lunedì 5 settembre 2016

GEMELLAGGIO ARTISTICO TRA SAN TERENZO E FILATTIERA - " Spino secco e Spino fiorito" VI EDIZIONE - GLI ATTI

Sala Culturale CarGià - Promozione Artistica 2016
Sezione Gemellaggio Artistico







SERENA PAGANI
Trattando dei Malaspina e di Dante 
al VI gemellaggio artistico tra Lerici e Filattiera

La dinastia dei Malaspina risale alla stirpe illustre longobarda degli Obertenghi. Il capostipite malaspiniano fu Oberto Obizzo I, eroe della guerra arduinica, nato sul principiare del XII secolo.[1]
Alla famiglia Malaspina e a poche altre dell’Italia settentrionale, quelle che svolgevano azione di mecenatismo in favore dei trovatori, e pertanto celebrate all’interno delle canzoni trobadoriche,[2] si deve di fatto, come intuito dal Manuguerra, «la nascita della Storia della Lingua Italiana». Questo principio è sancito definitivamente da Dante nelle caratteristiche indispensabili alla lingua volgare (illustre, cardinale, aulica, curiale) per essere degna della scrittura, secondo quanto detto all’interno del trattato latino De vulgari eloquentia.
Ecco allora che si comprende perché si debbano considerare i Malaspina illuminati: non tanto per il semplice gesto di accoglienza nei confronti dell’esule fiorentino, quanto piuttosto per aver avuto l’intuizione precoce dell’importante funzione epica trobadorica.  Oltre che amplificare il concetto dell’amore vassallatico cortese, i trovatori si dimostrarono i «grandi testimoni nella corrente della Letteratura Epica europea»,[3] attraverso la Chançon de Geste e il ciclo bretone dei Cavalieri della Tavola Rotonda, da cui D. ha tratto ispirazione per il canto di Paolo e Francesca.
Il primo maestro trovatore fu Guglielmo IX duca d’Aquitania (1071-1126), Conte di Poitiers, seguito da Jaufré Rudel, il quale partecipò alla II Crociata (1147), tematica riscontrabile nei suoi componimenti (poi tema centrale nelle canzoni trobadoriche chanson de croisade). Come osserva M. M. ai Malaspina è riservato il «pregio de la borsa e de la spada» (versi 121-132 dell’VIII canto purgatoriale); dunque l’elogio per essere cavalieri. Tra poesia e cavalleria si strinse in epoca medievale un forte legame, come dimostrato dall’Accademia Palatina ad Aquisgrana, in cui si raffinarono gli animi dei principi.
Lo stesso celebre motto legato ai Malaspina è di indiscussa «matrice cavalleresca»: Sum mala spina malis, sum bona spina bonis, ovvero Sono spina cattiva per i malvagi, sono spina buona per gli onesti. La leggenda vuole che, intorno all’anno 540, un nobile giovinetto, Accino Marzio (da qui già un primo collegamento a un’illustre stirpe romana), vendicò la morte del padre, trafiggendo Teodoberto re dei Franchi, con una grossa spina di biancospino. Il re, colto nel sonno, gridò: «Ahi! Mala spina!».
Come confermano gli studi, è verisimile che l’origine del mito sia da far risalire alla volontà della famiglia, giacché non se ne hanno tracce fino al XVI secolo,[4] per poi comparire nel 1726 in uno scritto del sacerdote e storico bagnonese Domenico Cattaneo.[5]
Ciò nonostante l’elogio di Dante al ramo ghibellino, esplicitato nei confronti dello spirito di Corrado il Giovane, marchese di Villafranca, potrebbe risultare ancora smisurato:

E io vi giuro, s’io di sopra vada,
che la vostra gente onrata [...]
sola va dritta e ‘l mal cammin dispregia.
(Purg VIII 127-132)

Il nipote dell’Antico[6], com’è noto, è uno dei soli sei personaggi di tutta la Commedia a cui Dante riserva l’uso riverente del “voi”.[7] A questo punto è opportuno sottolineare la sua collocazione nella valletta degli



