lunedì 26 novembre 2012

LA TRADIZIONE DEI LIBRAI PONTREMOLESI - di Giuseppe Benelli Presidente dell'Accademia Lunigianese di Scienze " G. Capellini " - La Spezia


Giuseppe Benelli
Presidente dell'Accademia Lunigianese
di Scienze " Giovanni Capellini " La Spezia
Nel «Corriere Aprano» del 1962, Giovanni Petronilli ricorda alla Spezia i librai di Montereggio: «Sono fratello e sorella. […] Discendono   da   una   ormai storica stirpe di librai che, originaria di tre paesi contigui sperduti nell’alto appennino allargò le sue propaggini un po’ ovunque. Nonostante il trasferimento da tante de­cine d’anni nella più vicina città di mare, vestono ancora come i loro avi, che trascor­revano la vita in case povere e affumicate come quella, ri­dotta ad un’unica stanza, cui i due si sono, forse da sem­pre, assoggettati». «A un passo da casa hanno una bancarella con libri usa­ti, logori scaduti, ebdomada­ri: roba acquistata da stu­denti, da pensionati o da chi ha bisogno di qualche spic­ciolo, e rivenduta con un margine di guadagno suffi­ciente alle loro scarse esigen­ze»[1].
Mentre gli ambulanti d’ogni parte d’Italia vendevano di paese in paese chincaglierie, monili per ornamento alle ragazze, madonnine, santi e corone del rosario, i “pontremolesi” portavano nella loro gerla di cascinale in cascinale soprattutto libri[2]. «Questa è la terra dove si nasce librai. — scrive nel 1952 Oriana Fallaci — A Montereggio e a Parana è difficile che la gente sappia leggere e scrivere; non ci sono che pecore e castagni e si vive mangiando formaggio e polenta dolce, nell’attesa che l’inverno diventi primavera e l’estate autunno, così da un anno all’altro. Eppure ogni casa di Montereggio è piena di libri intonsi; e ad ogni stagione c’è un pastore che lascia il villaggio e va per il mondo a fare il libraio. La storia dei pastori librai della Lunigiana si perde nel tempo»[3].
Dall’alta val di Magra, terra di confine tra più regioni, sono partiti tanti lunigianesi che, trascinati dal fascino dell’avventura, hanno percorso le strade del mondo come venditori ambulanti di libri. Alfredo Panzini nel suo Dizionario Moderno (1905), alla voce “Pontremolese” scrive: «Da Pontremoli. Al plurale, venditori ambulanti di libri. Sotto prezzo di copertina. Eroi del libro? Con discrezione». «Aggiungiamo — annota Guglielmo Zucconi — che in molte zone della Toscana, della Liguria e dell’Emilia, “pontremolese” è comunque sinonimo di merciaio, venditore ambulante. Pontremoli dunque, per essere il maggiore centro della zona, diocesi col Granduca Pietro Leopoldo, già sede di sottoprefettura, ha esercitato dall’età napoleonica in poi, la sua forza di attrazione, sui centri minori dove sono nati i librai e anche ad essi, come agli altri ambulanti ha dato il patronimico»[4].
Il contributo della Lunigiana alla stampa è ampiamente riconosciuto. Sarzana affonda la sua storia nell’umanesimo di papa Niccolò V, Tommaso Parentucelli, che ha portato a Roma la passione per la civiltà classica. I manoscritti greci e latini da lui annotati rivelano che il legame con la tradizione dell’antico municipium di Luni è profondo e determinante per porre le basi della Biblioteca Vaticana e inaugurare la grande stagione del Rinascimento italiano. Proprio l’amico di Niccolò V, Nicodemo Trincadini da Pontremoli, ambasciatore a Roma per conto degli Sforza di Milano, raccoglie una stupenda e rara biblioteca nel palazzo-torre di Pontremoli. Accanto ai preziosi manoscritti, circa duecento, compaiono cento libri stampati “alla todesca”, gli incunaboli, “i libri in culla”[5]. A Sarzana la biblioteca dei Campofregoso possiede un codice di Tito Livio già appartenuto a Petrarca e l’umanista Antonio Ivani possiede una ricca raccolta di libri[6].
Scrive Edoardo Maria Filipponi: «Ormai non c’è più dubbio: l’inizio dell’attività libraria in Lunigiana ha una data precisa. È il 16 marzo 1458 quando Franchino di Giovanni da Culiano ottiene da Petrizolo An­ziani di Pontremoli un prestito di 27 lire, 7 soldi e 4 denari genovesi per l’acquisto di una partita di mercé necessaria al primo “mercatum tomorum” della storia pontremolese.[7] Nasce così, a nemmeno due anni dall’invenzione della stampa a caratteri mobili, un’attività che si perpetua inin­terrottamente da oltre cinque secoli. Un primato invidiabile che, al di là di ogni altra esperienza a livello europeo, testimonia l’importanza commerciale di una piazza come Pontremoli»[8].
In Italia, la stampa a caratteri mobili giunge nel 1464 ad opera di Corrado da Sweinheim e di Arnaldo Pannartz, due chierici tedeschi chiamati a Subiaco dal cardinale Torquemada, sollecitato dai risultati del Gutenberg. E subito il nuovo modo di diffondere la cultura non passa inosservato in val di Magra dove, accanto all’esperienza commerciale si sviluppa quella editoriale e tipografica. In Lunigiana la stampa fa il proprio ingresso nel 1471, quando Jacopo da Fivizzano, prima da solo, poi in unione con il figlio Alessandro e il prete Battista, mette alle stampe al­meno una decina di titoli, dapprima in Fivizzano e poi in Venezia, dove trasferirà i torchi di lì a tre anni. A Fivizzano escono le Bucoliche, le Georgiche e Eneide di Virgilio, il De officiis, il Lelio ed il Catone maggiore di Cicerone (1472), una Vita della Vergine Maria di Cornazzano (1473), le Satire di Giovenale (1473), la Congiura di Catina di Sallustio (1474)[9]. Il museo di Magonza annovera nella storia della stampa il contributo prezioso del Fivizzano. è infatti assodato che i libri stampati nell’officina di Jacopo da Fivizzano vedono l’impiego del carattere 106R, il primo realizzato in Italia[10]. Nel 1476 a Genova il medico Battista Riccardi di Aulla «costituisce una società tipografico-editrice, allo scopo di stampare e commercializzare breviari e evangelistari»[11]. Nel XV secolo la città di Lucca registra la presenza di maestri pubblici provenienti dalla Lunigiana, tra loro Michele Bagnone, stampatore che utilizza i caratteri tipografici di Jacopo da Fivizzano[12]. A Milano nel 1493 Sebastiano da Pontremoli realizza con Enrico Scinzenzeler la stampa in caratteri greci dei Logoi di Isocrate, «forse il più bel libro greco stampato in Italia»[13].
