martedì 31 dicembre 2013

EZIA DI CAPUA AUGURA FELICE 2014


Felice 2014 nel segno dell’Arte e della Cultura.

Il Blog di Sala Culturale CarGià
è letto in tutto il mondo
31.12.2013 ore 14.26:  54.814 Visualizzazioni
Auguri a Voi cari amici che seguite il mio Blog 
 e condividete  con me Arte e Cultura.

Auguri per un 2014 ricco di idee  e di progetti artistici straordinari


Ringrazio particolarmente i lettori delle seguenti Nazioni:

ITALIA, STATI UNITI, FEDERAZIONE RUSSA, REGNO UNITO, GERMANIA, FRANCIA, THAILANDIA, GIAPPONE, ALBANIA, AUSTRALIA, PAESI BASSI, SPAGNA, SVIZZERA, BRASILE, UCRAINA, TERRITORI PALESTINESI, GEORGIA, ROMANIA, COSTA RICA, MALTA, ISRAELE, INDIA, REPUBBLICA CECA, GRECIA, COSTA D'AVORIO, VENEZUELA,CINA, BOSNIA ERZEGOVINA, AUSTRIA, MONACO, SVEZIA, CROAZIA, COREA DEL SUD, SLOVENIA, MONTENEGRO, IRLANDA, NORVEGIA, POLONIA, CANADA, TAIWAN, BAHAMAS, BELGIO, TURCHIA,  DANIMARCA, BULGARIA, ARGENTINA, MOLDAVIA, COLOMBIA, AFGHANISTAN, REPUBBLICA DI MACEDONIA, CIPRO,  FILIPPINE,  BANGLADESH, PAKISTAN, VIETNAM, URUGUAY, LETTONIA, ISRAELE, EGITTO, SERBIA,  NUOVA ZELANDA, SUDAFRICA, ALGERIA, GIORDANIA, NIGERIA, FINLANDIA, HONDURAS, PORTOGALLO, INDIA, LUSSEMBURGO, TURCHIA, CINA, MESSICO, ROMANIA,  HONG - KONG, ISOLE FAROE, ....

....Auguri  Cari Amici.... così vicini e così lontani .....
Felice 2014 nel segno dell’Arte e della Cultura
con tutto il mio cuore.....Ezia Di Capua


sabato 28 dicembre 2013

mercoledì 25 dicembre 2013

IL CENTRO SUB LA SPEZIA REALIZZA IL NATALE SUBACQUEO 2013 A SAN TERENZO - La Spezia -


Il Natale Subacqueo a San Terenzo
Straordinaria vigilia di Natale vissuta a San Terenzo in pieno clima avverso.
Particolarmente emozionante l’immersione in acqua dei volontari del Centro Sub La Spezia che hanno sfidato condizioni metereologiche al limite dell’impossibile sfidando piogge improvvise eccezionalmente intense ed un mare aggressivo mosso da correnti e vento forte.
Ha vinto il coraggio e la passione che muove il cuore del gruppo dei volontari del Centro Sub La Spezia che  in questa ventiquattresima edizione del Natale Subacqueo ha davvero dato il meglio di sè dimostrando come l’amore per l’evento e per il territorio può prevalere sul pericolo ufficialmente dichiarato in " allerta uno ".
Il contenuto  numero dei presenti, proprio a causa del tempo, ha reso la cerimonia ancora più intima e coinvolgente. La grande stella, la conchiglia bianca, il Bambinello di sabbia, le luci colorate, le torce e l’armonia dei gesti  rispettosi che richiede l’evento ha catturato ed emozionato tutti.
La lettura della preghiera
La lettura della preghiera del subacqueo ha echeggiato alta in tutto il Golfo dei Poeti come le belle parole che il Sub Stefano Pennacchi ha dedicato a Carla Gallerini, ricordando il suo spirito attraverso una poesia dedicata al paese da lei scritta e raccolta nel libro “ La Misura dell’Amore “ di Ezia Di Capua.
Molti i battiti di mano e i primi auguri scambiati a bassa voce quasi a non voler disturbare l’evento nella sua magicità, nella sua religiosità.
Di seguito il Bambino Gesù è stato accompagnato alla Chiesa locale dove era atteso.
Bello questo spirito del Natale spettinato da un vento insistente, magnifico lo spirito di tutti i volontari del Centro Sub La Spezia che ancora bagnati, poco dopo l'evento, già pensavano come realizzare il prossimo anno il 25° Natale Subacqueo a San Terenzo.
Una data importante per chi, per tutti questi anni, ha reso possibile la nascita del Bambino Gesù dalle acque, sfidando difficoltà naturali, burocratiche e non solo.
Sono davvero grata a quanti hanno contribuito quest'anno a realizzare al meglio l’evento,così importante per i credenti della piccola comunità di San Terenzo che nella nascita dalle acque leggono i buoni auspici di forza, fecondità, equilibrio  e simbiosi con la natura e in più semplici parole tutti i messaggi che sono trasmessi dal classico presepe, interpretato nella forma del presepe vivente di San Francesco.

Preghiera del Subacqueo
Signore degli abissi che segnasti i confini tra la terra e le acque,
gli uccelli di piume e l’uomo di intelletto e volontà,
fa che il mio cosciente ardimento non sia vano,
ma sia degno della tua grazia divina.
Con Paolo tuo Apostolo, che conobbe tre volte i pericoli del mare e sempre salvasti, affinché compisse la sua missione, ti prego di porgermi la tua paterna mano,
come io prometto di proteggere fraternamente la mia a tutti coloro che si trovano in pericolo ed in pena.
Concedi o Signore, che Paolo mi sia vicino nelle missioni, conforto nelle imprese rischiose,
soccorso nelle strenue fatiche, per la salvezza del corpo e dell’anima.
.....Così sia 


......Auguri vivissimi a tutti,  Ezia Di Capua



domenica 22 dicembre 2013

NATALE SUBACQUEO A SAN TERENZO:dichiarazioni di Ezia Di Capua a LA NAZIONE


                 
LA NAZIONE - domenica  22 Dicembre 2013
per leggere meglio l'articolo clicca sull'immagine
Il mio Grazie e la mia stima a Marco Magi
Ezia Di Capua

GLI AUGURI DEL SINDACO DI LERICI MARCO CALURI


a Ezia Di Capua

I migliori auguri di Buon Natale


Il Sindaco
Marco Caluri

sabato 21 dicembre 2013

"L' INFINITO DI SERGIO TEDOLDI": intervento del critico Valerio Cremolini

Sala Culturale CarGià: Eventi Artistici e Culturali a La Spezia

Venerdi 20 dicembre, durante il consueto incontro di fine anno della Camera di Commercio della Spezia, dopo le relazioni sui temi economici del presidente Gianfranco Bianchi e del segretario  Stefano Senese, è stato presentato da Valerio P.Cremolini il dipinto del pittore Sergio Tedoldi, inserito nella collezione dell’ente camerale cittadino. Di seguito proponiamo, in gran parte, l’intervento del critico spezzino, intitolato “L’infinito di Sergio Tedoldi”.

