venerdì 27 settembre 2013

DONATELLA ZANELLO POETA DELLA NATURA, DELLO SPIRITO, DELLE PASSIONI, AUTRICE DELLA SILLOGE " PASSIFLORA": recensione a cura di Luigi Leonardi

Sala CarGià - Promozione Arte e Cultura 2013: sezione poesia.

Martedì  20 Agosto 2013 alle ore 21.00 al Castello di S. Terenzo, nell’ambito della “Settimana della Cultura” dedicata a Vasco Bardi, manifestazione a cura della Dr.ssa Maria Letizia Stangalino con il patrocinio del Comune di Lerici, Donatella Zanello ha presentato il libro di poesie “Passiflora”, prefazione di Cristiano Mazzanti, Ed. Ibiskos di Alessandra Ulivieri, 2006. Lo scrittore Luigi Leonardi ha presentato il libro attraverso una dettagliata recensione dialogando con  l’autrice che ha letto le proprie liriche. All’ interno del castello erano esposte le opere della pittrice Anna Lupi.



Donatella Zanello, autrice della silloge “Passiflora”, si presenta, in veste metafisica, con particolaresensibilità, quale poeta della natura, dello spirito, delle passioni.
La sua poesia è estremamente legata al mare, ma non solo. Il mare nei suoi misteri abissali,
nelle sue inquietudini notturne. Il mare calmo nell’abitudine della risacca, o tempestoso come le passioni, o libero nel suo immenso, o mistico nei tramonti. Il mare origine di vita.
E’ una religiosità quella di Donatella per il mare: un legame profondo con questo elemento dominante.

Ricerca di libertà

Le poesie di Donatella Zanello sono quadri dipinti con le parole, sotto le quali sta la sostanza prima della nostra conoscenza. Sono parole scritte nello stile di un romanticismo sobrio, assorbito da un lieve decadentismo. Si avverte una struggente malinconia. Un certo tipo di espressionismo esalta la zona emotiva della realtà ma anche quella dei sensi. L’anima vede la realtà secondo la sua interpretazione. E’ una soggettività che sfocia quasi sempre in lirica. L’anima è colpita dalla realtà e la traduce attraverso il proprio stato psichico. Ed è sempre, comunque, una fuga, un bisogno di ricerca di libertà.
La silloge si apre con “Risveglio”, un’aperta dichiarazione di sofferenza fisica; si avverte il peso della gravità; la vita dolora nel corpo.

“Solo il sentimento/ apre le porte/ all’eterno, al vero”.

Si cerca rifugio o consolazione nell’anima, nel sentimento. Ci si vuole sentire liberi, perlomeno dalla mondanità, se ritenessimo la pura libertà irraggiungibile. Dato che sulla plaga terrena la libertà di pensiero è frantumata da ideologie assolutistiche, forse essa è prerogativa dei poeti. Si cerca la libertà immergendosi nella natura, in un’armonia di fenomeni alieni da ogni compromesso umano e divino. Ecco quindi i marosi e il peschereccio e il volo dei gabbiani e le Rosse illuminate a Portovenere. E’ un’esigenza di spiritualità, senza il peso della vita; l’anima prigioniera del corpo in cerca della sua libertà.

Solitudine

La fede nella natura sembra tuttavia non bastare al poeta. C’è bisogno di una fede più forte, una fede oltre la luce? E’ inquietudine. Petrarca naufraga nell’angoscia di non saper trovare la strada giusta verso il bene. E’ una ricerca di “cessazione di tormento”che avverrà solo con l’abbandono delle passioni terrene. E’ l’inquietudine petrarchesca, causata essenzialmente da uno dei sette vizi capitali: l’accidia, per lui una specie di pigrizia spirituale. Ora, con la poesia “Solitudine”, Donatella esprime questa condizione:
“Ci sono treni che volevo prendere..parole che non ho detto…cose che non ho potuto fare.”
Non spiega perché queste cose non sono state fatte, poiché intuisce qualcosa…un’inquietudine ancora più terribile:
“Casuale/la vita è casuale.”
Ovvero la volontà è fuori dalla portata umana. In questa poesia si cammina su una spiaggia infinita dove si percepisce l’assenza, o meglio ciò che diventerà assenza.
“Sono sola/un punto qualunque/nell’universo.”
Unica impressionante certezza cartesiana, l’infinito vuoto, l’essenza della solitudine.
Tutto sembra perdere senso nella poesia “Solitudine un lieve gesto”, dove le categorie gnoseologiche non bastano alla comprensione umana. E’ inutile aggrapparsi alle cose perché “anche i giorni sai, sono temibili / quando scivolano in un tremendo silenzio.”
Dicevo dell’eredità di pensiero da Leopardi a Quasimodo a Pavese e in questo brano ne riscontriamo l’atemporalità. Prendiamo la poesia “Il Lete” di Baudelaire: “nulla può l’abisso del letto tuo per inghiottire i placati singhiozzi”. Non c’è forza alcuna che possa lottare contro la nostra condizione già data; impossibile modificarla. Scrive Donatella:
“Che importano le voci/nell’invisibile,quando anche le nostre parole/avessero un senso come un fiume…”C’è la sicurezza spietata che nulla possiamo contro la “necessità”ovvero il destino: “Mi addormento e sogno l’impossibile”.
E’ cercare l’oblìo, è cercare ciò che non c’è ma comunque abbandonarsi e dimenticare. Anche Baudelaire lo cerca: “e dentro i baci tuoi scorre l’acqua del Lete”. Il Lete, ilo fiume dell’oblìo.”