Che a Pontremoli esista un vasto commercio librario è documentato anche dal testamento dello stampatore e mercante Erasmo Viotti. I Viotti hanno bottega a Parma, dove stampano opere pregevoli, tra cui ricordiamo il bel volume degli Statuta ac Decreta Pontremuli, edito nel 1571 da Seth Viotti. Nel testamento, rogato il 5 novembre 1611, figura un inventario di «Libri, quali sono a Pontremoli lasciati per occasion della fiera». L’elenco è costituito da circa 450 libri, forse un fondo di magazzino, opere per lo più giuridiche, sacre, filosofiche, storiche e di varia umanità. I Viotti, divenuti stampatori ducali e camerali dei Farnese, usufruiscono nella loro attività di particolari privilegi per la vendita e la stampa dei libri. Nel testamento di Erasmo, a favore di Anteo Marani, designato suo erede con l’obbligo di assumere il cognome Viotti, si fa esplicito riferimento alla fiera pontremolese, un avvenimento di una certa notorietà che doveva richiamare gente anche dai paesi lontani[14].
Se negli archivi comunali di Pontremoli troviamo il nome di qualche libraio, come nel Libro delle sentenze del 1685 «contro Giovan Antonio q. Gio. Bertuccj libraro», è alla fine del Settecento che “pontremolese” diventa sinonimo di merciaio girovago che, tra le varie mercanzie che offre in vendita, presenta anche almanacchi per i contadini, libri devozionali, immagini sacre[15]. Il fattore decisivo è dato dallo sviluppo del mercato librario dovuto al movimento culturale dell’Illuminismo europeo. Alla fine del Settecento, con la politica culturale napoleonica, si fanno sentire gli effetti dell’istruzione elementare obbligatoria, perentoriamente diffusa in tutti i dipartimenti. Nel corso dell’Ottocento il fenomeno dei librai ambulanti si fa vistoso per il contributo dei venditori di Montereggio, Parana, Cerro, Pozzo, Busatica del comune di Mulazzo.
Nel fascicolo dei passaporti rilasciati nel 1812 a Pontremoli compaiono i primi nomi delle future dinastie di librai: Maucci, Ghelfi, Fogola, Lorenzelli, Lazzarelli, Tarantola, Bertoni, Bardotti e Zanarelli. Non si qualificano ancora «librai», ma «venditori di pietre e altre coserelle» per evitare controlli e noie. Nel Lombardo-Veneto le autorità periferiche sono così poco abituate a vedere circolare venditori di libri che, nei rari casi in cui l’incontrano, li arrestano nel dubbio di avere di fronte pericolosi spacciatori di merci proibite in possesso di patenti false. Ancora nel 1833 la polizia arresta nel Bergamasco un «banchettista», sorpreso in possesso di alcuni libri proibiti, tra cui un Machiavelli, l’Adone di Marino e l’immancabile Pulcella di Voltaire[16]. In un atto che riguarda Giovanni Fogola di Montereggio, arrestato a Castelnuovo Monti in Garfagnana nel settembre 1854, si legge «l’inventario, eseguito nelle carceri, dei libri che il Fogola stesso possiede».
Il luogo di vendita preferito erano le piazze centrali delle città, dove stendevano i libri sui muriccioli e sui marciapiedi. In seguito, aumentando la portata della loro merce, la gerla è sostituita dal carretto che si trasforma sulle piazze in bancarella ricca di libri di ogni genere. «Quando avevano soldi abbastanza per potersi comprare un carretto col ciuco, — scrive Oriana Fallaci — mandavano a chiamare la moglie, rimasta al villaggio, oppure sposavano la figliola di un altro libraio; e riprendevano a vagare. Per strada, tra una tappa e l’altra nascevano i figlioli. Li mettevano dentro alle ceste, fra i libri del carretto, perché crescessero respirando l’aria della carta stampata e si facessero le ossa fra i titoli dei capolavori»[17].
La vendita ambulante, fatta esponendo la merce estratta dalle gerle o su carretti tirati a mano o trainati da animali, crea problemi ai librai. Ben presto, per ovviare ai tanti inconvenienti, i librai pontremolesi si affidano ai banchi stabili come punti di vendita nei luoghi più centrali delle città. La vendita all’aperto, con l’esposizione di tutta la merce e i costi ridotti di esercizio, presenta grandi vantaggi rispetto ai negozi. I “bancarellai”, poveri di capitali e costretti a praticare i prezzi bassi, puntano sul passante frettoloso, cui offrono un tipo determinato di merce: stampe, calendari, libretti religiosi, romanzi e opere teatrali. Tutti prodotti che risentono meno della concorrenza dei grandi negozi. Scrive sempre la Fallaci: «Alla fine dell’Ottocento molti girovaghi pontremolesi avevano fatto un patrimonio. I loro figli andavano a vendere in carrozza ed avevano aperto notevoli Case Editrici. I meno fortunati possedevano almeno una bancarella fissa sotto i portici di qualche grande città. Da vecchi, cercavano un po’ di riposo, a quel modo. Ci pensavano i figli, cresciuti nelle ceste dei librai, a vagare per le montagne»[18].
Per i venditori ambulanti pontremolesi l’appuntamento in primavera era al passo della Cisa, che lungo l’antico itinerario della via Francigena divide la Lunigiana dalla Padania. Dopo il canto del Maggio, che a Montereggio si canta ancora oggi, si ritrovavano sul valico per mangiare tutti assieme e assegnare le piazze delle città dove andare a vendere, in modo da evitare l’inutile e dannosa concorrenza. Tra i prati, nella sacralità dei monti, si scambiavano le preziose informazioni per rifornirsi della merce da vendere e dove trovare editori di libri a buon prezzo. Difficile, infatti, era trovare dove comprare merce conveniente e adatta alle esigenze del loro commercio. L’ideale trovare dove acquistare i resti di magazzino coi pochi soldi ricavati dalla vendita delle castagne, del formaggio e delle foglie di gelso.