[1] Cfr. M. MANUGUERRA, La Sapienza dei Malaspina, comparso dapprima su «Il Porticciolo», VII/1 (2014), pp. 63-70, poi, con piccole varianti, su «Quaderni Obertenghi», 4 (2015), pp. 49-59; M. MANUGUERRA, Il Canto VIII del Purgatorio (o l’Inno di Dante alla Pace Universale), in ID, Lunigiana Dantesca, Edizioni del CLSD, La Spezia, 2006, pp. 71-98; L’esoterismo allegorico del Canto VIII del Purgatorio e il modello dantesco della Pace Universale, su «Atrium», XI/1 (2009), pp. 57-92; I castelli malaspiniani in Lunigiana: il ramo imperiale dello “Spino Secco” e l’orma di Dante, in «Quaderni Obertenghi», 3/2011, pp. 245-54.
[2] Cfr. M. MANUGUERRA, Una visita a Oramala: alle origini della famiglia Malaspina, su «Lunigiana Dantesca», VI/42 (2008), pp. 3-4.
[3] M. MANUGUERRA, LA SAPIENZA ERMETICA DEI MALASPINA: ULTERIORI CONSIDERAZIONI, (© Centro Lunigianese di Studi Danteschi), p. 2.
[4] Il mito è presente per la prima volta nell’opera del 1585 del primo biografo dei Malaspina, l’umanista aretino Tommaso Porcacchi: Historia della origine et successione della illustrissima famiglia Malaspina, Verona, 1585.
[5] Cfr. D. CATTANEO, Istorica descrizione dell’insigne terra di Bagnone, Massa, Frediani, 1726
[6] Anche la maiuscola su ‘Antico’ è stata introdotta dal Manuguerra e oggi concordemente riconosciuta dalla maggior parte degli editori. Cfr. M. MANUGUERRA, La questione di Corrado «l’Antico»: una maiuscola di non trascurabile importanza, su «Il Porticciolo», II/1 (2009), pp. 35-7

‘spiriti nobili’: dietro l’allegoria mistica dei due angeli che per mezzo di spade dalle punte tagliate scacciano il serpente, D. desidera eleggere i Malaspina quali esponenti della filosofia di Pace Universale.
La divisione del casato risale al 1221, per opera di Corrado l’Antico,[8] con la conseguente bipartizione dei due Stemmi e il trasferimento dell’intera corte in Lunigiana, dalla rocca di Oramala. Lo Spino Secco (quello dell’Antico) rappresentò fin da subito il ramo ghibellino del casato.[9]
La scelta del soggetto dello stemma, il ramo di biancospino fiorito e secco, non sarebbe quindi per nulla casuale; la pianta cela infatti l’argomento di una delle più importanti tenzoni poetiche fra i trovatori del tempo, incentrata specificatamente sulle figlie dello stesso Corrado, cantate come muse nelle liriche: Beatrice e Selvaggia. [10]
Il primo richiamo al biancospino è contenuto nella terza cobbola della canzone Ab la douzor del temps novel, del trovatore Guglielmo IX d’Aquitania:

Così va il nostro amore,
come il ramo dello spino:
sta dritto tutta notte
nella pioggia e nel gelo,
domani il sole scalda
la foglia verde e i rami.

Ma la pianta cara ai trovatori è ricordata anche nella prima cobbola della canzone Lanquan li jorn son lonc en mai opera di un altro grande cantore, Jaufre Rudel:

il canto e il ramo in fiore dello spino
non amo più dell’inverno di ghiaccio.

I rami secco e in fiore, riconducibili alle due sorelle, rappresentano le parti ghibellina e guelfa di un unico casato, le quali non si oppongono, ma si completano, secondo l’idea della Pace Universale, suggellata da D. nella Monarchia. Si comprende a questo punto come il poeta riconosca a Corrado il Giovane e alla sua gente il primato di avere concepito un tale sublime concetto.[11]
Trattando il tema di Dante e della Lunigiana e trovandoci a Lerici, occorre accennare, anche se solo brevemente, al punto in cui il poeta fa menzione della città assieme alla località francese La Turbie, nell’itinerario con cui si confronta la salita all’erta del Purgatorio.