Le  Passioni

Passifloraè la poesia che titola la silloge. La sua etimologia indica sofferenza, pena, includendo il sacrificio. Passiflora è il fiore della passione; le sue caratteristiche ci ricordano la corona di spine, il crocifisso di Cristo. Qui il poeta vuole rendere omaggio ai fiori, suo amore quasi ossessivo come il mare. Perché c’è un legame che risale fin dall’infanzia, quando un libro sui fiori le venne regalato dai suoi genitori. Il tema principe affrontato è la passione. Una ricerca sulla passione umana.
Le passioni sono pulsioni di sangue, di nervi, di muscoli: sono gli dèi che agiscono su questi. Ci dominano e ci tengono dentro la vita.
“Noi ci amiamo/in uno schianto/di dolore”. Ci amiamo sapendo di perderci; amiamo intensamente consapevoli della fine. Questo è lo schianto di dolore. La gioia inseguita e magari raggiunta si amalgama con la sofferenza. Siamo “per-la-morte”. Ed è un’esistenza autentica, secondo il pensiero heideggeriano, dove la vita è pervasa dall’angoscia della nostra finitudine. Nella nostra società, dove si cerca la curiosità e non la conoscenza, la morte viene rimossa. Ma ciò è l’aspetto più in autentico dell’esistenza.
“Siamo due poveri folli/che si amano/in una prigione”.
Folli, perché lottano contro l’ineluttabile; ciechi che si cercano nella cecità e vogliono dominare sapendo di essere dominati. “Così il buio infinito traversano, fratello dell’eterno silenzio”scrive Baudelaire sui ciechi additandoli quali condannati dalla natura. E metaforicamente i versi di Donatella qui suonano:
“Siamo due ciechi/che si cercano/brancolando nelle tenebre.
Siamo due condannati a morte/che si amano/per l’ultima volta.”
“Ho chiuso al silenzio/le porte delle stelle.”
Qui, dunque, il significato dell’amore per il poeta assume il sapore di una sfida: amarsi è una sfida sapendo di dover perdere. E anche per tutto il resto la vita incombe con aria di tragedia. Il dolore di perdere la persona amata, la brevità del nostro tempo, la bellezza effimera… per questo la reazione con l’idea della bellezza, l’idea dell’amore, l’idea dell’eternità. L’uomo, soprattutto il poeta, vuole andare oltre afferrando emozioni, trasmettendo emozioni….amplificando il quotidiano.
“…quando l’alba solleva le onde/ lungo la riva del mare.”
A Tellaro rivedo/ il glicine avvolto alla terrazza / ondeggiare nel vento”
“Sento il rumore del mare/ricordo il salmastro/che sfiora la vela”.
Riemerge dallo sgomento, in “Piccola voce”, la speranza di continuare a vivere con una certa vitalità, anche se la strofa centrale resta gonfia di inquietudine. Il poeta non sa e anche questa è una certezza come la sua esistenza; è un sapere socratico: sa di non sapere. Ma sa pure di avere un rifugio; sa che comunque il suo sangue non scorrerà indifferente e rassegnato. Se prendiamo la prima e l’ultima strofa di questa poesia e i versi della successiva “Sonia”, dedicata alla figlia, scopriamo un’anima che si scuote dalla chiusura, dalla condanna, dal silenzio. Non è tanto un riscatto o una rivincita sulla caducità, sulla follia delle passioni, sul destino della morte, quanto un abbandono alla dolcezza, a un presente gratificante e sicuro, ancora lontano dallo scomparire.

Il senso del divenire

“Credo a ciò che vedo / Credo a ciò che sento / Ho fede nella luce.”
Sono gli ultimi versi de “L’isola dei pirati” dove l’autrice mette in evidenza la sua vera fede. In questo brano si evoca la figura del nonno navigante, vista in un immaginario positivo come un misterioso personaggio di fantasia. L’isola d’Elba, di cui la famiglia del nonno è originaria, è l’isola dei pirati e lui fa parte di questo mondo. Lui vive quel mondo altro che è il mare, dove si sta via per anni da casa; dove la vita ha un’altra dimensione. Quando il nonno torna racconta storie di luoghi lontani, avventure come in  favola. Poi scompare per riprendere le onde dell’immensa distesa, che come lui perpetuano quell’infinito andare e tornare, quell’emergere e scomparire. Il mutare incessante dell’esistenza.
Il tutto resta attaccato a una specie di segreto ancestrale, che solo si coglie nell’intuizione. Un’intuizione non tanto di fede mistica, quanto una sorta di religioso assioma. Una verità incontrovertibile che appunto respira intensamente negli ultimi versi. E’ un guizzo nella “Physis” aristotelica, dove la verità si riconosce nella luce, indicando la fede nella natura, ossia ciò da cui si nasce. Physis, perché la sua radice significa luce, l’essere nel suo apparire. Si entra nel pensiero profondo,dove l’anima esprime il suo primo significato: “ànemos”, soffio, che dà movimento. Dove si crede non a ciò che è, ma a ciò che si vede: si crede non alla “cosa in sé”, ma alla sua rappresentazione. Poiché è ai nostri sensi che le cose appaiono; è in loro potere la “lucente bellezza del mare, del sole, della terra”. Per loro le emozioni possono travolgere l’indifferenza.
E nel movimento perpetuo, o meglio nel mutamento sta quel particolare “senso greco del divenire”. Da “Io cedo al sogno”: “Tu vedi il mio sorriso sfaldarsi / ad ogni tramonto/ e la forza svanire/silenziosamente/ nelle mie sere.” E’ nichilismo, inteso non come visione negativa di tutto; non nel senso leopardiano del nulla, vale a dire l’indifferenza e la noia, il “taedium vitae”; non il pessimismo storico di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”- di Pavese abbraccerà poi ne “Il colore del mare”, silloge, 2012, inedita, certa metrica stilistica. Ma quel nichilismo inteso appunto alla maniera dei greci: l’uscire dal nulla e rientrare nel nulla; o, se vogliamo, con Eraclito, emergere dal tutto e ritornare nel tutto.
Ciò non è negativo poiché ci conduce a una chiara consapevolezza della nostra condizione umana, dove potere, ambizione, diritto divino….cedono le loro velleità alla conoscenza ineffabile. In Donatella questo nichilismo viene addolcito attraverso la memoria. La suggestione di Paolo Bertolani, importante poeta ligure, coinvolge, come lei mi confessa, certa sua poesia. “I pini frustati dal vento” è quasi un’evocazione all’oltretomba.
“Non è vero che i morti ci lasciano”.
E’ un interrogarsi… forse meglio un riflettere sulla vita, magari cercando di rimuovere quell’autenticità dell’essere-per-la morte. I morti vivono ancora accanto a noi;si sentono i loro rumori, i rumori degli antenati in una sensazione fantasma. Il ricordo a volte è così vivo da percepirne la presenza. Questa poesia è dedicata a Portovenere; è stata scritta fisicamente a Portovenere. Come il pittore dipinge sul luogo, così il poeta scrive sul luogo, per omaggiarne la bellezza, per gustarne meglio le emozioni.