SERGIO TEDOLDI
- il dipinto donato alla Camera di Commercio della Spezia -
…………Quello dell’arte è un tema con molte facce; è un tema che ha dimensioni universali e di questa sconfinata totalità ne è partecipe anche la nostra realtà locale, con il passato, il presente e con la sua tradizione. Sergio Tedoldi ha scelto la professione non certo tranquilla del pittore (ma è anche scultore ed eccellente grafico) e, nel suo piccolo, è un protagonista di questo spaccato dell’esistenza umana, che investe storia, letteratura, cinema, sport e, ancora, l’urbanistica, l’industria, la psicologia, la filosofia, la sociologia e, come accennato, la finanzia e l’economia in generale.
L’artista al centro del mio intervento, il cui dipinto donato alla Camera di Commercio è da oggi compreso nella collezione di tutto riguardo dell’ente camerale, è anagraficamente testimone con un nutrito di colleghi di una generazione che ha saputo esprimere una forte identità, affermando linee di ricerca strettamente attinenti alla pluralità dei linguaggi censiti nell’arte contemporanea. Con Tedoldi ne è partecipe una comunità di pittori e pittrici, di scultori e di scultrici che hanno animato non episodicamente una situazione artistica spezzina, davvero non sonnolenta.
Sono persone che hanno coniugato interamente le loro vite alla creatività artistica e sarebbe culturalmente significativo, nonché gratificante, poter realizzare una specifica mostra, attingendo anche alle collezioni della Camera di Commercio, della Cassa di Risparmio della Spezia e della Prefettura della Spezia. I tre enti, peraltro, custodiscono opere di Sergio Tedoldi.
Questa generazione si è fatta apprezzare sia dal punto di vista estetico, sia per le personali “aree di impegno” gestite da vari artisti, attenti a non disgiungere, bensì ad attualizzare nel proprio lavoro l’esame del sociale. Andando con il pensiero agli anni Settanta-Ottanta, periodo artisticamente complesso a livello nazionale, vi colgo il profilo di Tedoldi, caratterizzato da vivacità intellettuale, dalla sua convincente proposta pittorica, dal suo interesse a condividere il dibattito sul significato dell’arte, sul ruolo degli artisti e sull’arte come impegno nel sociale. Momenti, quelli, di apertura alla conoscenza del passato e del presente, di confronti intelligenti, non privi, talora, di contrasti ideologici.
La riconoscibilità della pittura di Tedoldi, valorizzata dalla sua consueta figurazione, di sovente sviluppata su un’immensa scena teatrale, che sembra dilatarsi all’infinito, non è mai venuta meno. Si può affermare senza essere smentiti che l’artista continui a sentirsi cittadino della grande e variegata area della figurazione, segnata dal suo spirito libero, critico quanto basta, per rispondere alla sua sensibilità culturale. Chi entra nel suo studio s’imbatte nel cavalletto, in tubetti di colore e in pennelli e percepisce immediatamente di trovarsi in un contesto di esperta professionalità. Lo sguardo è attratto da tele di ogni dimensione, quasi sempre ben disposte. In alcune di esse i volti, più o meno simili, a quelli della serigrafia che oggi ci dona la Camera di Commercio, si succedono in più posture. Talvolta sono veri e propri giganti, che dominano boschi impetuosi, inverosimili spaccati urbani e architetture imponenti.
Nel lontano 1985 scrivevo che “l’uomo fatto e rifatto tante volte da Tedoldi si interroga e ci interroga, non è onnipotente, né impotente, ha autorevolezza e rango sociale da difendere”. È una persona vincente, mai soccombente.
Quell’avvertibile stato di smarrimento lo si coglie, inoltre, in originali nature morte che hanno come singolari interlocutori il paesaggio marino, catene montuose e cieli offuscati. Il tutto, ricco di colore, concorre “a definire panorami dalla bellezza perturbante e coinvolgente”.
In qualche modo si concretizzano delle inattese affinità con gli insuperabili versi di Giacomo Leopardi, per cui dinanzi a talune tele di Tedoldi il pensiero naufraga realmente tra la sua immensa visionarietà. Quando necessita, allora, è opportuno accantonare la razionalità ed abbandonarsi alla seduzione delle più diverse sensazioni.
Ci sono precisi riferimenti nella pittura di Tedoldi, che Marcello Venturoli definiva “un pittore vivo e riconoscibile, dotato di una capacità di comunicazione, ricco di umanità e, per sua fortuna, controcorrente”? Nella sua formazione e nell’affermazione della sua esuberante visionarietà ha certamente un posto di rilievo la rivisitazione molto personale dell’avanguardia surrealista. Ma è soprattutto la forza evocativa e poetica di Alberto Savinio, e del suo celebre fratello Giorgio De Chirico, declinata nella rivelazione del mistero, nel susseguirsi di silenzio, di immobilità, di immagini inconsce, di scatti fantastici e di meraviglia, che continua ad appassionare il pittore spezzino.
Ho citato Venturoli, ma altrettante pagine dense di stimolanti riflessioni sono state dedicate alla sua pittura, ben accolta in mostre in Italia e all’estero. Su di essa hanno scritto Ferruccio Battolini, Fabrizio Buia, Bruno Della Rosa, Renzo Fregoso, Lino Marzulli, Paolo Ratti, Andrea Ranieri, Matteo Sara e l’amico scrittore Maurizio Maggiani, il quale ha legato la provenienza della pittura di Tedoldi “da qualcosa di segreto nel suo dentro, da quella grand’arte che un po’ sovrasta la coscienza, che fa da padrone su ogni possibile coscienza”.
Ma, sicuramente, il miglior complimento Tedoldi lo ha ricevuto da Vittorio Sgarbi, quando in occasione di una sorprendente visita notturna nel suo studio di Pegazzano, avendo già visto in altra sede alcuni suoi dipinti, gli ha detto che pensava di trovarsi dinanzi ad un giovane pittore. Certamente è rimasto stupito dall’energia, dalla rigogliosità cromatica, dalla solidità compositiva, da una percepibile dose di rabbiosità e dalla inesauribile vena pittorica espressa dai suoi dipinti aperti sull’infinito.


Valerio P. Cremolini


domenica 15 dicembre 2013

SALA CARGIA' ORGANIZZA IL NATALE SUBACQUEO 2013 A SAN TERENZO

Sala Culturale CarGià
Il Presepe di Sabbia
2° classificato al Concorso Presepi 2011
Diocesi La Spezia - Brugnato
Con il patrocinio del Comune di Lerici  e l’autorizzazione del ministero delle infrastrutture e dei trasporti Capitaneria di Porto della Spezia, Sala Culturale CarGià, insieme al Gruppo Sommozzatori Centro Nuoto Sub La Spezia, la Pubblica Assistenza Lerici e Pesca Sport di San Terenzo, organizzano la ventiquattresima edizione del Natale Subacqueo, nelle acque entro diga, splendido specchio acqueo del Golfo dei Poeti, antistanti a San Terenzo.
Notevole l’impegno del gruppo Sommozzatori Centro Nuoto Sub che illuminerà con luci il nostro amato amare. A nuoto, un folto gruppo di sub volontari  giungeranno da lontano  in processione silenziosa portando fiaccole per individuare il bambinello sul fondo del mare.

Nascerà quindi dalle acque, il Bambino Gesù , colui che porta la Pace nel mondo”.

Sarà  sollevato  dalle acque  e in trionfo, accolto in una gigantesca candida conchiglia dono del mare, sarà  gioia nuova per tutti e viva speranza che la  nascita divina  sia  anche rinascita dell’Umanità .
La Tradizione attribuisce al santo Francesco l’invenzione del Presepe, almeno nella sua formulazione moderna.
E’ importante per San Terenzo che la celebrazione della nascita del Bambino Gesù, avvenga in mare perché dal mare la popolazione del territorio, già nel medioevo borgo di pescatori, ha nei secoli tratto significativo sostentamento. L’acqua è poi simbolo di vita, di purezza e memoria del Santo Battesimo e, proprio in quel mare, a poca distanza dalla Chiesa, fu ritrovato sulla spiaggia, portato dal mare, il dipinto della Madonna dell’Arena, tavola del XV secolo custodita e venerata nella Chiesa del luogo che è dedicata alla Natività della Vergine Maria.
La suggestiva cerimonia di recupero del Bambinello  è prevista prima della mezzanotte. Sulla spiaggia  verrà recitata la preghiera del subacqueo e verrà ricordata Carla Gallerini che per anni è stata promotrice, curatrice e sostenitrice dell’evento .
Di seguito il Bambinello sarà accompagnato all’ingresso della Chiesa locale, sarà quindi deposto nel Presepe e verrà celebrata la Santa Messa.
Nel Presepe si celebra la Famiglia Naturale, il focolare domestico, la vicinanza della Natura, i Re Magi e  la nobiltà dell’ospite, i pastori e la Paideia (l’educazione), i cesti con i “ Buoni Frutti ”, la Stella Cometa grande punto di riferimento assoluto, ovvero la Fratellanza Universale.