Una vita, quella dei nostri librai, piena di grandi sacrifici, ma anche di tante soddisfazioni per i risultati commerciali, i successi economici e i consensi culturali. «Non avevano confidenza con l’alfabeto, — scrive Oriana Fallaci ― ma “sentivano” quali libri era il caso di comprare e quali no: in virtù di un sesto senso che, dicono, è stato loro donato dal demonio in un’ora di benevolenza»[19]. Oltre agli almanacchi, utili a scandire la vita dei campi, i “pontremolesi” acquistavano nell’Ottocento libri popolari come I reali di Francia, il Guerin Meschino, i Tre moschettieri, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, le Poesie del Giusti, la Genoveffa, la Massima eterna e altri libri di preghiere, l’Orlando Furioso, la Gerusalemme Liberata, le Tragedie del Manzoni e perfino il Boccaccio. Con la gerla piena di libri, pietre da limare e altra merce, andavano per le campagne soprattutto del nord d’Italia a vendere con mille accorgimenti i libri ai contadini. «Aprivano per esempio una pagina qualsiasi dell’Orlando Furioso e cominciavano a declamare. Non leggevano, ma ripetevano le ottave che avevano sentito leggere da altri. I contadini, dopo essersi fatti giurare sulla Madonna dei Sette Rosari che lì dentro c’erano scritte proprio quelle belle parole, si decidevano a prendere il libro per non meno di dieci soldi»[20].
Molte delle librerie del nord e centro Italia sono state create dai “pontremolesi”. I loro nomi appartengono tutti ad uno stesso ceppo, in quanto imparentati fra loro, e tutti dopo aver svolto la vendita ambulante si sono fermati con le loro bancarelle e hanno aperto negozi nelle varie città del nord e centro Italia. I Rinfreschi a Bolzano, Piacenza, Pistoia, Genova e nel Canton Ticino; i Vannini a Parma, Acqui e Brescia; i Galleri a Bologna, Lucca, Pisa, Siena e Milano; i Ghelfi a Verona, Brescia, Padova, Vicenza, Venezia, Piacenza, Parma, Bologna, Ferrara, Rimini, Milano, Recoaro, Treviso, Ancona, Montecatini, Cattolica, Recanati, Orvieto e Vercelli; i Giovannacci a Parma, Piacenza, Como, Sondrio, Varese, Vercelli, Chiavenna, Domodossola, Casale Monferrato, Milano, Voghera, Biella, Alessandria e Courmayeur; i Bertoni a Piacenza, Parma, Voghera, Como, Domodossola, Mantova, Udine, Verona, Vicenza, Venezia e Genova; i Fogòla a Torino, Pescara, L’Aquila, Ancona, Sesto San Giovanni, Genova e Pisa; i Maucci alla Spezia, Genova, Sassari, Milano, Siena e Savona; i Lorenzelli a San Pellegrino, Brescia, Bergamo, Bra, Mantova e Cremona; i Giambiasi a Salsomaggiore, Massa, Como e Savona; i Tarantola alla Spezia, Modena, Parma, Ravenna, Padova, Piacenza, Treviso, Como, Venezia, Udine, Monza, Milano, Belluno, Teramo, Pescara, Bergamo, Brescia, Novi Ligure, Massa e Palermo; i Lazzarelli a Biella, Vercelli, Novara e Imperia; i Lodola a Savona, Massa e Salsomaggiore; i Pellegrini a Cuneo, Mantova e Verona; i Lorgna a Biella, Chiavenna e Acqui; i Cattoni in Francia e nell’Astigiano; i Verducchi a Ferrara; i Bizzarri a Legnano; i Caldi ad Asti; i Simonelli a Perugia; i Zanarelli a Ferrara e Lodi; i Giorgini in Piemonte e a Genova; i Bardotti in Francia e Toscana; i Mancini, i Paolazzi, i Tomasinelli, i Galeazzi e i Donnini in giro per il Piemonte; i Coselli, Orlandini, Micheloni, Tolozzi e Bardini a Genova, i Cattoni di Busatica nel secolo scorso svolgono la vendita ambulante nel nord d’Italia[21]. Questi uomini rappresentano gli antesignani del libro venduto a basso prezzo, accessibile ad ogni borsa, e costituiscono ancora oggi, nonostante le trasformazioni subìte dai loro discendenti, «una casta a parte, una schiatta superiore per intelligenza e attitudini peculiari»[22].
Alberto Vigevani, bibliofilo poeta romanziere, nelle sue memorie intitolate La febbre dei libri, scrive che quand’era ragazzo (Vigevani è nato a Milano nel 1918) vi erano case editrici «che stampavano apposta, su pessima carta, con caratteri usurati, in misere brossure, libri fuori diritti o in traduzioni trucemente scorrette — da Tolstoj a Dumas, da Casanova a Dostoevskij, a Dickens — per smerciarli attraverso le bancarelle che appartenevano tutte a pontremolesi». «Come i quasi conterranei lucchesi che giravano da ambulanti le terre più lontane, vendendo statuine, i pontremolesi si erano sparsi per l’Italia con le bancarelle. Erano spesso parenti: si chiamavano, e si chiamano, Tarantola, Fogola, Gandolfi, Ghelfi, Lorenzelli, Barbato. Spesso si univano per comprare al miglior prezzo fondi di magazzino. Dai loro lombi nacquero dinastie proprietarie di alcune tra le più affermate librerie nel centro delle grandi città»[23].
Dalla consapevolezza dell’importanza del fenomeno dei librai ambulanti ha origine nell’agosto del 1952 il Premio Bancarella. Al primo raduno dei librai pontremolesi sono presenti l’onorevole Giovanni Gronchi, l’editore Valentino Bompiani, Ernesta Cassola (la vedova di Luigi Campolonghi), Salvator Gotta, Perazzoli il segretario dell’Associazione Librai Ambulanti con posteggio fisso. Scrive la Fallaci: «Molti parlarono, ma il discorso impegnativo lo fece Gotta che, tra l’altro, disse un gran bene delle bancarelle. I librai stavano intorno, in piedi sotto i castagni, ad ascoltare con piglio competentissimo». L’indomani si barricano dentro il municipio di Pontremoli e fanno il solenne giuramento sotto il Campanone, la torre medievale fatta costruire da Castruccio Castracani degli Entelminelli. «Uno a un certo punto si alzò, alto e massiccio, con i baffoni all’umbertina, e disse: “Ed ora, amici, propongo un solenne giuramento: quello di ritrovarsi nel nostro paese, ogni anno, in un dato giorno, a questa stessa ora, finché Iddio ci conserva, e fare una bella mangiata”. Seguì un lungo silenzio; poi i librai alzarono lentamente all’altezza del viso la mano e giurarono»[24].
Così nasce il Premio Bancarella, l’unico premio letterario gestito esclusivamente dai librai. Nel ‘53 si conferisce il primo Bancarella a Hemingway con Il vecchio e il mare, anticipando per la prima volta il premio Nobel ; le altre due volte saranno con Pasternak, Il dottor Zivago, e con Singer, La famiglia Moscat. è un premio unico nel panorama dei premi letterari e per le sue origini umili rappresenta lo scacco della provincia contro i fasti delle capitali mondane dei riconoscimenti letterari. La proclamazione avviene in piazza della Repubblica a Pontremoli, ai piedi della torre medievale di Cacciaguerra che è simbolo di pace come deve essere la vera letteratura. Tanti sono i nomi dell’editoria e della letteratura che sono venuti al Bancarella: Bompiani, Feltrinelli, Mursia, Leonardo Mondadori, Rusconi, Vallecchi, Crovi, Berto, Bevilacqua, Biagi, Cassola, Saviane, Fallaci, De Crescenzo, Zavoli, Goldoni, Chiara, Sgarbi, per citarne alcuni. Tra i tanti politici il più presente è stato Giovanni Spadolini[25].