L’idea di felicità

In questo mondo da sempre senza governo, Donatella si affaccia a quella finestra lasciata aperta dalla poesia dell’inizio del secolo scorso, dove scaturì la reazione al positivismo. Crollava la fede nella scienza ( o meglio dell’uso che l’uomo può fare della scienza), l’uomo scopriva il male di vivere. Nel caso attuale è la mediocrità dilagante di una civiltà impostata su regole di mercato. Una civiltà che ancora idolatra valori bugiardi; una civiltà presa ad inseguire un maledetto concetto di potere che, non solo in atto ma già in potenza è fatiscente. Il poeta quindi approda alla riflessione dell’anima, nella contemplazione della natura e riscopre la caducità della vita.
“Cane di un tempo che non riesco a tenere alla catena”: sono parole di Paolo Bertolani, che ci ricorda quanto il nostro potere sia ridicolo e vano. Tutto si annulla nel tempo.
“Ti ho perduta,/ non so come,/in una sera d’estate”
dice Donatella riferendosi alla figlia bambina diventata donna. Fare il poeta non è un piacere, è una fatica. Con la sua arma egli intuisce, con mira infallibile, il significato dell’esistenza. Si spinge fino ai limiti per cercare conforto.
Da Pensieri / Frammento:
“Esiste un luogo dove essere felici?....”
Da Pensieri 2 / Frammento:
“Il colore del mare è di una bellezza accecante./ Provo una gioia immensa./ La mia felicità è così grande che ne ho paura”.
L’autrice sente il male di vivere del suo tempo. Per questo scopre la bellezza accecante del mare; la bellezza dei silenzi; nelle prime ore del mattino, nell’odore di salmastro, nelle distanze del mare e del cielo, come distanze tra l’io e la moltitudine. Ma quella che afferra, che lo spirito percepisce, non è il mare, non l’isola, non i pini, non le Rosse illuminate….è l’idea di tutto ciò: l’idea della bellezza.
Ossia di tutto ciò che non può mutare, che sta fisso, incorruttibile. Poiché ciò che cambia è dolore. “Perch’io te non amai, ma quella Diva”, rivolge Leopardi ad Aspasia, con sdegno. Cioè, non te donna amai, ma l’idea, l’idea dell’amore, immutabile, eterna.
Per raggiungere la felicità è necessario allontanarsi da ciò che muta e quindi raggiungere uno stato materiale e psichico di assenza del dolore. Ma non è semplice perché si è irretiti nei problemi quotidiani, nelle paure imponderabili, nei desideri mai raggiunti, o raggiunti e da altri sostituiti.
“Spazi vuoti/nei quali/affonda il desiderio/Scomparirebbe dal tempo/anche l’ultima notte,/se insieme, ubriachi, storditi, /facessimo il giro dei locali..”
Oltre la razionalità, oltre la fatica di questa vita, ebbri come ubriachi potremmo dimenticare anche il tempo, il tragico divenire delle cose, e uscire dalla prigione del mondo, liberarci dai nostri pesanti fardelli. Bisognerebbe ritrovare l’ingenua incoscienza immune di ambasce e presagi, ma il processo è irreversibile. La “stagion lieta”, il “giorno d’allegrezza piena”, sfioriscono prima di sera. Così conclude il poeta:
“Fuori da qui, dalla prigione / che ovunque inutilmente mi tiene, / ..è la luce della bella stagione…/la stagione inevitabile che viene, come le altre, / a sfiorire sulle terrazze e sui giardini, / mentre il tramonto / declina i suoi colori.”
                                                                              Luigi Leonardi

Da “Passiflora” Poesie, di Donatella Zanello
Editore Ibiskos di Alessandra Ulivieri, Empoli, 2006:

Risveglio

Stamani al risveglio
il cielo era così lieve
e così doloroso il peso
della vita nel corpo.

Solo il sentimento
apre le porte
all’eterno, al vero.

Lontani marosi
a  Portovenere,
al di là dell’isola,
le Rosse illuminate
dall’alba, nel silenzio.

Un peschereccio
doppia la punta
del molo, avvolto
nel volo affamato
dei gabbiani.
  
            Donatella Zanello
                                                                     
“ PASSIFLORA” , Poesie, 2006
 Ed. Ibiskos diAlessandra Ulivieri, Empoli.

Scheda:prefazione di Cristiano Mazzanti
                    
PREFAZIONE

Liguria:gli ossi di seppia di Montale, limati dalla luna, scintillano sotto il morso del mare che scava golfi nella terra e nell’anima.
La raccolta di questa scrittrice per molti motivi si inserisce nel filone della poesia ligure marinara e la penna si trasforma in gabbiano “affamato”di parole di vita. Il paesaggio ed il sentimento, il cielo con le sue dinamiche di sogno e la pesantezza della “vita del corpo”. I rientri e gli affondi di tutta la costa fino alla solennità ieratica di Genova si alternano come la linea sinusoidale delle emozioni che si snoda nei versi “la tua libertà e la tua assenza”: gli affetti come il mare che abbraccia e si ritrae lasciando l’infinito di fronte alla riva abbandonata, “ritaglio del paesaggio del mondo”.Accanto agli “idilli” di contemplazione profonda che raggiunge la paura della felicità nello  sperdersi abissale dentro il mare, balzano a volte improvvise immagini “cinetiche”legate al treno descritto per la prima volta come speranza lanciata nel futuro, fuori dal tunnel dell’anima.La dilatazione dell’affetto, in alcune composizioni quasi disperata verso una dissolvenza nikilista, viene accompagnata anche da efficaci descrizioni degli amori familiari con i loro riti di crescita e di distacco,come nella meravigliosa descrizione alla fine “dell’estate” (quella adolescenziale) con la mano che scivola dalla guida materna (in quello “scivolare” c’è tutta la delicatezza della partenza ma anche tutta la sua inesorabilità)e lo sguardo della figlia si trasforma in quello di “una donna sconosciuta”.
Anche l’icona della madre è compresa nei ritratti di famiglia con una foto vivace, in bianco e nero senza ingiallire: “bei capelli neri” in contrasto con la “pelle di porcellana”.
Tipica della poesia di Donatella Zanello è la fusione di cose, paesaggi, sentimenti nel crogiuolo artistico delle proprie emozioni e la saldatura poetica conferisce una particolare forza, quasi scultorea, icastica,alle immagini “nuda nella mia carne”, “la luna sulla pelle” ed in “Spazi vuoti” la disperazione viene descritta nel “fare il giro dei locali/come barche/attraccate alla riviera”.
 La resa finale al porto scorre davanti al lettore come le imbarcazioni “totali” di Egon Schiele in un suo paesaggio.
Un augurio finale per tutti viene da una frase nascosta ne “l’isola dei pirati”:  che queste pagine siano vele di ottimismo di vita perché “la causa dell’esistere / potrebbe anche essere il niente”…. Ed  occorre avere “fede nella luce”.