Il Natale Subacqueo di San Terenzo è inserito nel Calendario Eventi del Comune di
Lerici:http://www.comune.lerici.sp.it/allegati/brochure%20Natale%202013.pdf

INFO VIABILITÀ: www.comune.lerici.sp.it
SAN TERENZO: ZTL aperta dal 23 novembre al 23 febbraio





martedì 10 dicembre 2013

LEONARDO LUSTIG: scultura in bronzo “Pescatore” - testo di Valerio P.Cremolini

Proponiamo il testo di Valerio P.Cremolini, intitolato “Creatività e bellezza”, pubblicato sulla monografia dedicata alla scultura in bronzo “Pescatore” di Leonardo Lustig ( S.Margherita Ligure,1969 ). L’opera, collocata a Sestri Levante, nella suggestiva Baia del Silenzio, è stata inaugurata nel pomeriggio di sabato 7 dicembre durante una partecipata cerimonia pubblica, caratterizzata dagli interventi del sindaco di Sestri Levante Valentina Ghio, del donatore dell’importante scultura, Gianfranco Traverso,  di esponenti del comitato promotore dell’iniziativa.

La Baia del Silenzio
- Sestri Levante -
Quando sono invitato a condividere i miei pensieri sull’impegnativo lavoro degli scultori penso sempre di quante e quali straordinarie sensazioni essi siano partecipi nello scolpire il legno, il marmo, nel modellare la creta e altre materie. Figurarsi quale deve essere l’emozione nel vedere crescere gradualmente l’opera fra entusiasmo e impazienza che va a completarsi nelle forme desiderate “per forza del levare”, secondo i propositi di Michelangelo e del Vasari.
Leonardo Lustig mi ha reso ripetutamente partecipe di tale duratura sensazione di meraviglia ed anche in questa circostanza non si è annebbiato il primissimo incanto subìto dinanzi alle mirabili sculture disposte nel giardino adiacente lo studio di Villa Bozano Gandolfi a San Lorenzo della Costa. Esse vivono tranquillamente il dinamico tempo della modernità, accolta da Lustig senza alcuna forzatura, pur esaltando all’istante la magistrale tradizione classica. “La modernità come obbligo non lascia respiro e chiude tante vie”, ammoniva sapientemente Arturo Martini.
L’elegante e documentata monografia edita nel 2006 riferisce compiutamente i principali passaggi della ricerca del nostro artista, che vanta tra i suoi attendibili riferimenti, secondo l’acuta analisi del non dimenticato Franco Ragazzi, “Gemito e Messina, ma anche Aristide Maillol,  Charles Despiau ed Ernesto De Fiori”, trasferendo “in maniera stupefacente i segni e le forme della scultura del passato nella nostra contemporaneità”.

Leonardo Lustig
"Pescatore"
scultura in bronzo
Non vi è, ovviamente, alcuna trascrizione immediata tra la cultura plastica dei citati scultori e quella di Lustig, ma per rapidi accenni sono di Vincenzo Gemito, autore anch’egli di un famoso Pescatoriello di ben diversa postura, l’affermazione della più naturale fisicità; di Francesco Messina, il percepibile realismo e il rigore formale; di Aristide Maillol, il vigore plastico e la perfezione formale; di Charles Despiau, l’atteggiamento meditativo e l’afflato spirituale; di Ernesto De Fiori, la malinconica riflessività.
È fin troppo evidente, comunque, che  Lustig sia titolare, oltre che di una superlativa manualità, di una ben identificabile identità scultorea che predilige la naturalezza delle forme accarezzate da un lieve, ma palpabile arcaismo. È quanto appartiene allo splendido Pescatore in bronzo, destinato ad aggiungere meraviglia alla già magnifica “Baia del Silenzio” di Sestri Levante. Questa esemplare scultura, generata da un processo davvero prodigioso rivela all’istante forza e leggerezza, saldezza strutturale e rigore compositivo, aprendo la mente alla complessità del processo esecutivo e all’immenso scenario della bellezza, tanto mitizzata con successo nelle atletiche figure della statuaria greca, assegnate a celebri personalità dell’età classica. 
A tal proposito, è noto come il corpo fosse deputato a dare visibilità alle virtù della persona e, in particolare, alla sua perfezione morale.
In merito all’elaborazione dell’opera, richiamo sempre con piacere alcune brillanti considerazioni dell’esperto scultore spezzino Fabrizio Mismas. Afferma  l’artista che “dopo tanti anni, nulla è cambiato nell’insondabile, irrazionale atto creativo. I propositi iniziali spesso sono presto traditi: comanda la materia. É lei che suggerisce, è lei che impone i cambiamenti, è lei che si trucca da vena d’oro: prima si cela, poi maliziosa si fa desiderare, scoprire lentamente, infine, quando si rivela ti compromette e ti obbliga a seguire il suo verso e ti ritrovi dove tu non volevi e dove lei aveva deciso. E quasi sempre ha ragione lei, perché l’essersi lasciato governare ha prodotto un oggetto con un pizzico d’ali mentre l’idea originaria aveva i piedi correttamente piantati a terra. E allora capisci che al di là dai castelli programmatici, dai manifesti, dalle complesse elucubrazioni contenutistiche, la scultura non è niente di più che un parlare di scultura con parole plastiche le più personali possibili, nient’altro che un fotografare dal buco della serratura le infinite intimità celate da madama scultura”. 


Credo che anche la genesi del Pescatore si sia giovata di un intimo e silenzioso dialogo, che per Mario de Micheli  rappresenta “un dato necessario del processo plastico”, fra lo scultore e la materia, plasmata per approdare alla nudità di una figura perfetta, tanto concreta quanto, per l’indiscutibile fascino che sprigiona, prossima alla dimensione divina. É una nudità volutamente priva di eros che evoca virilità, ma non eroicità, che attrae senza voler necessariamente sedurre e, come in altre ammirevoli sculture cariche di fisicità, Lustig vi celebra il suo riconoscibile stile. In tal modo egli affronta senza banalità descrittive spaccati dell’esistenza umana, declinata tra emozioni di segno diverso.
Ho rilevato in altra circostanza che “sono persuaso che ogni artista lasci sempre traccia del proprio essere e che, pertanto, le opere contengano di sovente significativi riferimenti autobiografici. Con i motivi che le hanno ispirate esse custodiscono dubbi, interrogativi, pentimenti, sussulti interiori, allusioni sentimentali.”
Il Pescatore, formalmente ineccepibile, induce l’osservatore a cogliere nella nudità esibita senza falso pudore una straordinaria naturalezza, che ne caratterizza anche il laborioso impegno nell’occupazione quotidiana. L’azione del ritirare la rete è, infatti, tutt’altro che affrettata, seppure è probabile che molti pensieri occupino la mente del giovane pescatore dedito alla sua occupazione con avvertibile serenità. Il suo è un gesto consueto che non impone né foga né affanno; così lo sguardo fermo è diretto alla rete, proposta quasi come appendice del suo levigatissimo corpo, dalla muscolatura non esasperata, dal volto serioso e sbarbato e dalla capigliatura ricciola e compatta. 
L’interpretazione del pescatore offerta da Lustig, nel fissare con verosimiglianza una reale situazione, intenzionalmente arricchita di apporti psicologici, sancisce la libertà espressiva dello scultore, per nulla insofferente nel richiamare soluzioni classiche che hanno sempre molto da suggerire nel tempo della modernità.
Come altri esimi artisti Lustig è capace di dare vitalità alla materia, sintesi di verità e di bellezza, anche spirituale, farla vibrare, sublimarla, scandendone luci ed ombre, eliminandone rigidità ed asprezze, rivelando eccellenti raffinatezze tecniche, frutti di un lavoro paziente affrontato con rinnovata passione che non conosce discontinuità e che ha favorito un’idea di scultura autentica e sostanzialmente omogenea.
Dal sito dove il Pescatore è collocato muoverà attenzioni, sguardi interessati e inattese narrazioni. Saprà porsi come eccellente intervento di arredo urbano che valorizza il territorio, come testimonianza artistica, espressiva di valori estetici e di esperienze esistenziali, quale è il lavoro dell’uomo. Annuncerà, inoltre, un sincero messaggio di amore per la natura e per il mare che lo custodirà  amabilmente tra le sue onde.