Giuseppe Benelli


[1] G. Petronilli, Venditori di libri, «Il Corriere Aprano», 24 novembre 1962, p. 9.
[2] Cfr. G. Benelli, I librai pontremolesi tra storia e leggenda, «Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze “Giovanni Capellini”», vol. LXXVII (2007), La Spezia 2008, pp. 101-132.
[3] O. Fallaci, Hanno nella valigia i cavalieri antichi, «Epoca», 6 settembre 1952.
[4] G. Zucconi, Il verde covo dei bancarellai, «L’illustrazione italiana», agosto 1960, pp. 69-70.
[5] Cfr. P. Ferrari, Una biblioteca pontremolese del secolo XV, «Giornale Storico della Lunigiana», IV (1912-13), pp. 48-55.
[6] Cfr. L. J. Bononi, Libri e destini. La cultura del libro in Lunigiana nel secondo millennio, Parte Prima, maria pacini fazzi editore, Lucca 2000, pp. 55-57.
[7] Arch. di Stato di Pontremoli, Imbreviature di ser Girolamo Belmesseri, Filza Al, c. 13 r., 16 mar­zo 1457 (1458 stile comune).
[8] E. M. Filipponi, Stampatori e librai, una storia lunga 545 anni, “Il Corriere Apuano”, 13 luglio 2002.
[9] L. J. Bononi, op. cit., pp. 55-57.
[10] Ibidem, pp. 69-79.
[11] Ibidem, p. 135.
[12] Ibidem, pp. 161-165.
[13] Ibidem, pp. 167-170.
[14] G. Bellotti, Una bancarella illustre: i Viotti a Pontremoli, «Corriere Apuano», 18 agosto 1956, p. 4; A. Ciavarella, Introduzione, in L. Bertocchi, M. Bertocchi, V. Bianchi (a cura), Le edizioni bodoniane nelle biblioteche pubbliche di Pontremoli. Catalogo, Artigianelli, Pontremoli 1977, p. 8.
[15] Libro delle sentenze, n. 1510, f. 170r, Sezione dell’Archivio di Stato di Pontremoli.
[16] M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Einaudi, Torino 1980, p.76.
[17] O. Fallaci, op. cit..
[18] Ibidem.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem.
[21] Cfr. G. Benelli, I librai pontremolesi, «Almanacco pontremolese 1988», X, pp. 17-18.
[22] G. Petronilli, Lunigiana, Società Editrice Internazionale, Torino 1961, p. 241.
[23] A. Vigevani, La febbre dei libri. Memorie di un libraio bibliofilo, Sellerio, Palermo 2000, p. 24.
[24] O. Fallaci, op. cit.
[25] Cfr. G. Benelli, Quelle gerle piene di libri. Il Premio Bancarella nasce dalla vocazione culturale della Lunigiana, «Librai del Bancarella», Rivista della Fondazione Città del Libro, n. 0, Luglio 2004, pp. 7-11.