Tra Lerice e Turbìa, la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole ed aperta.
(Pur iii 49-51)

Secondo quanto dimostrato, ancora da M. M., i luoghi citati, benché intendano descrivere la costa frastagliata marittima ligure, corrispondono invece al percorso dell’entroterra, ossia la Via dei Monti Liguri.[12] L’intuizione risalirebbe a una particolare lettura, risalente agli anni ’70, della Tabula Peutingeriana,[13] del





[7] Per l’unicità dell’elogio, cfr. M. MANUGUERRA, Purgatorio VIII: il Colloquio di Dante con Corrado Malaspina il Giovane, marchese di Villafranca, Lectura Dantis, Villafranca in Lunigiana, antica navata della chiesina di S. Niccolò in Malnido, 21 giugno 2003, su LD, 6 (2003), pp. 6-11.,alla p. 10.
[8] L’atto notarile della divisione è datato 28 agosto 1221
[9] Cfr. C. . PALANDRANI, Dante, i Malaspina e la Val di Magra, Comitato “Lunigiana Dantesca 2006”, Massa, Alberto Ricciardi Editore, 2005, p. 45.
[10] Il concetto ben spiegato da Manuguerra e da C. LANZI, in Minnesänger – La Guerra e l’Amore, in *Amorosa Sapienza, Simmetria Edizioni, Roma, 2011, pp. 25-46, alla p. 28-29, qui solo accennato verrà ripreso, in parte, più avanti.
[11] Cfr.  M. MANUGUERRA, Il ‘Colloquio’ di Pur VIII: la Lunigiana di Dante tra politica e ospitalità, su LD, 16 (2004), pp. 1-9 (Atti del Convegno ‘Il ruolo della Lunigiana nella formazione politica di Dante’, in onore di Carlo Dolcini, Mulazzo, 1 maggio 2004); M. MANUGUERRA, Dante e la Lunigiana, Edizioni Luna Nova, Sarzana, 2002, pp. 13-4
[12] Il riferimento, collegandosi alla Lunigiana Storica, è da indicarsi con la zona del Muzzerone, dove si trova l’omonimo Orrido, posto tra Portovenere e i vinali di Tramonti. Cfr. M. MANUGUERRA,
[13] La più antica testimonianza della viabilità dell'Impero Romano a noi pervenuta. Trattasi di una pergamena di 6,80 metri suddivisa in dodici fogli (di cui il primo è andato perduto) da ritenersi con sufficiente sicurezza una copia 

ricercatore massese Ferruccio Egori, che M. riscopre, ritenendola corretta rispetto ai precedenti studi.[14]  È verisimile ritenere che ancora nel XIV secolo la definizione geografica dell’arco ligure sia quella della Tabula Peutingeriana, ossia quella della cartografia romano-imperiale;[15] a suggello di ciò rimane un analogo tracciato, ripercorso nientemeno che dal Petrarca, in cui ancora compaiono due località con i toponimi originari (Il nostro Capo Corvo , e il Porto Erculeo, l’attuale Principato di Monaco).[16]
In ultima istanza, libera da ogni servile encomio, mi permetto di ringraziare colei che, a mio avviso, rappresenta un verde virgulto della nostra cultura lunigianese: la professoressa Ezia Capua. Il suo animo gentile, la sua fede, la sua humanitas e la multiforme predisposizione del suo ingegno all’arte, correlati alla dolcezza femminile hanno dato vita a questo incontro, che non è semplicemente un gemellaggio culturale, ma una riproposta di quel concetto di Pace Universale, tanto cara al casato malaspiniano e al sommo poeta.
Il mio augurio, oggi, ha il colore fresco dell’erbetta del castello degli Spiriti Magni, quello stesso verde della veste degli angeli dell’VIII canto purgatoriale, perché sia il segno di una speranza futura, che mai deve venire meno, ma sempre risorgere dalle ceneri, anche quando sembra impossibile. La speranza di un mondo rinnovato dall’Amore divino, nonostante il serpente insidioso che è sempre in agguato, ma che è subito cacciato dalle spade tagliate dei due angeli messi a guardia.   
  