Valerio P.Cremolini


Sala Culturale CarGià: Leonardo Lustig: http://www.leonardolustig.it/


domenica 8 dicembre 2013

"IL COLORE DEL MARE" - Poesie di Donatella Zanello

Sala  Culturale Cargià – Promozione Arte e Cultura 2013 – sezione Poesia

Ringrazio sentitamente la poetessa Donatella Zanello che ha autorizzato la parziale pubblicazione nel Blog de “ Il colore del mare”
Ezia Di Capua

                              -  in copertina -
                              VITTORIO NOBILI
                    "  Mareggiata a Moneglia ”- tecnica mista su tela.
                             
                                           

Recentissima la pubblicazione presso le Edizioni Cinque Terre di La Spezia del libro “Il colore del mare” di Donatella Zanello, con  prefazione di Luigi Leonardi, illustrazioni di Vittorio Nobili e note critiche di Annalisa Pellegrini. In appendice al testo poetico viene pubblicato il racconto “La barca”, Premio Speciale Giuria Il Prione 1993 come miglior racconto avente per tema “il mare”. La silloge, scritta nel 2011, è stata presentata per la prima volta, come opera inedita, al castello di San Terenzo il 22 Agosto 2012, nell’ambito della settimana della cultura al Castello.
Scrive l’autrice nella sua nota introduttiva: “Questo libro è ispirato alla vita straordinaria di un navigante ed è la sintesi lirica delle sue memorie, narratemi nelle sere della mia infanzia, incastonate nelle pieghe del tempo come un tesoro prezioso. Ascoltavo affascinata questo suo raccontare. Il nonno aveva viaggiato sul mare per ben quaranta anni e patito due guerre. Mi descriveva i luoghi dei suoi viaggi, gli avvenimenti, gli usi e i costumi dei popoli, con un linguaggio carico di poesia e di saggezza. Si esprimeva sia in lingua italiana che nel dialetto ligure di Lerici e spesso usava espressioni in lingua francese e spagnola. Nelle sue parole ho potuto raccogliere la testimonianza di un vissuto storico e sociale che si iscrive nella tradizione di un territorio, la Liguria di Levante, in modo particolare ed in generale nella più ampia tradizione marinaresca del Mediterraneo, la cui chiave di lettura è una vera e propria mitologia del mare, elemento-simbolo fondamentale, foriero di molteplici suggestioni ed interpretazioni. Ho scritto queste pagine per un debito di amore e di rispetto. La memoria è diventata poesia.”


IL COLORE DEL MARE

All’alba della mia vita
ho conosciuto il mare,
muovendo i primi passi
sulla riva, sui ciottoli
e la sabbia della spiaggia.
Ho imparato a conoscere
il tempo di domani
dalla direzione del vento,
distinguendo il futuro
nel colore cangiante
delle onde nella sera,
specchio del cielo riflesso.
Il colore del mare,
turchese e grigio e giada,
azzurro e bianco e blu,
rosso fuoco nel tramonto,
lo porto negli occhi
e nel cuore.
Nell’eternità.

Il colore del mare : quest’ultima lirica conclude e dà il titolo alla silloge.
Il “colore del mare” rappresenta un caleidoscopio di colori, un arcobaleno dalle innumerevoli sfumature.
E’ il colore della vita stessa, colta, afferrata, attraversata nella sua perenne mutevolezza, nell’infinita tendenza al rinnovamento ed alla rinascita spirituale, esercitata ed ottenuta attraverso la memoria del passato. Il colore del mare è simbolicamente “il colore degli occhi di Dio”, a testimoniare un afflato religioso, un teorema estetico e stilistico che permea in sintesi lirica il contenuto ovvero la narrazione – perché di “narrazione poetica” si tratta, sperimentata e messa in atto  nell’intera opera.

INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI
per gentile concessione dell’Autore:

1)“Mareggiata a Moneglia”,*V. Nobili,  tecnica mista su tela, Photo 3 D La Spezia
2)“Vele sotto al Castello”, V. Nobili, tecnica mista su tela, Photo 3 D La Spezia
3)”Ossevando il Golfo”, V.Nobili, tecnica mista su tela, Photo 3 D La Spezia
4)“La barca sul sentiero”, V. Nobili, tecnica mista su tela, Photo 3 D La Spezia
5)“La barca del Casali”,V. Nobili,  tecnica mista su tela, Photo 3 D La Spezia

*Vittorio Nobili, nato nel 1935 a La Spezia, importante pittore impressionista paesaggista. Nella sua galleria: Piccola Galleria del Golfo - La Spezia, riunisce una vasta collezione di tele raffiguranti varie località del Golfo dei Poeti e della Lunigiana storica, Gragnola in particolare. Nel 1985 è stato insignito dal Presidente Pertini dell’onorificenza di Cavaliere al merito, per essersi distinto nel lavoro e per i suoi impegni umanitari e di volontariato. Coordinatore delle squadre della Pubblica Assistenza di La Spezia, in prima linea, eroicamente,  negli interventi della Protezione Civile nelle calamità di Longarone nel 1963, Firenze 1966, Friuli 1965 e Irpinia 1980. Vittorio Nobili si dedica intensamente alla pittura con attività instancabile e vastissima produzione,ottenendo numerosi primi premi e riconoscimenti. Nei suoi dipinti manifesta una  malinconia orgogliosa, una vera e propria“saudade” mediterranea, fornendo una preziosa interpretazione artistica ed una straordinaria  testimonianza storica degli aspetti più caratteristici del territorio della Provincia di La Spezia.


LE MARACAS  DELLA FELICITA’

A Cartagena de Indias,
sotto il sole,
 tutti sembravano felici
anche se non avevano nulla.
Erano felici del mare e del sole
e di essere vivi, nient’altro.
Mi aggiravo curioso
nel variopinto mercato
e quell’uomo mi offrì
le “maracas”,
due piccoli
straordinari
strumenti musicali,
due zucche dipinte
con all’interno
l’allegra musica
di un pugno di semi
che agitati producono
un ritmo incalzante di vita.
Ne acquistai  un paio
con pochi spiccioli.
Il venditore,  scuro di pelle,
mi rivolse un sorriso splendente
e mi disse che quel giorno
mi ero comprato la felicità.

NOTE  CRITICHE di Annalisa  Pellegrini

“Saggezza” 
La voce solitaria del marinaio che erra sul mare infinito e sterminato s’innalza malinconica. La sua è una consapevolezza dettata dall’esperienza, il mondo gli appare nella sua totalità ed immensità, quella stessa del pelago che lo avvolge, lo circonda, distaccandolo dalla normalità. Ed è in questo spazio infinito e allo stesso tempo infinitesimo che si muove il suo primo pensiero, librandosi al di là del presente alla visione del futuro, che egli interpreta attraverso segni naturali come un moderno augure.