venerdì 23 novembre 2012

EZIA DI CAPUA PRESENTA IL LIBRO " LA MISURA DELL'AMORE " dedicato a Carla Gallerini al CENACOLO ARTISTICO LETTERARIO VAL DI MAGRA R. MICHELONI - ABBAZIA DI SAN CAPRASIO AULLA -


                                                


 CENACOLO ARTISTICO E LETTERARIO VAL DI MAGRA
R. MICHELONI
A.G.E.
AMICI DI SAN CAPRASIO


SIMPOSIO LETTERARIO


La S.V. è invitata
alla presentazione del libro dedicato a Carla Gallerini

La Misura dell’Amore
di Ezia Di Capua

Nota introduttiva di Anna Magnavacca
Vice-Presidente del Cenacolo Artistico Letterario Val di Magra


SALA CAPITOLARE DELLA CHIESA DI SAN CAPRASIO - AULLA

1 DICEMBRE ORE 15,30








TUTTI GLI AMICI SONO INVITATI


martedì 20 novembre 2012

"PER IL RECUPERO DELL'ORATORIO DI SAN NICOLA A FEZZANO : un esempio di progettazione partecipata" di G. Berghich - Relazione della Prof.ssa Eliana M. Vecchi

Martedi 20 novembre, in Sala Consiliare del Palazzo della Provincia della Spezia alle ore 16,30, è stato presentato il volume “ Per il recupero dell’Oratorio di San Nicola al Fezzano – un esempio di progettazione partecipata” di Gianfranco Berghich. L’evento promosso dalla Fondazione Comm. D. Tori ha avuto il patrocinio della provincia della Spezia e dell’Istituto Internazionale di studi Liguri, sezione lunense e della Fondazione Tori.
Ha aperto l’incontro il Commissario Straordinario della Provincia della Spezia, Arch. Marino Fiasella, che ha ricordato Loris Jacopo Bononi, di seguito sono intervenuti il Presidente della Fondazione Tori, Dott. Vinicio Ceccarini, l’Assessore del Comune di Portovenere Sig.ra Faggioni. Ha presentato l’Arch. Roberto Guelfi dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri. Sono intervenuti Arch Gianfranco Berghich sul tema: L’Oratorio di San Nicola al Fezzano: una storia in costruzione  e la restauratrice Sig.ra Paola Orsolon sul tema : La Madonna del Rosario di San Nicola al Fezzano: approccio al restauro con il “minimo intervento”. Moderatore Prof.ssa Eliana M. Vecchi


Un’ulteriore tessera della storia del borgo del Fezzano è stata restituita ai suoi abitanti e al Comune di Porto Venere. È oggi possibile conoscere le vicende dell’oratorio dedicato a San Nicola di Bari, che domina una piazzetta situata all’incrocio di alcuni percorsi nella parte alta del paese. Grazie all’iniziativa della Fondazione Comm. Domenico Tori e, in particolare, di Vinicio Ceccarini, suo Presidente, si è concretizzata una serie di studi condotti da storici, architetti e restauratori, finalizzati a conoscere l’origine del manufatto e a stabilirne le criticità in previsione di un futuro progetto di restauro. I risultati delle ricerche d’archivio e delle analisi strutturali sono stati pubblicati nel libro “Per il recupero dell’Oratorio di San Nicola al Fezzano. Un esempio di progettazione partecipata” opera di Gianfranco Berghich, corredato anche dai contributi dei diversi studiosi impegnati nel progetto, fra cui lo storico dell’arte prof.  Piero Donati.
Oratorio di San Nicola al Fezzano
Realizzato alla fine del XVI secolo, come atto di devozione e di munificenza da parte di un capitano di notabile famiglia genovese, l’oratorio è stato considerato dalla comunità fezzanotta, fino alla costruzione della Chiesa di S. Giovanni Battista nel 1729, il luogo simbolo della propria spiritualità. La storia dell’edificio è inquadrabile in quella del suo borgo, di cui si devono sottolineare le importanti sussistenze architettoniche del XVI e XVII secolo, pur nella dura quotidianità per le genti di quel periodo, che ricavavano il proprio sostentamento da una terra povera e da un mare ricco, ma spesso foriero di attacchi pirateschi.
San Nicola mostra un’impostazione tipica degli edifici sacri devozionali toscani cinque-seicenteschi. I grandi sedili esterni in muratura, posti immediatamente sotto le aperture delle finestre, consentivano ai pellegrini e agli abitanti del borgo d’inginocchiarsi e di poter pregare e venerare le sacre immagini dall’interno oppure semplicemente di sostare. La cella campanaria è addossata al lato destro della facciata, risultandone la naturale continuazione. Un’apertura ad arco, sormontata da una copertura a capanna, accoglie una campana ottocentesca. Il portale è costituito da stipiti e architrave in blocchi monolitici di pietra grigia calcarea, databili al XVIII secolo,  che sostituirono esemplari più antichi probabilmente in arenaria o pietra calcarea grigia locale, sormontati da un architrave monolitico a schiena d’asino con elementi tipici tardo medioevali.
Oratorio di san Nicola - Interno
L’edificio risulta inserito in una zona nodale del nuovo tessuto urbano che si stava formando a Fezzano nel XVI secolo: la piazza in cui esso si trova, infatti, nasce dall’ampliamento di una delle più agevoli vie del borgo che, prima della costruzione dell’attuale strada costiera, consentiva a chi proveniva dalla Spezia di recarsi verso Porto Venere, meta di un pellegrinaggio devozionale ancora attivo nel XVI-XVII secolo ed importante snodo per chi, attraverso il mare, doveva intraprendere la via romea o quella diretta a Santiago de Compostela. Non sembra un caso, quindi, che il titolo dato a questo piccolo edificio sia legato strettamente ad un culto diffuso in  ambiti pellegrinali e marinari. Si può dire quindi che l’oratorio di San Nicola, santo protettore dei pellegrini, dei marinai e degli studenti, il cui culto si diffuse straordinariamente in Occidente  con l’arrivo delle sue reliquie alla fine dell’XI secolo,  rappresentasse la tappa di una serie di tracciati nel nostro territorio in cui fitta era la rete di santuari, cappelle e chiese che  fornivano ristoro fisico e spirituale ai viaggiatori, tanto nel Golfo della Spezia e sulle colline intorno, quanto  nell’alta Lunigiana,.
Il volume che ne riassume le finora inedite vicende, edito dalle Edizioni Giacché per conto della Fondazione Tori, verrà presentato martedì 20 novembre, alle ore 16.30, presso la Sala Consiliare della Provincia della Spezia dall’architetto Roberto Ghelfi, noto studioso degli aspetti storici, architettonici e paesaggistici del territorio spezzino. L’iniziativa, organizzata dalla Fondazione Tori, dalla Provincia della Spezia e dalla Sezione Lunense dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, sarà coordinata ed introdotta dalla prof.ssa Eliana M. Vecchi. Porteranno i saluti istituzionali il Presidente della Provincia Marino Fiasella, il sindaco di Porto Venere Massimo Nardini, il Presidente della Fondazione Tori Vinicio Ceccarini.
In conclusione dell’incontro l’autore  Gianfranco Berghich delineerà la storia di questa ricerca e gli sviluppi futuri auspicati, mentre la restauratrice Paola Orsolon illustrerà il progetto di restauro del quadro con Madonna, Bambino ed i SS. Caterina da Siena e Domenico, collocato sopra l’altare dell’Oratorio, progetto che si sta per avviare  con la collaborazione e supervisione della  Soprintendenza ai Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Liguria.
Conclusione questa che vuole essere solo un primo capitolo del più ampio progetto di recupero e valorizzazione dell’edificio al fine di riconsegnare pienamente al borgo una parte del proprio passato.