                                                                                                               Cristiano Mazzanti

martedì 24 settembre 2013

"SALVACONDOTTO PER MONSALVATO" Incontro con la poesia di Thea Maria Parodi Roncon: a cura di Donatella Zanello

SALA CARGIA' - PROMOZIONE ARTE E CULTURA 2013 - SEZIONE POESIA

 “SALVACONDOTTO PER MONSALVATO”
 Incontro con la poesia di Thea Maria Parodi Roncon
 a cura di  Donatella Zanello

“Sorgeva dunque a quei tempi / su un picco eccelso dei Pirenei,
  detto il Monsalvato,una rocca immensa, diritta e liscia.
  Aveva torri e bastioni possenti / che l’attorniavano
  da ogni lato… cupa e minacciosa all’esterno, era invece
  all’interno amenissima e piena di pace”.
                                                   (“I cavalieri del Santo Graal”)

               “Salvacondotto per Monsalvato” di Thea Maria Parodi Roncon  è un vero e proprio gioiello letterario di rara fattura. E’ la primasilloge di questa interessante autrice, dotata di una straordinaria ricchezza lessicale e di inesauribile capacità descrittiva e dialettica. La scrittura di Thea è vigorosa, scorre fluida come un torrente in piena, densa di riferimenti filosofici e letterari, sia in poesia che in narrativa, con abbondanza  di argomenti  quali la psicologia, la filosofia, la memoria, la mitologia, il tempo, la descrizione naturalistica. La sua parola poetica è come una lama brillante che scinde la realtà e la analizza secondo criteri di assoluta libertà e ricerca della verità. Grandi temi, versificazione breve e scabra in questo testo, in altri suoi scritti ricca di aggettivi.
Il “Salvacondotto” di Thea rivela un forte intento libertario.
E’ infatti l’affermazione  della propria libertà spirituale, del proprio modo di cercare la salvezza nella realtà e dalla realtà, attraverso un percorso interiore di autocoscienza.
Monsalvato è la mèta del viaggio, indicata nello splendido “incipit” come antica fortezza leggendaria, “cupa e minacciosa all’esterno, invece all’interno amenissima e piena di pace”. L’elemento fortemente simbolico indica un percorso psicologico . Guardarsi dentro per trovarsi,  in una solitudine vissuta come scelta nobile, solitudine  positiva, priva di  conflitti e quindi foriera di pace, raggiungibile attraverso la meditazione e volta ad annullare il dolore. Il “salvacondotto” è appunto la possibilità di redimersi, di salvarsi  attraverso l’istinto di autoconservazione e non solo, protraendo la vita oltre la vita attraverso la  parola poetica. In questo senso la poesia è salvacondotto per antonomasia poiché non è rivolta al particolare ma all’universale.
La parola scritta è un mezzo talmente potente da attraversare  i millenni:  “Scripta manent”.
Anche la genesi di questo libro porta il segno dell’eccezionalità  e della catarsi: infatti Thea dichiara che “è stato scritto in una notte, vegliando in attesa di una morte annunciata”. Da questa notte tragica e fatale “prende forma e contenuti questa ballata, ispirata a un viaggio conoscitivo ed epuratore del pellegrino – uomo nel mondo – vita”.
La ricerca spirituale  conduce al Monsalvato, luogo di perfezione cui si giunge attraverso la presa di coscienza dei propri errori. Suggestivo è  il riferimento alla leggenda di Parsifal e del Santo Graal custodito a Monsalvato. I Cavalieri che custodivano la coppa nella quale Gesù bevve il vino dell’ultima cena dovevano essere puri e coraggiosi, rinunciare al mondo e vincere le tentazioni.
Il percorso spirituale è suddiviso in quattro parti:
I PARTE: dall’infanzia all’adolescenza;
II PARTE: dall’adolescenza alla giovinezza;
III PARTE: dalla giovinezza alla maturità;
IV PARTE: verso l’età della ragione.

Nella Prima Parte la poesia n. 3 indica nell’albero senza radici, il tronco, dimora di creature messaggere di morte, il simbolo di un’infanzia tradita ed abbandonata a se stessa, segnata dall’assenza dei genitori che avrebbero dovuto costituirne la radice ed il nutrimento. E’ un’ infanzia innocente e tenera che già comprende l’inutilità del nozionismo scolastico, della conoscenza fine a se stessa.
Ugualmente nella poesia n. 5 ritorna l’amara constatazione di una sofferta solitudine infantile:
Feci per quelle  foglie
ciò che nessuno fece a me bambina:
 indicai la strada, regolai la sorte.
N. 9:
Ma davvero pensi che la mia vita cambierà,
  quando avrò imparato il teorema di Euclide?
  O saprò solo ciò che non mi servirà
  a capire l’Amore, a vivere una vita
  senza disavanzi, a comportarmi con pietà?”
N. 10:
Percorsi il viale infanzia intimidita e triste;
 la mia mano, tenera noce esposta
 senza il guscio di un’altra mano,
 pendeva inerte sul grembiulino di cotone rosa.”
Nella II Parte, l’autrice affronta i grandi temi dell’amicizia e della pietà.
Lirica altissima la n. 16.
L’amicizia fu il mio fiore all’occhiello,
 il sentimento di cui andavo fiera.
Senza pensare al freddo dell’inverno
…ma solo al dono di se stessi ….
pescai nel sacco delle mie monete
…finchè giunsi al fondo.
Tutto dunque era stato sperperato invano?
Avrai pur trenta lire – disse allora qualcuno.
 – Ti potrebbero servire –
 E capii la lezione.”