romana di epoca imperiale, precisamente una carta itineraria militare databile attorno al 190 d.C. Disegnata secondo tradizione a Colmar, in Alsazia, da un frate domenicano nel 1265, fu scoperta nel 1507 dall'umanista viennese Celtis e quindi ceduta per la pubblicazione all'editore-antiquario tedesco Konrad Peutinger, da cui assunse la denominazione. Pubblicata completa soltanto nel 1598, la Tabula è oggi conservata presso la Hofbibliothek in Vienna. Un copia è presente nella Biblioteca “U. Mazzini” della Spezia. I fogli di competenza lunigianese sono il II e il III.
[14] Cfr. E. Silvestri, cit., nota 62, p. 98. Il riferimento è valido anche per l’edizione dell’82, in cui l’analisi era già comparsa. Per la prima volta si veda ID, L’equivoco di Boron, su “La Nazione”, ed. La Spezia, 25 ottobre 1978. Soltanto in seguito uscì la memoria del formulatore della tesi: F. Egori, L’equivoco di Boron, su «Le Apuane», III (5), 1983, pp. 57-64; in essa si riporta il testo completo dell’omonimo articolo del Silvestri.
[15] A. ZOLLINO, La Spezia e le Apuane. Biografia, cultura e poesia tra «L'alpe e il mare» di 'Alcione', in «Terre, città, paesi nella vita e nell'arte di Gabriele D'Annunzio», II-III (Toscana, Emilia Romagna, Umbria e Francia), Atti del XXIV Convegno Internazionale, Firenze-Pisa, 7-10 maggio 1997, pp. 523-39, alle pp. 531-2.
[16] F. Petrarca, Familiarium rerum libri, XVII 4, 5.
                                                                  
                                                                  
SERENA PAGANI – Dopo la maturità classica conseguita con il massimo dei voti al Liceo Classico Vescovile di Pontremoli, consegue la laurea magistrale in Lingua e Letteratura Italiana, presso l’Università di Pisa, per la quale oggi svolge attività di ricerca in ambito italianistico (l’oggetto di studio specifico è la fortuna secolare del personaggio della Pia dantesca in tutte le forme d’arte). Attualmente è Vicedirettrice della Rivista «Lunigiana Dantesca»
PUBBLICAZIONI:
SERENA PAGANI, La Pia: leggenda romantica di Bartolomeo Sestini. Edizione critica e commentata a cura di Serena Pagani, “Edizioni dell’Assemblea”, Consiglio regionale della Toscana, Dicembre 2015.
 SERENA PAGANI, La vita quotidiana nel Quattrocento lunigianese: studio linguistico e lessicale sul memoriale di Giovanni Antonio da Faye, in «Studi Lunigianesi» Voll. XLIV- XLV (Anno XLIV-XLV 2014-1015), volume curato da Mattia Maffei, per l’Associazione «Manfredo Giuliani» per le ricerche storiche e etnografiche della Lunigiana, Villafranca Lunigiana, Settembre 2015, pp. 71-110.
SERENA PAGANI, «Ricorditi di me». Pia de’ Malavolti e Nello de’ Pannocchieschi (“Purgatorio” V, 130-136), in «Italianistica» anno XLIV, n.2, maggio-agosto 2015, pp.131-148.
SERENA PAGANI, La Centralità di Pur V nell’Antipurgatorio (Lectura Dantis), in «Lunigiana Dantesca» (ANNO XIII n. 109– 2015), scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA PAGANI, Dai Poemi Conviviali di Giovanni Pascoli: ‘La Buona Novella, In Oriente’, in «Lunigiana Dantesca», (ANNO XII, n. 100 – 2014), scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA PAGANI, Dante nella Cappella Sistina, in «Lunigiana Dantesca», voll. n. 100 (ANNO XII, n. 100 –  2014), scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA PAGANI, Gli Argonauti – Dai Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, in «Lunigiana Dantesca», (ANNO XIII, N. 101 – 2015), scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA PAGANI, Dai Poemi Conviviali di Giovanni Pascoli, “La Buona Novella – II – In Occidente”, (ANNO XIII, n.102 -2015), scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA PAGANI, Il pianto della Madonna di Jacopone da Todi, in «Lunigiana Dantesca», (ANNO XIII, n. 104 -2015), scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA PAGANI, “La Beca da Dicomano” di Luigi Pulci nella tradizione rusticale, in «Lunigiana Dantesca», (ANNO XIII n. 104- 2015) scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA PAGANI, Caravaggio a Malta e le commissioni di Ippolito Malaspina, in «Lunigiana Dantesca», (ANNO XIII n. 111- 2015) scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA PAGANI, La voce dei magi: ‘Siamo venuti per adorarlo’, in «Lunigiana Dantesca», (ANNO XIV n. 113- 2016) scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA PAGANI, La Resurrezione, dagli Inni Sacri manzoniani, in «Lunigiana Dantesca», (ANNO XIV n. 115- 2016) scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
SERENA PAGANI, Cervantes, 400 anni dopo, in «Lunigiana Dantesca», (ANNO XIV n. 119- 2016) scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
RECENSIONI E SCHEDE
GIUSEPPE INDIZIO, Problemi di biografia dantesca (SERENA PAGANI), in «Italianistica» anno XLIV, n.1, gennaio-aprile 2015 pp. 204-208
SERGIO CHIERICI. Lievi canti dell’anima, (SERENA PAGANI), in «Lunigiana Dantesca», (ANNO XIV n. 114 – 2016) Scaricabile su: http://www.lunigianadantesca.it/bollettino-dantesco/
ASSOCIAZIONI CULTURALI
Membro attivo dell’ASSOCIAZIONE «MANFREDO GIULIANI» PER LE RICERCHE STORICHE E ETNOGRAFICHE DELLA LUNIGIANA.
Membro attivo del CENTRO LUNIGIANESE DI STUDI DANTESCHI.
Soprano corista e solista nel cori: Ars Antiqua di Villafranca e  Coro Schola cantorum S. Nicolao di Bagnone, nonché attrice di teatro