“Ulisse (naufrago senza nome)”
Ulisse figura mitica e leggendaria di eroe-soldato-marinaio il cui destino di eterno viaggiatore è segnato dal fato. Il suo rocambolesco tornare alle origini lo avvicina alla figura del navigante odierno con la sua ambizione di fare ritorno ma con la curiosità di restare sulle onde per vedere nuovi mondi e scoprire nuovi miraggi. Il mare lo attrae con una forza primigenia ed assoluta, lo lega a sé con una potenza viscerale e cruda che talvolta lo immerge nella sua oscurità per farlo riemergere alla luce di una nuova ed imprescindibile conoscenza. Solo gli abissi custodiscono la verità, solo l’acqua ci lega alla vita. Quando la terra riaccoglie il naufrago la sua esistenza è perduta, trascinata via dal suo stesso elemento, mentre la sua anima si scopre solitaria nella contemplazione delle poche immagini conosciute e rassicuranti.

“L’isola di Calipso”
Il mare che dà la vita e che la toglie è l’elemento costitutivo di questa ninfa nella quale tutto richiama l’idea dell’acqua: dal colore dei suoi occhi al suo corpo cangiante che rievoca le scaglie dei pesci. La sua meravigliosa bellezza la rende desiderabile e attraente come una sirena che provoca e richiama i marinai con il suo canto sublime. Paradigma di un ritorno che è fine di vita, di un paradiso perduto, patria dei naviganti, la cui esistenza è perenne ricerca della bellezza assoluta e il cui ultimo desiderio è ricongiungersi a tale sacralità eterna ed infinita.

“Le radici del mare”
Una vita intera donata ai flutti, un’adolescenza vissuta su di una nave, partendo dal gradino più basso. Scelta dettata dal bisogno in un momento complicato ed infelice, in cui le malattie e le privazioni costituiscono il normale scorrere dei giorni. Il dolore e la sofferenza per una vita in cui occorre lottare per respirare, in cui accadono tragedie che straziano l’anima ed il cuore. La nave è là che attende, affamata di giovani, il mare spalanca le sue fauci per accogliere, per rapire.
E la nave bianca e solitaria tra il blu profondo diventa casa, dimora, madre e padre, diventa famiglia e futuro, diventa patria e fratello, diventa àncora e salvezza. Il mare insegna, il mare cresce, rende uomini ed irrobustisce lo spirito. Il mare allevia tutti i dolori e allontana dalla disperazione.

“La canzone del marinaio”
La solitudine, l’angoscia, la malinconia, le note di un canto.
Un canto d’amore si erge sulle calme distese marine e si confonde con il monotono rumore delle onde. Il paesaggio è fisso, perenne, sempre uguale a se stesso. Rari i momenti di lieve cambiamento, quando l’occhio incontra navi solitarie oltre l’orizzonte. Giorni sempre uguali conducono di porto in porto, di città in città. Ma la terra che accoglie e rifiuta non sembra essere diversa dalla lontananza, dall’abbandono vissuto costantemente. Il navigante continua a cercare conforto negli occhi di persone che conoscono solo la tristezza e continua a diffondere la sua amara melodia, che lo isola ancor più e lo riporta tra le ombre di coloro che non ritorneranno. Struggente nella sua semplicità, il poeta rende potente ed evidente l’immagine di un’esistenza triste e ritirata, alla quale il marinaio sembra abituato e dalla quale non può sfuggire. Il suo mare diviene una distesa di azzurra solitudine sulla quale egli può solo diffondere le sue dolorose armonie.

“La donna amata”
L’amore attraverso gli occhi dell’innamorato. I primi incontri timidi e fugaci, la promessa eterna di una felicità irraggiungibile. Richiamo al dolce StilNovo, al Cavalcanti di “Voi che per gli occhi mi passaste il cuore”. In uno stile narrativo lieve e sospeso viene introdotta la figura di una donna – angelo, fonte di salvezza, le cui doti di grande umanità e pazienza vengono esaltate attraverso l’immagine di un’attesa lunga una vita, attesa che l’avvicina alla mitologica Penelope.
E ancora il mare che divide e allontana, che sbiadisce i ricordi, che lega ancora di più a ciò che è distante relegandolo ad un universo altro, raggiungibile solo a brevi tratti.

“Tempo di guerra”
Stile asciutto ed essenziale per questa lirica in cui si coglie tutta la disperazione ed il progressivo disfacimento bellico. Il mare qui sembra essere un porto sicuro, che rende distanti gli orrori. La guerra è a terra, la guerra è altrove, le armi non nuotano sulle onde placide. Ed è proprio l’avvicinarsi al continente che innesca la distruzione, dà origine alla prigionia, riporta alle immagini  atroci ed amare della morte, della fame e della paura. Il contatto con la morte stessa dà origine ad un attaccamento alla vita ancora più forte e potente.
Gli ultimi versi richiamano l’Ungaretti di “Veglia”.

“Mare Adriatico”
Racconto- resoconto dei difficili momenti vissuti durante la Seconda Guerra Mondiale. Contrasto tra un mondo sospeso come quello dell’acqua, che attutisce tutti i rumori in un sostanziale isolamento, dato dall’immagine essenziale della nave che scivola sulle lente pianure di un mare calmo e chiaro e la realtà del dramma che imperversa in tutta Europa. Forti ed indicative le immagini evocate dai versi 10-11, che, chiaramente, appaiono in contrapposizione con i versi successivi ed in particolare con la chiusura della lirica che, ancora una volta, sottolinea la perdita della monotona calma del mare ed il profilarsi del terrore e del silenzio. Tutta la lirica si definisce in un gioco di contrasti: il mare calmo e le sue lente pianure, il fucile spianato e gli uomini armati, il silenzio dettato dal panico ed i cupi e sordi rumori delle bombe.

“La terra degli uomini “
La civiltà vista come un qualcosa di negativo. La forza e la ricerca di un ritorno all’istintività nel contatto con un elemento dominante della natura, il mare, dell’uomo – animale che della natura è parte integrante e sottoposto alle sue leggi.
Il mare come rappresentazione di un ancestrale liquido amniotico che protegge e insieme distacca, allontana. Il mare come immersione nella conoscenza umana primitiva e naturale, quando ancora l’uomo non concepiva il male, quando erano soltanto gli impulsi a guidare l’agire. L’ultima parte della lirica fa pensare alla chiusura di “Dieci Agosto” del Pascoli: la terra raffigurata come un “atomo opaco del male” diviene qui “l’inesorabile fardello del male”.

“Le maracas della felicità”
Un raggio di luce, un filo “d’allegrezza” colto tra gente povera ma ricca. La gioia della vita trionfa in questa poesia tutta solare e accesa, che dipinge un paesaggio festoso e variopinto. Sembra suggerirci che la felicità si può raggiungere attraverso la semplicità, attraverso le piccole cose, come le due piccole maracas il cui rumore coinvolgente porta a sorridere di nuovo, allontanando per  un attimo i dolori, le privazioni e le sofferenze vissute.

“La fine del viaggio
Il buio e grave momento della fine, vissuto tra l’inconscio e il ricordo. La fine di un marinaio che, dopo un’intera vita passata sul mare, tra i flutti, ora s’immerge di nuovo e si perde per sempre negli abissi più profondi. E ad accompagnarlo in quest’ultimo viaggio non sono più i compagni ma i genitori che lo cullano tra le braccia e gli sussurrano preghiere. Calda questa impressione d’affetto, il conforto della fine tra i gesti di persone amate e perdute da molto tempo, ora ritrovate.
Gli ultimi versi sono la metafora dell’approdo all’aldilà: la luce accecante del cielo verso il quale si libra l’albatro esprime un’idea di pace ritrovata e di immensa libertà.

*Annalisa Pellegrini: laureata nel 2004 in Lettere Moderne all’Università degli Studi di Pisa, ha insegnato materie letterarie negli Istituti Professionali. Collabora a vario titolo con le Amministrazioni Comunali di Sarzana e Santo Stefano Magra (La Spezia). Attualmente ricopre il ruolo di Bibliotecaria presso la Biblioteca Civica “C. Arzelà” di Santo Stefano
Magra.