 L’autrice descrive l’adolescenza come passaggio, malattia e convalescenza, dolorosa trasformazione il cui male è “l’assenza di diritti e ragioni”. Età difficile e controversa nella quale si riceve a piccole dosi come in una necessaria profilassi la percezione del male della vita, preparazione inevitabile che solo alcuni riescono ad attraversare  indenni ed anzi rafforzati.
Nella parte III – “Dalla giovinezza verso la maturità”l’autrice continua il percorso a ritroso nel proprio vissuto e narra lo studio delle lingue interrogandosi filosoficamente sulla tragedia dell’incomunicabilità che si oppone alla cultura ed al progresso e ribadisce la propria scelta orgogliosa di isolamento ed autodifesa, di riflessiva solitudine, l’incertezza di una preparazione eclettica in labirinti oscuri di libri senza guida e senza un ordine ben preciso. Soluzione per sopravvivere alla realtà matrigna è l’indossare una maschera, creare un “alter ego” che ci somiglia, incassando i colpi della malasorte nel cuore di pezza.

Nella poesia n. 28 anche l’Amore viene respinto, accantonato, rifiutato a causa dell’atavico terrore dell’incertezza che ne potrebbe seguire:

“Un giorno s’affacciò l’Amore
col tenero giustacuore
color confetto.
Timido e circospetto
scoccò una sola freccia
che andò dritta al segno.
A quel punto il panico mi prese.
Che fare?
Fuggire – Restare – Affrontare –
Retrocedere – Concedere
O Rinunciare?
Non reggendo alla lotta,
ho barato col tempo,
ho accelerato la fine:
ho scelto la solitudine
piuttosto dell’incertezza.

Nel percorso dell’autrice il viaggio è un tema ricorrente. Il viaggio più importante è quello che si compie nella memoria, che ci conduce “nelle terre oscure del cuore”, oltre l’orizzonte sensoriale. La vita è anche compromesso e durante il cammino ci accade di incontrare gli opportunisti, i gradassi, gli strafottenti presuntuosi, gli ipocriti e di avere a che fare con loro per necessità legate alla nostra sopravvivenza, così diventiamo come loro e ci comportiamo allo stesso modo (n. 30). Infine si diviene preda della “triste brigata” dei dubbi esistenziali. La purezza della coscienza si sfalda e l’anima – o la mente – attraversa uno stadio successivo di maturazione, per raggiungere una nuova amara consapevolezza della pochezza umana, laddove l’entusiasmo e l’innocenza della giovinezza si spengono e divengono cenere di ricordi consumati al fuoco dell’esperienza.
Prosegue e si conclude il viaggio nella IV parte , “Verso l’età della ragione”. Proprio la ragione è la fine del viaggio, poiché è nella ragione che sta la salvezza dell’uomo. Ragione che è null’altro che triste consapevolezza, socratica sentenza e tuttavia concetto dignitoso dell’esistenza come valore assoluto. Tuttavia l’autrice riconosce nella sua esistenza una “bozza mai pronta per la stampa” e va disfacendo il suo tempo nella ricerca incessante di una via di fuga da una realtà percepita come perennemente insoddisfacente, nel tentativo di “truffare la sorte” (n. 33): “Ho avuto dunque più vite? Certo. Quante sono le pagine scritte, le poesie cantate, gli eroi di queste pantomime.” Nichilismo, perdizione dunque  e smarrimento ma smarrimento consapevole, come in Cesare Pavese, come in tanta poesia del Novecento. Questo è il pessimismo della ragione, pessimismo gnoseologico e deontologico, di cui sono intrise queste pagine, una vaso di Pandora al cui fondo giace la Speranza, “Spes ultima dea” in se stessa inutile. Vivere è dunque la snervante fatica di “tenersi in  equilibrio”, quando per anni non accade nulla di nuovo ed il tempo prezioso si perde nell’assurda trappola dell’attesa di qualcosa che non giunge mai. Certi destini sono segnati in partenza, questo vuoto esistenziale è certo appannaggio dell’essere umano in quanto tale e nessuno sfugge alla permanenza nel labirinto, nessuno, neppure l’eroe Teseo con il suo filo donato dalla sventurata Arianna, la cui generosità sarà ripagata dall’essere amato con l’abbandono e la morte. La scelta di un dio irrazionale è soluzione allo smarrimento di uno spirito curioso e libero quale è quello dell’autrice. Ella segue “una lunga discesa fortunosa”. Tuttavia sa che agli errori non vi è più alcun perdono nell’età della ragione adulta e responsabile e gli occhi del mondo sono pronti a giudicare. Percorrere dunque altre strade, in analogia con il moltiplicarsi dei rami del labirinto. “Mi umilierò per sapere.”Pagherò col dolore la conoscenza”. Soltanto in questo modo si perviene alla saggezza, che ci rende migliori e migliora la nostra vita, in una stasi dimenticata che ci riconcilia con tutto l’universo. Raggiunta questa posizione privilegiata che è assicurata dall’avere acquisito conoscenza e saggezza, si può osservare dall’alto il teatrino della vita e domandarsi se si tratta di commedia o tragedia. Ebbene, “è solo farsa demenziale, una corsa inconcludente dietro alle etichette, un aizzare invidie, sfrenate gelosie, una meschina giostra delle ipocrisie.
In tutto questo meschino rimestare,” l’Amore, la Vita stessa,la gioia del dare, l’ebbrezza del volo” non trovano posto. E’ questo il medesimo sentire dei grandi Poeti Maledetti, l’emblema del simbolismo francese in poesia. In questo contesto di emarginazione intellettuale il peso della memoria e delle vite di coloro che non sono più è un macigno sulla coscienza, un tormento notturno di demoni che è necessario combattere e respingere. Poiché anche la memoria deve restare circoscritta, non può invadere lo spazio della vita avvelenandola con i suoi miasmi di rimpianto e rimorso. A questo punto, per l’autrice “Damasco è una buona mèta” (n. 42): mettersi sulla via della fede in attesa di una folgorazione, di un segno di speranza, di uno spiraglio per l’eternità. Grande è il desiderio – e conseguentemente la fretta – di giungere all’agognato traguardo, tuttavia per la durata dell’intera esistenza la folgorazione non avviene e non avverrà mai, fino alla fine. Occorre un’arma segreta per uno spirito che è sovranamente libero: siamo alla conclusione, nichilistica, orgogliosa, difficilmente condivisibile se non ad un livello più profondo, intimo, in un anelito estremo di affermazione del Sé, da non considerarsi egoistico ma esclusivamente e totalmente libertario e liberatorio:
n. 43:

L’arma segreta
  della mia sopravvivenza
  è l’indifferenza
  alle vostre opinioni.”