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MICHELE MORONI

DANTE
Dante con Omero, Virgilio, Shakespeare, Goethe, Rabelais per citare solo alcuni della manciata, esigua purtroppo, delle nobili penne dall ‘eccelso pensiero è, di diritto, assunto nell ‘Olimpo della storia delle letterature.
Cio’ lo rende incondizionatamente, discusso, amato, criticato ed osannato tanto da avere una scia di seguaci da ambo le sponde.
Dante rompe il silenzio del segreto quasi imposto, non detto ma palese, dettato dalla scolastica, quella stessa dei suoi maestri come Bonaventura, Tommaso d ‘Aquino, Agostino, e dona la facolta’ di ricercare la conoscenza. Non solo per letterati ed istruiti ma apre la via al sapere alla nuova società nascente, quella che conosceva non il latino ma il ridicolo ed inutile latinorum ecclesiastico, infondendogli la brama di sapere e di conoscere. A questo scopo scrive un trattato in volgare, il Convivio, perché è proprio “a quella mensa dove lo pane de li angeli si manduca” che tutti, dal nobile al contadino, ci si siede e dove “lo pane de li angeli” non è altro, appunto, che la conoscenza.
Dante nato in una famiglia della piccola nobiltà fiorentina riesce ad istruirsi nelle 7 arti, in poesia, in diritto per poi riuscire ad entrare in politica occupando cariche pubbliche (ambasciatore di Firenze presso il Papa Bonificio VIII ad esempio oppure durante l ‘esilio ravennate a Venezia) tramite la gilda dei medici e speziali. Oltre ad uno spiccato spirito critico, che dimostrerà apertamente nella Commedia, Dante è teso fin dal principio ad una politica equa e giusta, portata avanti con la migliore retorica greco-latina ma in lingua volgare, e per innalzare il volgare a lingua discendente e continuativa del latino scrive il primo trattato di filologia “moderna”, ancora insuperabile pietra miliare per lo studio di questa materia.
Fin da subito il suo sguardo e il suo pensiero politico-letterario lo applicò al rinnovamento del concetto latino di CIVITAS sommando gli ideali civili e morali dell ‘antica Roma alla spiritualità della Roma cristiana. Questa intuizione prende corpo e forma nel distinguere Filosofia e Teologia e la esporrà ampliamente nel Monarchia, dove delinea in modo esplicito e netto la separazione del potere temporale dal potere spirituale pur accumunandoli alla sola matrice divina. E’ proprio nel Monarchia che Dante esce dai ferrei schemi di segretezza della scolastica affiancandovi il suo studio di Aristotele rivisitato da Averroè, ponendo la divisione sistematica dei poteri, anche se, e non poteva assolutamente farne a meno, il potere temporale imperiale è bene che segua quella REMEDIUM PECCATI estrapolata dalla profonda conoscenza dell ‘opera e il pensiero agostiniani. Una separazione che, purtroppo, non è ancora stata attuata.