 LA POETICA DELL’ESSENZIALE – PREFAZIONE   di  Luigi Leonardi

Quello che ho sempre conosciuto nella poesia di Donatella Zanello, oltre al resto, è quel senso di decadentismo non tanto pessimistico da sfociare in un sentimento di oscura negazione, quanto in un più forte sentimento di umiltà. Umiltà che fa grandezza, conoscenza, saggezza, per sentirsi coinvolta, anzi totalmente parte di tutto l’infinito, ovvero dell’Essere. Poichè noi non siamo l’Essere, vale a dire appariamo e scompariamo nell’Essere. Il poeta lo sa, e nello stesso tempo in cui si spaura dell’infinità, ne ha anche una certa consapevolezza.
Tutto ciò viene fuori già dalla prima poesia di questa silloge “Il colore del mare”, dove l’ultimo verso ne dà una sintesi esauriente:

un punto infinitamente minuscolo
 dentro tutto lo spazio infinito.

E’ una visione cosciente della condizione umana, in cui l’uomo tenta di governare la natura con sforzo titanico e sempre velleitario. Donatella prende atto del nostro destino di morfemi, producendo un’arte di perfetta contemplazione cosmica.
Contempla e parla dei colori o del colore che il mare trasmette ai moti interiori, alla psiche, alle regioni indecifrabili dell’io, all’invisibile ma che si manifesta in tutta la sua forza emotiva.

“Distese di azzurra solitudine
e grandi navi bianche
brillanti come il diamante,
lucenti come l’acciaio
…. E donne dallo sguardo nero.”

Così la solitudine è azzurra, che però non è tristezza o malinconia; è rassicurante, protettrice, è l’essenza prima del nostro esistere. In fondo ognuno di noi ha come unica certezza l’esistenza di se stesso. E lo sguardo nero delle donne è sguardo di presagio, di vita adombrata dall’incerto ritorno del marinaio. La storia dei marinai è avventura di naufragi più che di approdi. E’ la storia di Ulisse. E’ il sapore dell’abbandono, l’angoscia dell’ignoto, la paura dell’abisso. Andando per mare si ha come una consapevolezza della perdita; per quell’enorme massa d’acqua si lasciano affetti, case, abitudini. Viaggiare è attraversare ciò che non si conosce. Viaggiare per mare è incontrarsi con la vastità, l’immenso, il silenzio. Elementi che ti ammutoliscono, che ti mettono di fronte ad uno specchio vero: quello che riflette la nostra pochezza. Ci spogliamo della nostra vana pretesa di volontà di potenza.

“.. ed i flutti oscuri trascinare via
        tutto ciò che mi apparteneva.”

Volendo andare nel profondo si potrebbe usare la metafora del mare: lo si potrebbe elevare a simbolo di un dio ineluttabile, un dio che trascina, rovina ogni arroganza di proprietà privata; ne può fare scempio o dissolvere e risucchiare nei suoi gorghi tutta la storia e ogni civiltà.
E qui, con questi versi, Donatella intuisce la verità: il nostro “essere-per-la-morte” heideggeriano, uno pseudo nichilismo oggettivo e indifferente evocato da millenni.
Nella poesia “Le radici del mare” il poeta, forse più che nelle altre (ispirate dalle storie e dalla vita del nonno materno, oltre a un suo congenito sentimento religioso verso il mare) trova la sintesi congeniale della poetica espressa in questa raccolta.

Ci sono le propaggini di una estetica che successivamente troverà la sua forma. Uno stile estremo di poesia, ai confini con una prosa che narra essenzialmente, ossia incastra le parole i cui concetti non hanno bisogno di ulteriori dettagli. Allora non mi può non venire alla mente Cesare Pavese, uno dei poeti massimi di liriche-racconto. Un decadente trasformato in esistenzialista che con “Lavorare stanca” e “Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi” ha toccato l’empireo della poesia.
Donatella Zanello ha colto l’importanza di questa forma stilistica, passando da una sua maniera quasi metafisica - forse più vicina a Montale – alla poesia-racconto, a quella dolce musicale malinconia del verso de “I mari del Sud” di Pavese, al quale già si è avvicinata in precedenza, per esempio con la poesia della silloge “Passiflora”, 2006, Ibiskos: “I pini frustati dal vento”.

Da “Le radici del mare

“Avevo visto morire i miei fratelli
di febbre spagnola
e mia madre
piange ancora
nel mondo delle ombre.”

C’è melodia, un ritmo che scorre come su delle note nei primi due versi. Poi gli altri tre mutano: sono più duri, gli accenti hanno perso il canto, poiché nell’animo del poeta è aumentato il dolore. E’ la poetica della prosa che sa decifrare ogni momento, ogni emozione, ogni sfumatura esaltandola in tutti i suoi riflessi.
Questa uniformità si riscontra dunque in tutta la poesia, a suggellare una scelta stilistica affine al contenuto. Un contenuto che non è mai drammatico, né tragedia pur nei momenti di dolore e sofferenza. E’ un riconoscere al destino la sua autorità. Non una rassegnazione, poiché la lotta dell’uomo per la sopravvivenza è sempre costante; è come una specie di dovere la lotta, sempre nel rispetto e timore della Natura. E qui si potrebbe citare E.Hemingway, “Il vecchio e il mare”. E quello della lotta contro la Natura è un tema che Donatella ha già affrontato in “Labirinti”, nella poesia “Temporale estivo”.
Nel brano “La donna amata” il tema dell’amore è sviluppato con la pulizia estrema di chi rifugge la verbosità. L’essenziale. Perciò ne viene fuori un quadro di rara concinnità. Due aggettivi esaltano in particolare questo quadro: “timida”, ovvero il pudore dei sentimenti, la sobrietà e la discrezione dell’intimo, di qualcosa che non va ostentato, che deve restare quasi segreto. Sembra come rivedere Renzo e Lucia; un amore che ha del sacro, inviolabile.
Crudele”, la vecchiaia, la Natura dalla quale non si può prescindere. Suona come un monito, un “metus” storico, universale.
Per quest’uomo che ha messo le sue radici nel mare, è la terra che sembra andare alla deriva.
La terra degli uomini” ha memorie stanche, perché annoiata dalla sua stessa storia belluina;
perché si porta dietro, sempre più pesante, il suo inesorabile “fardello del male”.

Ecco, qui il poeta lambisce un punto di sgomento. Si tratta dello stesso pessimismo storico di un Leopardi, un Pavese, ancor più un Pascoli di “quell’atomo opaco del male”. E’ un pessimismo che comunque riguarda la finitezza dell’uomo, o meglio dell’Ente, del suo apparire e scomparire ma sempre nell’Essere, intendendo che tutto è da sempre e per sempre, ossia “Ex nihilo nihil fit”, contrariamente al pensiero filosofico occidentale.
Il poeta è sempre consapevole di certa  natura umana. La  coglie e la illumina con uno scatto di penna. Un lampo che rivela inconfutabilmente la verità. E il contesto è la guerra. O meglio, le due guerre.