Per concludere, si può affermare che nel caso di Thea Maria Parodi Roncon la poesia assurge a traccia di pensiero filosofico complesso, enunciato di autocoscienza, proclamazione di libertà spirituale in difesa di valori assoluti incompresi e calpestati.
Mai come in questo caso la poesia “è belva sapiente” , strumento di conoscenza e di affrancamento dal male, reale lasciapassare per il raggiungimento della pace interiore. In questo  percorso poetico  inizio e fine coincidono mirabilmente, grazie alla  perfezione stilistica ed alla  profondità concettuale e tutta la verità di questo testo poetico è già presente nel titolo – simbolo, eccezionalmente suggestivo: “Salvacondotto per Monsalvato”.                  
                                                                                           
                                                                                       Donatella Zanello

 NOTA BIOGRAFICA  DELL'AUTRICE  THEA MARIA PARODI RONCON

Il mio percorso di poesia inizia quasi a mia insaputa, mentre leggevo in una rivista un reportage del giornalista M.Deaglio sul Nicaragua. Da poco c'era stato un terribile terremoto e la capitale Managua era un cumulo di rovine. Deaglio tra l'altro aveva fatto molte interviste agli abitanti della baraccopoli e , tra questi, aveva intervistato un'anziana signora che, seduta sulla soglia di una casupola in lamiera, aveva confessato di essere stata il grande amore del Generale Sandino. Mi riscaldò il cuore l'idea che, nonostante le pessime condizioni di vita, le ristrettezze economiche e le incertezze del futuro, questa donna coltivasse ancora dentro di sé il ricordo di un lontano amore.
Questa anziana signora di ottantatre anni, Maria Soledad, fu dunque ispiratrice della mia prima poesia, nella quale costruii la storia di un amore tradito. Alla  “Ballata per Maria Soledad” seguirono molte altre poesie, che ritraevano personaggi di cronaca e che mi valsero l’appellativo di “poeta politico”. Tuttavia dietro queste rappresentazioni si nascondeva il pudore di esporre i propri sentimenti, di offrirsi alle critiche e ai giudizi del mondo.
Poi, nell’aprile del 1989 morì mia nonna Esther: questa data segna la fine delle mie poesie politiche e l’inizio di un nuovo percorso come “poeta della memoria”. Il testo scritto nel 1989 è stato pubblicato dalla Firenze Libri con il titolo “Salvacondotto per Monsalvato”. Nel 1996 scrissi la silloge “Risalire indietro” che vinse nello stesso anno il Premio Letterario “L’autore”.
Dal 1996 al 2001 il mio contributo alla poesia divenne raro ed occasionale, fino all’ottobre 2001, quando scrissi “L’orologio e il tempo” in ricordo di mia madre. Dal 2001 al 2010 i miei interessi si volsero allo studio e riflessione sulla natura, sulla società e soprattutto sull’anima. Approfondii la ricerca delle regole del linguaggio, le sue leggi rigorose, una delle quali è il silenzio: tacere è un diritto dell’interlocutore, tuttavia se si decide di parlare è necessario adeguarsi alle regole della parola. Così sono nati testi di riflessione e poesia da me forse impropriamente definiti “Vaudeville”, con particolare riferimento ai testi recitati per le strade d’America dal poeta V. Lindsay e con i seguenti titoli: 1. “Prove di dialogo e di silenzio”
                        2. “Apologia del dubbio”
                        3. “Seguendo la coda della cometa”
                        4. “Il gioco delle identità”.
Ognuno di questi testi ha un argomento sul quale ho sviluppato le mie riflessioni: l’amore, la verità, il dubbio, il rapporto madre – figlia, il concetto di identità.
  
                                                                                                                  Thea Maria Parodi Roncon


NOTA INTRODUTTIVA ALLA SILLOGE “RISALIRE INDIETRO” di Thea  Maria Parodi Roncon 
a cura di Carmen Claps *

In “Salvacondotto per Monsalvato” l’autrice aveva scritto che l’unico viaggio che conta è quello nella memoria. E in questo libro, eccola alle prese con un viaggio nello spazio ma soprattutto nel tempo, una risalita indietro, un muoversi a ritroso. Come tutti i viaggi nel passato è certo doloroso, perché si tratta di una ricerca e di un recupero di paesaggi, cose, eventi, persone che furono e non sono più, tuttavia questo viaggio è anche estremamente dolce, perché legato ad anni felici. Qui l’oggetto non è l’asprezza di un presente senza certezze ma la tenerezza del passato. Prevale qui il paesaggio, indispensabile cornice, dove la natura è pienamente protagonista: qui l’albero non è più solo un tronco senza rami. La parola sapiente, gli aggettivi estremamente curati, scelti con la felice precisione di chi ha una quotidiana confidenza con la scrittura, ci trasportano in un mondo agreste e misterioso, ricco di oggetti, mestieri, tradizioni ormai perdute e per questo motivo ancor più affascinanti per chi è cresciuto nella caoticità meccanica della vita contemporanea.
                                                                                                               
                                                                                                                                      Carmen Claps
  
Da  “RISALIRE INDIETRO”:

SMARRIMENTO

So che vivere è anche questo smarrimento,
questo tonfo di sassi sulla superficie
piatta e uguale di un relitto di palude
dove da sempre tace il fischio
del migliarino, voce della specie estinta.
So che la vita ha un nome che varia
con l’usura degli anni, ed ora
è questa grigia lamina di nubi
capovolte, questa deserta periferia
su cui di notte s’accampa l’assordante
silenzio della tua assenza.
E’ di nuovo autunno, madre, la stagione
delle vendemmie definitive: è in questo
dignitoso paesaggio
che conviene ritrarsi.