Convivio, Rime, Vita nuova, De vulgari eloquentia, Egloghe, Epistole, infine Questio de aqua et de terra trovano la loro somma di concetti e pensieri confluendo proprio nella Commedia. Nella Commedia Dante ha modo e libertà di infondere tutto se stesso, la vita, la poesia, l ‘amor cortese, la filosofia, la politica, la scienza, persino un simbolismo esoterico tanto da farlo pensare un iniziato ai misteri (Eleusi, Caldiaci, Ermetici etc. etc. etc. per esempio), se non addirittura esserne un Maestro, che ciò sia vero o no c’è sicuramente in Dante una sublimazione concettuale del mistero e del simbolo in tutto il percorso della Commedia.
Il percorso della Commedia è un percorso dove tempo e luogo trascendono l ‘umana concezione, un tempo circolare con luoghi e scenari iperbolici. Un percorso lungo tre meravigliose cantiche nelle quali Dante infonde tutto il suo sapere, la sua conoscenza, il suo pensiero, ma tutto ciò, e torno a ripetermi, non per letterati, filosofi, politici e poeti addetti ai lavori ma per chiunque sia assetato di sapere e di conoscenza.
Quella conoscenza tenuta nascosta, poiché conoscenza è uno dei migliori sinonimi di libertà, giustizia, uguaglianza. E’ nella Commedia che Dante esalta tutto il suo genio per il semplice fatto che riesce nel suo obbiettivo di essere il buon maestro didascalico divulgativo. Maestro che insegna una lingua, filosofo che divulga idee attraverso gli antichi e tramite una perfetta translatio studi, politica con gli occhi dell ‘uomo del suo tempo cronista, osservatore e critico.
Dante è tre volte sommo, sommo poeta, sommo filosofo, sommo politico. Ecco la ragione per la quale ancor oggi è insuperabile.
Per la Commedia vi è oggi sicuramente un rinnovato interesse, sia nella lettura che nel suo ascolto. Ecco allora il sentire, ad ogni angolo letterario, meravigliosi endecasillabi enunciati dai più disparati, o disperati, personaggi e allora, dato il mio spiccato senso e propensione al dubbio, mi chiedo se si debba parlare di DANTISTI o più semplicisticamente di DANTOFILI e, credetemi, tra l ‘uno e l ‘altro vi è un abisso … abissale.
Il DANTISTA non ha bisogno di mostrarsi recitando a memoria pubblicamente la Commedia ma se lo fa, lo fa con uno scopo ben preciso e non è quello semplicistico di divulgarla ulteriormente. Il dantista, tramite la commedia, tende a ri-promuovere l‘intuizione geniale di Dante, non quella della Commedia bensì quella del Convivio poiché è lì, in quella frase citata all ‘inizio di questo mio intervento, che il dantista trova forza e slancio nel farlo. Quindi NON nelle ma TRA le terzine il dantista cerca, trova e ripropone il fulcro di tutta l ‘opera dantesca, il dubbio e la brama della ricerca della conoscenza, non ad uso personale ma ad uso didattico-divulgativo.
Il DANTOFILO, per contro, lo vedo più come un seguace modaiolo che impara bene la sua parte interpretandola, chi meglio chi peggio, in occasione di divanate televisive per non o poco addetti ai lavori che non hanno interesse alla conoscenza ma che si accontenta della facciata modaiola da carta patinata perdendo, di conseguenza, la forza, l ‘impegno e l ‘insegnamento del genio Dante.

