffizi.
E’ un cherubino
dipinto
da Leonardo o da
Botticelli.
Firenze giaceva
maestosa
nell’ora fatale
dell’addio.
Ecco, l’amore è
solitudine – pensavo –
è solitudine e vola, nel vento.
*Donatella Zanello
*Donatella
Zanello: è nata a La Spezia dove vive e lavora. Laureata in
Lettere Moderne all’Università degli Studi di Pisa, è autrice di poesia,
narrativa e saggistica. Ha pubblicato otto raccolte di poesia: “Polvere di
Primavera”, “La donna di pietra”, “La Sognatrice”,”Passiflora”, “Il tempo
immutabile”, “Poesie Provenzali”, “Labirinti”, “Il colore del mare”. Vincitrice
di numerosi premi letterari, nel 2015 ha ricevuto il Premio Montale Fuori di
Casa Sezione Poeti Liguri per l’opera poetica. Presente in molte antologie, è
membro di giuria in premi letterari.
Il paesaggio ligure e
mediterraneo, il mare come fonte costante di ispirazione, il viaggio,
l’ecologia, la riflessione filosofica sulla condizione umana, la ricerca
spirituale come unico vero significato dell’esistenza sono i temi fondamentali
della sua vasta produzione poetica.
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