Prof.ssa Eliana M. Vecchi

" POESIE PROVENZALI " della poetessa Donatella Zanello

Carissima Ezia, come anticipato ti invio il testo in sintesi di Poesie Provenzali,

Donatella Zanello

2008, Ed. Ibiskos di Alessandra Ulivieri, Empoli, con prefazione di Cristiano Mazzanti. Allego anche presentazione generale ai miei scritti di Luigi Leonardi, fotografie e biografia. Ti ringrazio molto per la pubblicazione, un mio dono a Sala Cargià per il prossimo Natale.
“Poesie Provenzali”è un testo che amo particolarmente, racconta un viaggio nella Francia di confine, la Costa Azzurra e la terra di Provenza dove la famiglia di mio padre ha avuto lontane origini. E’ inoltre il racconto in poesia di una storia d’amore nella quale due solitudini si uniscono per sempre e sfidano la sorte e le avversità. E’ anche un momento fondamentale della mia ricerca artistica in poesia, per questo motivo faccio riferimento all’antichissima tradizione della poesia provenzale. La Francia del Sud è la terra dei trovatori e culla della poesia europea, pertanto è guardando con intensità a quel lontanissimo ed intramontabile passato, è guardando alle origini della poesia che ho scritto ed elaborato, con “furiosa”ispirazione, questo testo poetico, pubblicato nel 2008, premiato con numerosi riconoscimenti, tra cui “Via Francigena”2011.”Poesie Provenzali”è stato presentato nell’agosto 2010 al Castello di San Terenzo da Vasco Bardi, Adriana Beverini e l’assessore alla cultura della Provincia Paola Sisti.
Sono felicissima di questa pubblicazione, un caro abbraccio. Donatella

“POESIE PROVENZALI” di Donatella Zanello

PREFAZIONE di Cristiano Mazzanti

Non sono pagine ma vele. Salpano dal golfo di Lerici
ed approdano al confine delle terre Provenzali. Il vento è quello della libertà dell’amore, dell’idillio….
Le tappe del viaggio, descritte magistralmente fra “colline intere di rose e lavanda”
ed il confine delle acque azzurre toccano la mappa storica della Provenza, da sempre patria di arte, dai tempi della cetra trobadorica a Picasso, che apre infatti una nuiva era pittorica con le dame d’Avignone”. I versi, delicati, con dita di vento sul pentagramma lirico, accompagnano il lettore fra i profumi di Grasse, lo iodio di Cap Martin, la solennità di Avignone…ma la geografia interiore si dilata e raggiunge l’eterno presente nella sospensione delle categorie cartesiane tra spazio e tempo. La strada segreta che si snoda attraverso queste composizioni è quella del viaggio nel vento che si scioglie, con immagine solare, “fino al mare””con fiori e farfalle”.(le farfalle, con i loro cromatismi sono dei fiori con le ali come le poesie sono composizioni poliedriche che volano oltre la pagina).
E l’idillio, nel suo significato più alto e completo, “Eidyllion” dal greco, scrigno di visione, si realizza attraverso il distacco magico, fantastico, profondamente affettivo,dalle coste grige del quotidiano: pensieri zingari, città gitana, storie di pirati, ero nata zingara molto prima di incontrarti. Non è solo l’influenza del festival dei gitani della Camargue: non a caso la casa sul mare ha il salvagente sulla terrazza perché tutto il luogo è un salvagente per non far naufragare l’amore (molto meglio in francese amour, più profondo nell’affondo del dittongo come un Do maggiore su di un pianoforte marino)il ricordo, la cittadinanza vera per la città del sogno.
Il lettore, arrivando alla fine di questo viaggio, si accorgerà quando è troppo tardi del biglietto che deve pagare: la nostalgia di una dimensione rimasta nascosta fra gli arcipelaghi delle emozioni totali con sfida libertaria dove il paesaggio diventa coreografia complice degli affetti “jusqua’la fin”. E dopo l’ultima pagina sentirà il rimpianto per la lavanda provenzale insieme all’amaro di una Gauloise spenta nel portacenere dei ricordi.