SULLA COLLINA DELLA CAVA

Sulla collina della cava, rosa
da grotte, voragini d’ombra con cupe
voci d’acqua sotterranee, cresceva solo
un leccio dalle rame storte, orfano
di nidi, triste e maculato da una muffa
bianca, rorida di linfe misteriose.
L’aria già abbuiata odorava d’amaro,
sentori d’erbe sconosciute. Già scura
la valle sottostante, ma qui, nel cielo
dilatato, perdura ancora una scheggia
di luce, un lume fioco,
svaporato di bianco,
lucciola della sera.
Agli ululati dei cani vagabondi,
ubriachi di luna, col pelo sporco
di polvere e di crusca, rispondo
con un guaito piano, soffocato, io stessa
voce ormai della natura.
                                                                
                     Thea Maria Parodi Roncon



sabato 21 settembre 2013

PREMIO " CESARE ORSINI " 2013: Recensione di Donatella Zanello


PREMIO “CESARE ORSINI”  29° EDIZIONE 15 SETTEMBRE 2013
            Recensione di Donatella Zanello
                
 Il Premio Nazionale di Poesia“Cesare Orsini quest’anno giunge alla 29° Edizione. La cerimonia di Premiazione si è svolta
Domenica 15 Settembre 2013 alle ore 18.00 in Piazza Colonna a Ponzano Superiore.
Il Premio ha il Patrocinio dell’Amministrazione Comunale di S.Stefano Magra e l’Associazione Acomus International del Maestro Aliano Frediani cura la parte concertistica e musicale.

Organizzatrice e Segretaria del Premio è Laura Massari della Biblioteca Civica, che è l’anima di questa manifestazione, con la preziosa collaborazione di Annalisa Pellegrini.
Un grazie a tutti coloro che rendono possibile e danno vita al Premio, in particolare Roberto Rolla, straordinaria voce recitante, che legge le poesie premiate. 
In giuria: Carla Cozzani, Paola Cossu, Maria Milda Ferrari, Marcella Tasso, Donatella Zanello.
La colonna sonora della manifestazione è il concerto lirico “Dolcemente in..canto” con: Anastasia Ossipova – violino; Alla Gorobchenko – mezzosoprano;
Maestro Aliano Frediani – pianoforte.

Il Primo Premio è stato assegnato a Roberta Degl’Innocenti di Firenze per la poesia “Giullare”;
il 2° Premio a Michelangelo Lombardo di Roma per la poesia “Mondi antitetici”;
il 3° Premio a Robert Neri di Santo Stefano Magra per la poesia “Dolce solitudine”;
Segnalazioni di merito a :
Paolo Bassani di Vezzano Ligure per la poesia “La stella dell’estate”;
Egizia Malatesta di Massa per la poesia “Olga dorme”;
Angela Ambrosini di Città di Castello per la poesia “In piedi sulla riva”.
Inoltre sono state assegnate segnalazioni di merito al partecipante più anziano Carlo Ferrarini per la poesia “La mente” ed al più giovane, Samuele Mione, per la poesia “Lo sguardo”.

Questo premio di poesia  si iscrive nella tradizione e nella storia di Santo Stefano Magra. Il premio è intitolato a Cesare Orsini, poeta nato a Ponzano Superiore nel 1571, autore di raccolte di elegie e di epigrammi in rima ed in versi secondo lo stile del suo tempo. Il premio ha avuto inizio 29 anni fa e  moltissimi poeti hanno portato qui, in questo contesto suggestivo con panorama sulla Valle del Magra le loro idee, i loro sogni, la loro visione del mondo.
                  Nella poesia troviamo tutto, la piena essenza della vita, poiché i poeti sono sempre e comunque figli del loro tempo. La poesia accompagna la storia dell’umanità ed ogni opera d’arte che sia tale è permeata di poesia. Nella poesia vivono le emozioni ed i sentimenti. Il grande poeta Mario Luzi scrive: “…La misura della grandezza di un artista è la capacità di tradurre la realtà secondo la propria fantasia. La mediazione può essere razionalmente non condivisibile ma il risultato può essere talmente forte e seducente da incantare il pubblico.”
 La poesia nasce dal silenzio e dalla riflessione. E’ celebrazione del sentimento  nella nostalgia dei ricordi.  La poesia è fede nella natura e nel creato.  E’ il fine di una ricerca,  il raggiungimento di una vetta. Voglio citare una poetessa che più volte è stata premiata in questa manifestazione, Emma Peliciardi di Modena:  “…E potrà capitarmi di udire il canto delle voci che cercavo”. La poesia è  un salvacondotto per i luoghi dell’anima. Questo territorio, la provincia di La Spezia, il Golfo dei Poeti, la Lunigiana storica, ha una tradizione letteraria eccezionale, di valore internazionale.

La poesia supera il tempo e lo sfida. Emma Peliciardi: “…Scorri mio tempo/con passi liberati/conserva lo stupore del dopo/lascia che mi volti dal vano della porta per ricordare e mantieni la meravigliosa speranza che non è invano l’essere qui/soffrendo il tuo sorpasso.”

Ed ancora voglio citare Mario Luzi: “Nessuno ha mai saputo spiegare o definire la poesia….la sua inafferrabilità concettuale è assoluta come quella della vita…Eppure l’una e l’altra sono realtà innegabili…In ogni modo prima di proporsi come un’arte soggetta a giudizi di valore, la poesia fu e sarà sempre una risposta primaria dell’uomo al mondo che lo stupisce e lo interroga in innumerevoli modi. La voce della poesia è la voce del risveglio: il risveglio dal letargo della assuefazione e dell’indifferenza. La poesia intensifica l’effetto dell’esperienza. Chi coltiva la poesia, chi pensa poeticamente, sente con più forza la gioia o il dolore, vive la sua vita con più profondità nel bene e nel male. Inoltre ne prolunga la durata e fa ritrovare emozioni che parevano dimenticate. La poesia aggiunge vita alla vita. Una vita al quadrato.”