MICHELE MORONI (HELEMORN): Spirito libero in viaggio nato a La Spezia nel maggio 1965. Ragioniere fallito, cantante rock e blues per hobby, pittore per sfida, Magister Artium in Romanistica presso la TU Dresden (equipollente ad una laurea magistrale italiana nelle seguenti tre materie, lingua e letteratura italiana, filologia romanza e storia dell ‘arte), ex docente di lingua e cultura italiana presso il centro linguistico di una universita‘ in Sassonia, ex assistente alla qualita‘ in una fonderia nel pinerolese ed ancora ex impiegato al personale di una ditta sempre nel pinerolese, attualmente collaboratore scolastico nella provincia di La Spezia. Ha al suo attivo ho 5 pubblicazioni ( due recensioni delle quali una su una rivista specializzata in Romanistica, un articolo sulla produzione della prima porcellana in europa a Meissen, due racconti con lo pseudonimo, che mi rappresenta,  Helemorn) e due mostre
Michele Moroni, Grazie Dini!, in: Speciale del giornale Nuovo Modena Flash dedicato alla 58.a Fiera di Modena, Guerzoni Editori, Nr. 2, 1996.
Michele Moroni, Dalla Cina alla Sassonia fino ... a Sassuolo, in: Speciale del giornale Nuovo Modena Flash dedicato alla 59.a Fiera di Modena, Guerzoni Editori, Nr. 1, 1997.
Moroni Michele, Besprechung zu Vittorio Caratozzolo/Georges Güntert (edd.), Petrarca e i suoi lettori, Ravenna, Longo, 2000;  erschienen in: Zeitschrift für romanische Philologie, Band 118(2002) 4, S.639-642.
Helemorn, L’Anarchia e‘ amore?, in: Storie d’autore, Pagine editore, 2013
Helemorn, De Satanibus. Ovvero: Scusa Capo posso tornare su‘?, in: Collana Autori, Pagine editore, 2012 (riduzione di un monologo teatrale).
Partecipazione con due opere su tela alla collettiva "Poesia , Pittura e Fotografia" in calendario dal 9 al 16 Aprile presso gli spazi della Struttura polivalente comunale di Follo - Piazza Garibaldi curata dall associazione culturale san martino di durasca
Esposizione con Roberta Carusio di opere presso il Bar Dolcevita a Sarzana dal titolo “Coppia mista a colori”.
Attualmente sempre in movimento, incrosto tele con colori e a volte parole, scrivo poesie, raccontini, saggetti, teatro (due monologhi e una commediola), libri (uno pronto in attesa di trovare editore), ma in particolare scrivo perché sono un terrorista del pensiero.                                                                                                      



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DONATELLA ZANELLO


FIRENZE: CRONACA  DI  UN ADDIO


Fredda cronaca di un addio
nella pungente mattina di marzo.
Ti voltasti, viso senza lacrime.

Non vi era pianto nella pioggia sottile,
soltanto lo spettro dell’annunciato
abbandono, evanescente, irreale,
come fumo dai comignoli sul Lungarno.

Firenze era opaca di nebbia, Ponte Vecchio
avvolto nella bruma pallida e grigia
si rifletteva nei miei occhi lucidi.
Sotto di noi scorreva l’Arno tristemente,
fluiva come le antiche parole di Dante divino.

Gli anni avanzavano, opprimendo
il mio giovane cuore, Firenze
era lo specchio della mia anima pura,
mentre andavo incontro, consapevole,
alla solitudine scelta per il mio futuro.

Non vi è giustizia nel tradimento.
Non avevo lacrime, esse restavano
come  perle trattenute tra le ciglia.
Lo sguardo era fermo, implacabile,
sull’acqua incessante del fiume.

L’amore non ha radici e vola nel vento,
L’amore ha il viso angelico – pensavo -
impresso sulle tele degli Uffizi.
E’ un cherubino dipinto
da Leonardo o da Botticelli.

Firenze giaceva maestosa
nell’ora fatale dell’addio.
Ecco, l’amore è solitudine – pensavo –
è  solitudine e vola, nel vento.


*Donatella Zanello

*Donatella Zanello: è nata a La Spezia dove vive e lavora. Laureata in Lettere Moderne all’Università degli Studi di Pisa, è autrice di poesia, narrativa e saggistica. Ha pubblicato otto raccolte di poesia: “Polvere di Primavera”, “La donna di pietra”, “La Sognatrice”,”Passiflora”, “Il tempo immutabile”, “Poesie Provenzali”, “Labirinti”, “Il colore del mare”. Vincitrice di numerosi premi letterari, nel 2015 ha ricevuto il Premio Montale Fuori di Casa Sezione Poeti Liguri per l’opera poetica. Presente in molte antologie, è membro di giuria in premi letterari.
Il paesaggio ligure e mediterraneo, il mare come fonte costante di ispirazione, il viaggio, l’ecologia, la riflessione filosofica sulla condizione umana, la ricerca spirituale come unico vero significato dell’esistenza sono i temi fondamentali della sua vasta produzione poetica.


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