Cristiano Mozzanti


Poesie scelte da
“POESIE PROVENZALI” di Donatella Zanello

Il confine                                                                          

Lieve passammo il confine
linea astratta d’ombra e luce
nel verde dei giardini
-                      nel colore del mare mutevole –
era la Francia di confine
con le serre lucenti
sospese come specchi
al riflesso del cielo.
Vedemmo colline intere
di rose e lavanda
-                       era la vita che ci univa
eternamente nel suo abbraccio-.

Erano voli

Erano voli
sulla lunga spiaggia.
Anfiteatro di Picasso,
mani di artisti.
Le case affacciate sul mare
e quel tramonto blu
che ci rubava l’anima.
File di sedie vuote,
a centinaia, davanti al mare.
La notte era nostra,
festa ininterrotta
di musiche straniere.
Erano pensieri zingari,
senza futuro.
Erano voli.
         
                                
                     Donatella Zanello

                                                            "POESIE PROVENZALI"
                                                      PRESENTAZIONE DI LUIGI LEONARDI
                                                           IL MARE E LA SOLITUDINE

                                                             
                  Donatella Zanello  nasce alla Spezia e risiede a Lerici. Laurea in Lettere e Filosofia, scrive poesia, narrativa e saggistica. La sua presenza ai concorsi letterari è molto attiva, figurando sempre molto egregiamente. Fra i tanti vorrei citare: Finalista LericiPea 2001, 2006, 2008 e 2011, 1° premio “Città di Lerici” 2008 e 2010, 2° premio città di San Miniato 2005, più volte finalista al Premio San Valentino Terni, numerosissimi premi speciali giuria, tra cui Via Francigena 2011, Il GOLFO, IL PRIONE. Fra le sue opere: Polvere di primavera, La donna di pietra, La sognatrice,Passiflora, Il tempo immutabile, Labirinti. Presente in prestigiose antologie, inserite sue liriche nei Quaderni del LericiPea. Il suo profilo biografico è inserito nell’importante opera “Storia della letteratura Spezzina e Lunigianese”, a cura di Giovanni Bilotti. Partecipa ad eventi e manifestazioni culturali, autrice di prefazioni.
La sua poesia è molto legata al mare .Il mare nei suoi misteri abissali latenti dentro il poeta o nelle sue inquietudini notturne. Il mare calmo nell’abitudine della risacca, o tempestoso come le passioni, o libero nel suo immenso, o mistico nei tramonti, o origine di vita. E’ una religiosità quella di questa autrice per il mare, un essere legata a questo elemento dominante. “ruggisce il mare/nell’anima, i n eterno/dentro la tenebrosa sera.”
“come il pianto dei figli, il sorriso dei figli, la voce dell’amore a primavera.”
C’è tutto nel mare, anche il respiro dei figli, l’amore, il dolore, la tenerezza, le stagioni, la vita intera .Anche il mare è un labirinto, il labirinto in cui si perde il mitico Odisseo prima di fare ritorno alla patria, Itaca. Le poesie sono quadri dipinti con le parole, nello stile dell’ultimo romanticismo quasi assorbito da un lieve decadentismo. Si avverte una struggente malinconia, pure benefica, come lo è la “saudade” neolatina, come di chi trova pace nel perdersi nel mistero.”Spazi vuoti per morire/con una dolcezza che incatena/dove le pinete sconfinano/tra sabbia e mare”.C’è una sorta di espressionismo, quel tipo di espressionismo che non solo esalta la zona emotiva della realtà ma anche quella dei sensi. E’ una soggettività che sfocia quasi sempre in lirica. L’anima è colpita dalla realtà e la traduce attraverso il proprio stato psichico. Donatella si affaccia a quella finestra lasciata aperta dalla poesia dell’inizio del secolo scorso, dove scaturì la reazione al positivismo. Crolla la fede nella scienza (o meglio dell’uso che l’uomo può fare della scienza), subentra una crisi esistenziale, l’uomo scopre il male di vivere. In questo caso è la mediocrità dilagante di una civiltà impostata su regole di mercato. L’uomo, il poeta approda nella riflessione dell’anima, nella contemplazione della natura e riscopre la caducità della vita. Anche oggi l’ideale scientifico, il progresso della tecnica, il consumismo, la civiltà dell’apparire, non ci confortano di una fede epistemologica, di appigli sicuri per le nostre angosce. Perché fare il poeta non è un piacere, è una fatica. Con la sua arma il poeta sa, intuisce con mira infallibile il significato dell’esistenza. Si spinge fino ai limiti e fino ad un certo punto trova conforto.
Ma la sua arma è un boomerang. Allo stesso modo questa autrice sente il male di vivere del suo tempo: per questo motivo scopre la bellezza dei silenzi, nelle prime ore del mattino, nell’odore di salmastro, nelle distanze del mare e del cielo, come distanze tra l’io e la moltitudine. Ci si sente soli. Anche se questa bellezza, questa idea di bellezza rappresenta un’ancora, una speranza di vaga felicità.
 Un senso nichilistico prende a crescere nella consapevolezza del cambiamento, quindi della caducità, ma senza lasciare troppe conseguenze nostalgiche. Il verso di questa poesia è un verso libero, di una libertà casuale, anarchica come quella dei pensieri.
Il tema della solitudine nel labirinto dell’esistenza intesa come ricerca filosofica ed estetica è il filo conduttore della sua opera letteraria. “Sono sola/un punto qualunque nell’universo”. Nell’impressionante semplicità di tre versi c’è tutta l’eredità di un pensiero, filosofico e letterario, che va da Leopardi a Quasimodo a Pavese. Ognuno è solo con se stesso e non conosce il suo destino ontologico di ente. Ci si sente sperduti in un deserto di desideri, fatalismo ineluttabile. E’un’inquietudine silenziosa come quella dei dipinti di W.Lazzaro, dove solitudine e silenzio fondono l’individuo con gli elementi dell’universo: terra, mare, cosmo. Tutto sembra perdere senso, a tratti, dove le categorie gnoseologiche non bastano alla comprensione umana; dove un mistero onirico, metafisico ci coglie e ci trasporta impotenti nella sua dimensione superiore. Ed è inutile aggrapparsi alle cose quando “tutto scivola in un tremendo silenzio”. Come Pavese, ricordavo, “scenderemo nel gorgo muti”. E’ l’ultimo verso di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. E ancora di Pavese è la ricerca di una pur apparente felicità per non naufragare nel tedio senza fine e senza speranza.