Da “Mare Adriatico”:

noi eravamo soli con la nostra paura,
mentre mangiavamo in silenzio,
tra un’esplosione e l’altra”

Come si può dare più verismo a questa immagine?
Solitudine, paura, silenzio. Non sono forse gli stessi elementi che questo marinaio trova andando per mare? Certo, ma non hanno lo stesso peso.
Gli elementi del mare scaturiscono dalla sostanza dell’infinito, dell’Essere del quale noi siamo parte, quel dio panteistico che tutto assorbe. Sono l’essenza.
Solitudine, paura, silenzio che vengono dall’uomo ci allontanano da quell’Essere, non vogliono farne parte. Sono il male. Sono l’”assenza”.
A Buenos Aires” è un altro esempio pregevole di poesia-racconto. Tutto scorre come cronaca, come una chiacchiera quotidiana, memorie trattenute a tutti i costi, così che chiunque possa partecipare di gioie e di ambasce.
Un tema che ha nutrito la letteratura, fin dai tempi di Epicuro, è la ricerca della felicità. Ed è un tema che anche Donatella ha percorso. Anche in questa silloge. E resta sempre un adattamento alla Natura e sempre legato ad una religiosità che deriva dalla propria essenza, quella di contemplare (per i greci la contemplazione consisteva nell’osservare la volta celeste, dove albergano le divinità e dove nascono le leggi regolatrici) ogni volta incantata, la bellezza delle cose, intesa come idea di bellezza. Qui, in questa poesia, è un’illusione addirittura fanciullesca.
Le rose di corallo” parla di un prodotto, un dono del mare: il corallo, appunto.
Il corallo rosa, un altro colore.
La rosa di corallo per l’amata è un tangibile segno del pensiero del marinaio.
Un premio, un riconoscimento per la lunga attesa.
Ecco un altro tema che molti grandi autori hanno affrontato.
L’attesa di un evento, di un desiderio covato per anni, bramato e per esso consumato la vita: il ritorno. E’ una gioia grande, importante, il ritorno, che può meritare il suo alto prezzo, ossia la lontananza. E’ una felicità che “la crudele vecchiaia” brucerà presto.
Con “la fine del viaggio” il grande tema del mistero. Leggendo questi versi riappare il poeta metafisico, il poeta dell’insondabile, che non ha mai perso coscienza della condizione umana.

“in balia degli alti flutti,
attirata nel  gorgo immenso..
… nella luce accecante del cielo”

Non si può spiegare razionalmente questa “luce accecante”, questo bagliore che non ci permette di vedere, o meglio di capire, di valutare. L’immagine della “luce accecante” è il mistero che non riusciamo a comprendere, è troppo forte, troppo grande per la nostra conoscenza.
Il viaggio è giunto al termine. Il viaggio per quest’uomo è la vita stessa. Una parabola, anzi un cerchio, dove l’arrivo coincide con la partenza.
A condurlo nel suo viaggio non è stata solo la nave. Il mezzo di trasporto principale è il tempo. Il lento mutare di ogni cosa, per fermarsi e dilatarsi quando i ricordi hanno superato le stagioni.
Il viaggio del marinaio finisce lì, nella “luce accecante”.Quale sarà la nave che lo trasporterà nell’oceano ignoto non gli è dato sapere.

                                                                                                                                Luigi Leonardi*
                                                                                                                     
*Luigi Leonardi , nato a Bagnone (Massa – Carrara) è scrittore, storico, saggista, autore di testi per il teatro e  testi  musicali per l’interpretazione di Lucia Marchi. Risiede e lavora a La Spezia. E’ tra i fondatori e redattori della rivista milanese di cultura “Malvagia”, nata nel 1981 con l’appoggio di Carlo Cassola. Tra le sue pubblicazioni: “Il sogno di un altro”(racconti); “Dentro lo Stige”(romanzo sulla storia della Resistenza in Lunigiana). Nel 2011 ha pubblicato con Mursia il saggio di narrativa storica “Epurazioni”.


APPENDICE

LA  BARCA


Premio Speciale Giuria “Il Prione”La Spezia, 1993, per il miglior racconto avente per tema il mare.
Motivazione della Giuria:

"C’è amore per il mare e per la vita che attorno ad esso si svolge, rappresentata da una barca di pescatori; tuttavia, più che un racconto sulla vita di mare, questa che si snoda sul filo della memoria e fa perno sulla figura emblematica del nonno, è la storia di un uomo nato più di un secolo fa e vissuto in una città di mare, la nostra, colta in alcuni momenti significativi. E’ la nipote che racconta, con tono sommesso e commosso, un po’ dolente, lei allevata da quel nonno, lei colta ed affamata di cultura cui il nonno analfabeta è riuscito tuttavia a trasmettere i propri fondamentali valori, il senso del dovere, una visione non lieta della vita.
Lo stile, fluido e semplice in aderenza al tema trattato, è essenzialmente lirico, dotato di grande efficacia evocativa.
 *****


VITTORIO NOBILI
"La barca del Casali"