Ora, con queste premesse, lasciamo che la poesia migliori la nostra vita, faccia rinascere  la speranza ed aumenti la nostra consapevolezza per costruire una società civile che possa progredire in una cultura della pace e della solidarietà.
Lasciamo che vi sia sempre spazio e tempo per una poesia.
                                                                                                                               Donatella Zanello

1° CLASSIFICATO PREMIO “CESARE ORSINI” 2013 
ALLA POETESSA ROBERTA DEGL’INNOCENTI DI FIRENZE PER LA POESIA “GIULLARE”- 
DOMENICA 15 SETTEMBRE 2013

GIULLARE

Si sveste il cielo con passo di farfalla,
lasciandomi sferzata dai colori,
diamanti cristallini di parole.
Impudente il giorno.
Niente e nessuno può dirci come e quando
Saremo vento e foglia che brillerà sul ramo.
Mi culla il rosso: le ferite e il tempo.
Sono il giullare di favole cantate,
il tempo bruno dell’antica cetra
che suona sempre sola e si consola.
A volte il giorno ha ciglia di gazzella;
m’innamora leggero: è passo sul sentiero.
Ricama sulla pelle baci e rose,
m’incatena alle cose.
Si ferma, incuriosito alla mia storia,
dolcezza di memoria, bacio lieve.
Roberta Degl’Innocenti

Roberta Degl’Innocenti è nata e vive a Firenze. Poetessa, scrittrice, operatrice culturale. Ha pubblicato i seguenti libri di poesia e narrativa:
“Il Venditore di Palloncini e altre storie”, 1995/97
“Il Percorso”, 1996 
“L’Azalea”, 1998
“Colore di donna”, 2000
“Donne in fuga”, 2003
"Un vestito di niente", 2005
"La luna e gli spazzacamini", 2007
Dal 1997 svolge un’intensa attività di promozione culturale, sia attraverso la presentazione di altri autori, sia per l’organizzazione di recital e incontri presso associazioni culturali e teatri. 
Si è classificata al primo posto in diciotto concorsi, fra i quali il Formica Nera Città di Padova (2003). 
L’ultimo libro di prosa pubblicato “Donne in fuga” ha vinto il 1° Premio Versilia 2003.
Nel gennaio 2005, con l'Edizioni del Leone e la prefazione di Paolo Ruffilli ha pubblicato il nuovo libro di poesie "Un vestito di niente", presentato alla Edison Book Store il 29 settembre 2005. Il libro, sempre nel mese di settembre, ha vinto il Primo Premio "Poeti nella Società Delegazione Svizzera Tedesca Basilea" con premiazione a Lugano e il Secondo Premio Città di Pompei con Targa del Parlamento Europeo.
E’ stata più volte ospite delle trasmissioni televisive "Non solo poesia" e "Incontro con l'Autore".
Relatrice nel 2001/2002 di un ciclo di conferenze a diverse tematiche sulla connessione fra poesia e psicologia.
Presentatrice in Firenze, presso il Caffè Storico Letterario Giubbe Rosse, Edison Book Store, Libreria Martelli, Libreria Alfani, Centro d'Arte Modigliani, ecc.
Nel 2004 ha condotto presso il Teatro di Rifredi il recital "Estasi e suggestioni di vita e di morte". 
Organizza da otto anni, insieme a Flora Gelli, il concorso di poesia “Semaforo Rosso”con il Patrocinio del Comune di Firenze.
Nel mese di aprile 2005 ha presentato, presso il Caffè Storico Letterario Giubbe Rosse, il Prof. Giorgio Barberi Squarotti. 
Nel 2004 è stata invitata a far parte delle seguenti antologie:
“Slanci e Partecipazione – 15 poetesse fiorentine”, Bastogi.
“Parlavi alla luna giocavi coi fiori, omaggio a Fabrizio De André”, Tigullio.
"Novelle per il terzo millennio", Bastogi
Collabora alla redazione della rivista culturale Punto di Vista.
Fa parte del Direttivo del Centro d’Arte Modigliani. 
E’ presente nell’Atlante Letterario Italiano. 
Su di lei hanno scritto: Paolo Ruffilli, Giorgio Barberi Squarotti, Roberto Carifi, Ermellino Mazzoleni, Silvano Demarchi, Carmelo Mazzasalma, Fulvio Castellani, Giovanna Fozzer, Giorgio Poli ed altri.

mercoledì 18 settembre 2013

IL TROFEO CARGIA’ 2013: TRIONFO DELL’ARTE E DELLO SPORT

L’OTTAVO TROFEO CARGIA’

MEMORIAL DAVID PASSALACQUA – TRITTICO NATATORIO SANTERENZINO


Un sabato tipicamente estivo ed una piovosa domenica hanno accolto gli oltre 400 nuotatori che hanno invaso San
IL TROFEO GARGIA' 2013
Eseguito  dall'artista Guido Barbagli 
Terenzo nel week-end per il Memorial David Passalacqua, a conclusione del Trittico natatorio santerenzino.
La Regione Liguria è la promotrice della manifestazione che è stata organizzata dalle società CSI Venere Azzurra, UISP Nuoto Valdimagra e Pescasport con il patrocinio del Comune di Lerici.

Prima delle gare oltre 60 nuotatori hanno potuto ammirare i nostri borghi e le nostre isole grazie alla gita in battello, offerta loro dal Comitato organizzatore della manifestazione.
Il Trofeo CarGià, gara sulla distanza di 3000 metri valida per il Campionato Italiano FIN nuoto di fondo, è stato vinto dal diciassettenne Andrea Campigli del Team Nuoto Toscana Empoli in 35’05 che si è aggiudicato la prestigiosa opera realizzata dall’artista Guido Barbagli. Il Trofeo è stato eseguito in vetro legato in piombo, secondo un’antica tecnica.
Ezia Di Capua, direttrice della Sala Culturale CarGià, ha presentato l’opera che è costituita da dieci diversi colori di vetro tra cui campeggiano le gamme d’azzurro a simboleggiare il mare e formano una coppa la cui curvatura ricorda quella del nostro Golfo, all’interno è leggibile il nuotatore in corso di gara tra due vetri emergenti a simbolo del castello di Lerici e San Terenzo. Secondo classificato l’empolese Alberto Campigli e terzo Luca Pagliazzi della Rari Nantes Florentia. Tra le donne vittoria di Gaia Naldini della Fiorentina Nuoto in 37’04, davanti a Sofia Aprili della Rari Nantes Florentia ed Elisa Battistoni del Sogeis. La categoria master è stata vinta da Daniel Tinti della Polisportiva Prato in 37’01, medaglia d’argento per Andrea Pedrazzoli dello Sport Menagement e bronzo per Marco Re dei Nuotatori Genovesi.


COMUNICATI STAMPA
TRITTICO NATATORIO SANTERENZINO - LINK  e AMICI
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