 Luigi Leonardi

Donatella Zanello, nata a La Spezia, poetessa. Vive a Lerici con il marito e le due figlie, lavora a La Spezia. E’ autrice soprattutto di poesia ma anche di narrativa, ama dipingere (olio su tela).La sua ricerca artistica ha inizio nell’infanzia, a tredici anni vince il Primo Premio di Poesia Giovani “Città di Varese Ligure”,studia ed approfondisce i classici ed in modo particolare la filosofia e la letteratura italiana, si diploma nel 1983 al Liceo Classico “T.Parentucelli” di Sarzana con il massimo dei voti, studia Lettere e Filosofia all’Università di Pisa dove si laurea nel 1992 con una tesi in Geografia Regionale su :”Lerici:elementi per una monografia regionale”.La tesi è depositata presso il Centro Studi della Provincia di La Spezia e presso la Biblioteca Civica di Lerici. Nel 1993 vince il Premio Giuria nella Prima Edizione dello storico Premio Letterario “Il Prione” La Spezia, con il racconto “La barca”. Ha collaborato al periodico locale “Il Golfo dei Poeti”di Lerici, diretto da Piero Colotto, con opere di narrativa, saggistica e poesia. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni in antologie e numerosissimi premi in concorsi letterari, in particolare LericiPea, Città di Lerici,Città di Madrid, Città di Salò, Premio San Valentino Terni, Orvieto Duomo,Via Francigena Pontremoli, Premio Casentino, Città di Venezia, Città di La Spezia,Città di San Miniato, Premio Il Golfo La Spezia, Premio Autori per l’Europa Ibiskos di Ulivieri, Empoli,  2011: Premio Giuria ANPS Golfo dei Poeti 2011, Primo Premio Acsi “Firenze Capitale d’Europa”2011, terzo premio “Il Golfo”, La Spezia, 2012. Presiede la giuria del Premio “Cesare Orsini” di Santo Stefano Magra. Partecipa a concorsi letterari e  “ reading” di poesia  quali la settimana culturale di San Terenzo, Lerici, a cura di Vasco Bardi ed iniziative collegate al Premio  LericiPea a Tellaro, La Spezia, Trebiano . Nel 2007 aderisce all’iniziativa “Arte per la Vita: con la Polizia di Stato per la Pediatria”- Questura di La Spezia ed Ass.ne Amici della Pediatria. Nel 1996 pubblica due racconti nell’opera storica “Lerici nei secoli del Rinascimento e del Barocco” di Piero Colotto, docente studioso di storia locale. Si sono interessati alle sue opere Francesco Tonelli, Paolo Bertolani, Ferruccio Battolini, Adriana Beverini, Paola Sisti, Sondra Coggio, Enrico Colombo, Cristiano Mazzanti, Luigi Leonardi, Vasco Bardi, Neuro Bonifazi, Alessandra Ulivieri, Maria Eugenia Miano, Giuseppina Morelli, Elvira Pensa, Alessandra Ulivieri, Ezia DiCapua, Raffaele Cavaliere,Mario Tamberi . E’ autrice di brevi saggi e prefazioni (“Scritti su Rita Baldassarri”, “Elementi di riflessione sulla  poesia”, inediti) Con Mario Tamberi  ha curato il saggio antologico “Francesco Tonelli: cantore di sentiero”. E’ inserita nel secondo volume della “Storia della letteratura spezzina e lunigianese” a cura di Giovanni Bilotti.
E’ autrice delle seguenti raccolte di poesia:
Polvere di primavera”, 2001;
“La donna di pietra”, 2003;
La sognatrice”, 2004;
Passiflora”, 2006;
Il tempo immutabile”, 2007;
Poesie Provenzali”, 2008;
Labirinti”, 2011,( inedita);
Il colore del mare”, 2012(inedita).
Da sempre nei suoi scritti evidenzia la predilezione per i grandi temi della pace nel mondo, dell’ecologia (ecopoesia),  della riflessione storica e  filosofica sulla condizione umana sottoposta dall’ineluttabile sovranità del tempo. Il paesaggio ligure e toscano,  il mare come fonte costante di ispirazione e la ricerca spirituale come unico vero significato dell’esistenza sono altri temi fondamentali della sua opera.


Donatella Zanello

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