            Ci sono momenti in cui il bisogno di solitudine e di raccoglimento è un’esigenza fondamentale. Ci sono momenti della vita in cui potresti impazzire se non riesci più a parlare con la tua anima. Per questo io ti guardo, guardo il tuo ricordo mentre tanto tempo è passato, per capire se nella tua storia c’è la storia della mia vita, della nostra vita. La memoria è un bene troppo grande. La tua memoria è la fonte della mia fiducia, è il filo che mi guida attraverso il tempo. Ti guardo, seduto sulla panchina, nell’ombra calma della sera, davanti al mare. La vita è una barca che si allontana sulle onde, una macchia di colore nell’azzurro, poi non ne sappiamo più nulla. Ti alzi e te ne vai, trascinandoti stanco nella strada ormai  vuota, mentre il sole tramonta e le barche ondeggiano in rada. Soltanto io posso raccontare i tuoi ricordi, perché qualcosa rimanga di te.
            Sei nato nel 1897 nella piazza davanti al molo, di fronte al monumento a Garibaldi, al piano alto di una delle case colorate e tutte attaccate che stringono ai lati il carrugio, così tipiche della Liguria.
           In quinta elementare prendesti la cartella con i libri, sciogliesti gli ormeggi della barchetta e remasti, remasti fin dove l’azzurro è più forte, dove la corrente è più rapida e la gettasti via. Tua madre piange ancora adesso, nel mondo delle ombre lontane. Io, che ho trascorso molti anni sui libri, non mi sento di rimproverarti quel gesto. Ne sorrido piuttosto e quasi me ne compiaccio, forse perché rifiutasti in partenza quello che ho inseguito vanamente per tutta la mia vita.
          Tuo padre, il mio bisnonno, era di mestiere pescatore: usciva ogni giorno in mare con la barca da pesca a vela, il “bragozzo”. Allora il mare era pulito, i suoi fondali chiari e misteriosi erano popolati delle più strane creature marine. Il nostro paese, Lerici, apparteneva solo ai suoi abitanti, non c’erano strade asfaltate, pochissimi erano i turisti, inglesi quasi tutti, nei primi del 1900….. Tu eri un bambino forte e goloso: mangiavi sempre castagne e fichi secchi, che gli altri fanciulli ti portavano in cambio di una gita in barca. Hai sempre preferito, per tutta la vita, lo scambio, il baratto, alle ricompense in denaro.
          Quando tuo padre tornava stanco dal mare, non bisognava stare con le mani in mano:lavavi le paniere del pesce, aiutavi a friggerlo nelle grandi padelle nere, poi accompagnavi tua sorella a vendere la frittura al molo. La sorella Giovanna, che aveva paura a fare la strada da sola: aveva sedici anni, i suoi capelli erano biondi come l’oro, la sua pelle abbronzata, gli occhi verdi come il mare. Tu le saltellavi dietro impettito. Vi immagino sulle strade di pietra, lungo i muretti  scaldati dal sole della
sera, come in un quadro antico; al confine degli orti le agavi solenni, in fondo agli scalini l’azzurro, il padre mare, il dio della vita. Dopo cena uscivi con gli altri ragazzini a frotte, a cacciare i gamberi sul molo. Allora era sempre estate. Più il miracolo della memoria mi abbaglia, più mi accorgo di quanto tempo è passato e come tutto è cambiato così in fretta. Una volta pescati i gamberi con il retino, rapido li vendevi al mercato del pesce e correvi a comprare la cioccolata: una lista da mezzo chilo due soldi. Due soldi!
       Nella salita per arrivare al castello c’erano i magazzini dei pescatori. Nel muro si apriva una porticina verde: quella del tuo pollaio. Avevi sette galline e te ne prendevi cura, lasciandole libere nell’orto a beccare e richiamandole alla sera, per nome, per richiuderle. Ogni tanto ripulivi il magazzino di tuo padre e il pollaio. Una volta ti venne in mente di portare le tue galline in barca: anche loro dovevano partecipare della tua felicità; invece si sentirono male, tutte quante, e dovesti tornare subito indietro.
       D’estate, nella notte buia, quando il mare è nero come una bestia silenziosa e addormentata, quando è liscio come l’olio e tutte le cose sembrano irreali, partivi alle due dopo mezzanotte, con tuo fratello più grande e con la barca attraversavate tutto il Golfo fino all’isola del Tino. Tu avevi tredici anni, Fortunato ne aveva  sedici. Andavate incontro a vostro padre, gli portavate da mangiare, riportavate indietro il pescato se lui decideva di tornare in mare aperto. Quando incontravate gli scogli dell’isolotto, avevate sempre un brivido; uno dei due si gettava in acqua e portava la corda a riva, poi la legava stretta ad un appiglio. Dopo vi arrampicavate su fino al faro. Prima delle grandi guerre, l’isola era un paradiso. Apparteneva a tutti e apparteneva a voi. Sulla cima del faro trovavate l’amico fanalista che fumava la pipa e vi offriva sempre un bicchiere di vino. Col cuore in gola puntavate i binocoli verso l’orizzonte. L’orizzonte prima era scuro come la notte intera, poi aveva una striscia di luce bianchissima ed improvvisa, poi altre luci più rosa, più gialle. Apparivano lontani profili di isole, che non credevate vere, verso la costa toscana e la Corsica si mostrava  maestosa all’orizzonte. Poi sulla linea tra cielo e mare spuntavano le prime imbarcazioni, oltre la costa frastagliata e bianca dell’Isola Palmaria: c’era una vela con una grande stella rossa. Era il peschereccio di tuo padre che tornava dal mare aperto.
                 In casa tua nessuno e niente era inutile: le tue sorelle cucivano a mano le vele e le reti da pesca, disegnavano, ricamavano e vendevano i pizzi per i vestiti, le coperte, i corredi, e nella loro arte erano famose. Giovanna ricamava e disegnava, era bravissima. Maria era sarta in casa. I loro capelli bianchi, i loro vestiti  neri, nelle fotografie e nei sogni; i loro nomi sulla pietra, li leggi e te ne vai; a cosa serve vivere!
Due dei tuoi fratelli morirono ancora bambini: dormivi nel letto con loro, e dopo non c’erano più. Tua madre alta, solenne, faceva loro impacchi di erbe sul petto, inutili; non ricordi bene come accadde, ci sono tante cose che passano, oggi ci sono tante medicine inutili nei nostri cassetti, tu non le vuoi…. Invece tuo fratello Pietro lo ricordi bene: era bellissimo, biondo, con i capelli tutti riccioli e gli occhi azzurri, vivacissimi, chiari chiari . La sua voce, quando cantava, faceva venire le lacrime agli occhi. Tutte le sere andava a cantare: nel negozio del barbiere si incontrava con gli amici e andava a fare le serenate. Una sera vostro padre si arrabbiò per quella sua manìa di lavorare poco e di cantare tutto il giorno come un fringuello e non lo fece uscire.
              Gli amici sotto la finestra lo chiamavano, le ragazze dietro le imposte chiuse piangevano, le madri scuotevano la testa. Ci sono persone che portano con sé la felicità degli altri: Pietro aveva diciassette anni, era alto magro abbronzato e per la strada tutte le fanciulle lo prendevano a braccetto, le più sfacciate lo mangiavano di baci e gli chiedevano di cantare. A lui solo tutto questo era permesso, perché Pietro non era come gli altri. Aveva una voce alta, melodiosa, sottile, che ti toccava l’anima a sentirla: cantava canzonette e romanze, su per la via che si arrampica sulla collina.
            Dal mare alla collina gli occhi brillavano, i cuori si stringevano: allora non c’era la radio, non c’era la televisione, non c’era la musica: c’era quella sua voce. Quanto mi sembrano impossibili le cose che racconti! Sgrano gli occhi, quasi non ci credo, vorrei tornare indietro, poterlo abbracciare, baciarlo anch’io sulle guance morbide lo zio Pietro, carezzare i suoi riccioli biondi…..quando venne la guerra lui nonostante il coprifuoco poteva cantare fino a mezzanotte: andavano anche i Carabinieri  a sentirlo e sempre i militari in congedo.  Ricordi che una bella sera d’estate del 1922 fece una serenata alla tua fidanzata, mia nonna. Lei non potè dimenticare quella sera, per tutta la sua vita. Una volta Pietro cantò anche in teatro, a La Spezia. Vostra madre piangeva come una fontana per la commozione. Lui invece era sempre allegro e scherzoso, faceva un motto di spirito dietro l’altro, il sangue toscano e burlone di vostro padre scorreva più veloce nelle sue vene. Poi conobbe una donna che gli legò il cuore, e non cantava più. A pochi mesi dalle nozze Pietro morì per una febbre epidemica, maligna, un’influenza letale detta “spagnola”: aveva ventotto anni. Tu non vuoi più ricordare: sulla tomba bianca c’è soltanto il nome, non c’è neppure la fotografia, si è rotta tanto tempo fa, avrei tanto voluto vederla. Non c’è neppure un fiore, solo il muschio umido che cresce sulla gradinata. Il silenzio. Quanto dolore passava nella casa in alto sulla piazza, allora. Avevi appena sedici anni quando tuo padre si ammalò di una malattia polmonare incurabile; il Pà diventava sempre più magro e pallido, tua madre piangeva quando lo vedeva partire, quando il peschereccio si allontanava sul mare. La gente parlava e scuoteva la testa. Nella notte a volte ti svegliasti sentendo che tuo padre soffocava, tossiva. Un terrore segreto per la vostra sopravvivenza ti prendeva. Finchè il Pà vendette il peschereccio: non poteva più sopportare il grande vento del mare, la brezza umida delle notti.
          Avevi sedici anni e dovesti partire. Tua madre non voleva, il suo povero cuore era spezzato. Tuo padre fece fare da un cugino di Genova un libretto di navigazione per te e saliste su un grande pullman sgangherato, per arrivare a Genova, la grande, la Superba. E da allora ci fu per te il duro lavoro sui ponti delle navi o nelle cucine calde e soffocanti, poi vennero le guerre con il loro fardello di sangue e di dolore. Una lunga, lunghissima vita, quasi un secolo e quasi il giro del mondo: l’America, l’Africa, l’Europa e gente di tutte le razze e le Nazioni.
         Alla fine del viaggio sono arrivata io, tua unica nipote: una bambina strana, svagata, con la testa sempre tra le nuvole. Quando ero piccola, tu avevi cura di me. Mi portavi a scuola e poi tornavi a riprendermi;ricordo la strada grigia del molo con la distesa di barche in attesa della verniciatura, ricordo che stringevo la tua mano grande e vigorosa e non avevo mai paura. La mia infanzia fu luminosa e spavalda. Tu mi portavi a pesca nel Golfo in estate, d’inverno mi accompagnavi alle giostre della fiera. Andavamo a vedere i fuochi d’artificio la sera di S.Erasmo Patrono; per Carnevale, tu mi prendevi in braccio e mi issavi sul palco a cantare, mascherata da messicana; ridevi sotto gli occhiali d’oro con un sorriso pieno d’allegria. Non perdevi occasione per raccontarmi delle cose e delle storie, nella tua semplicità eri l’unico a preoccuparti di quello che potevo pensare, e capire, nel mio mondo infantile. Nelle sere di primavera venivo a sedere accanto a te sul terrazzo: insieme guardavamo le stelle infinite, senza parlare. Ora, quando avverto come un peso intollerabile la responsabilità del bene e del male, è ancora  la forza che sprigiona da te, che mi incoraggia a continuare il cammino. A volte vorrei fuggire lontano con te, nel tempo azzurro e felice dell’infanzia che non è più. Il mare, nella notte, ha mille cristalli di luce.
La nostra barca si allontana, bianca sotto la luce della luna.
                                                                                              
                                                                                                 Donatella Zanello


LA NAZIONE
 giovedi 12 Dicembre 2013
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