venerdì 19 ottobre 2012

IL BLOG DI SALA CARGIA' E' LETTO IN TUTTO IL MONDO

Il mio grazie a tutti gli amici di queste Nazioni: ITALIA, STATI UNITI, FEDERAZONE RUSSA, REGNO UNITO, GERMANIA, FRANCIA, TAILANDIA, GIAPPONE, ALBANIA, AUSTRALIA, PAESI BASSI, SPAGNA, SVIZZERA, BRASILE, UCRAINA, TERRITORI PALESTINESI, GEORGIA, ROMANIA, COSTA RICA, MALTA, ISRAELE, INDIA, REPUBBLICA CECA, GRECIA, COSTA D'AVORIO, VENEZUELA, CINA, BOSNIA ERZEGOVINA, AUSTRIA, MONACO, SVEZIA, CROAZIA, COREA DEL SUD, SLOVENIA, MONTENEGRO, IRLANDA, NORVEGIA, POLONIA, CANADA, TAIWAN, ......
Vi invito, cari amici, a scrivermi a questo indirizzo: eziadicapua@libero.it  
Carissimi ,
Ezia Di Capua - Acquerello
con grande gioia e profonda commozione pubblico questo nuovo post che dedico a tutti gli amici
che in tutto il mondo seguono l’evoluzione del progetto artistico sostenuto da Sala CarGià.
Oggi, 19 ottobre, alle ore 20.30 a distanza di appena diciassette mesi dalla  pubblicazione del primo post, il Blog di Sala CarGià, ha raggiunto le 24.250 visite.
Il risultato più bello però è questo: il pubblico che segue il Blog, è sparso in tutto il mondo.
Le statistiche monitorate parlano chiaro.
Ecco di seguito elencate le Nazioni il cui pubblico solitamente, consulta il Blog di Sala CarGià:

ITALIA,  STATI UNITI,  FEDERAZONE RUSSA, REGNO UNITO, GERMANIA, FRANCIA,TAILANDIA, GIAPPONE, ALBANIA, AUSTRALIA, PAESI BASSI, SPAGNA, SVIZZERA, BRASILE, UCRAINA, TERRITORI PALESTINESI, GEORGIA, ROMANIA, COSTA RICA, MALTA, ISRAELE, INDIA, REPUBBLICA CECA, GRECIA, COSTA D'AVORIO, VENEZUELA, CINA, BOSNIA ERZEGOVINA, AUSTRIA, MONACO, SVEZIA, CROAZIA, COREA DEL SUD, SLOVENIA, MONTENEGRO, IRLANDA, NORVEGIA, POLONIA, CANADA, TAIWAN,......

Dedico questa lettera con tutto il mio cuore a tutte le Nazioni e mi stringo in un lungo abbraccio a tutti Voi amici del mondo che oggi  più che mai, sento vicini, uniti nel Blog di Sala CarGià, uniti  nell’ obiettivo comune  della bellezza, dell’arte, del bello e del bene.

Dedico a Tutti gli Amici di Tutti i Paesi del mondo, il particolare del mio acquerello……e che l’Antico Vascello sia simbolo di Unione di Tutte le Terre e di tutti i Mari.

Il mio grazie di cuore e il mio caro saluto a tutti

Ezia Di Capua


domenica 7 ottobre 2012

LA NATURA MORTA NELLA PITTURA: del Critico d'Arte Valerio P. Cremolini -

Il venticinquesimo anno di attività espositiva della sezione spezzina dell’Unione Cattolica Artisti Italiani si è avviata sabato scorso 6 ottobre con l’inaugurazione della collettiva sulla “Natura morta”, allestita nella sede del Circolo Culturale “A.Del Santo” di via don Minzoni, 62. Gli espositori hanno realizzato specifici lavori dedicati a questo genere artistico che nel XVI secolo ha acquisito una significativa importanza, in parte confermata nei secoli successivi. Con i loro tipici linguaggi sono esposte nell’ampia esposizione, introdotta da Valerio P.Cremolini con un excursus storico-artistico sul tema della rassegna, opere di Rossella Balsano, Guido Barbagli, Luigina Bo, Antonella Boracchia, Ferdinando Brogi, Ezia Di Capua, Pina Gentile, Neddi Gianrossi, Anna Maria Giarrizzo, Gloria Giuliano, Enrico Imberciadori, don Sergio Lanzola, Marisa Marino, Sergio Maucci, Nina Meloni, Pierluigi Morelli, Graziella Mori, Gianfranco Ortis, Maria Pia Pasquali, Maria Passaro, Maria Luisa Preti, Mirella Raggi, Rosa Maria Santarelli, Giovanni Santernetti, Maria Rosa Taliercio e Carlo Vignale. La mostra è visitabile sino al 20 ottobre prossimo (giorni feriali dalle 17.30 alle 19.30). Pubblichiamo di seguito l’intervento del critico Valerio P.Cremolini.

Non pretendo di affrontare compiutamente il tema della natura morta nella pittura, necessitando di uno spazio ben più ampio di quello che utilizzerò in questa occasione. Cercherò, comunque, di indicarne alcuni caratteri, che nel tempo si sono di volta in volta evidenziati, attribuendo alla natura morta una posizione non più subordinata, ma palesemente autonoma.
L’espressione “natura morta” evoca oggetti inanimati, siano essi frutta, ortaggi, strumenti musicali, fiori, insetti, ecc.), nonché uno stato di silenzio e di immobilità, che si contrappone alla cosiddetta “natura vivente” rappresentata, ad esempio, da dipinti che ritraggono persone. Giorgio Vasari (1511-1574), pittore e precursore degli storici dell’arte, famoso per le Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri, documenta l’esistenza di tele con “cose naturali, d’animali, di drappi, d’istrumenti, vasi, paesi, casamenti e verdure”, scrivendo sul pittore e architetto Giovanni da Udine (1487-1564), che fu collaboratore di Raffaello (1483-1520).
In Italia si parla di natura morta verso la fine del 1800, tradotta dall'olandese still-leven (natura in quiete).
Jacopo de Barbari (1445 c.-1516 c), è un ottimo pittore e incisore veneziano, pare allievo di Alvise Vivarini (1442-53/1503-05), a cui viene attribuita la prima natura morta composta da Pernice, guanti di ferro, dardo di balestra, oggi custodita  nella Alte Pinakothek  di Monaco di Baviera. Certamente più noto del precedente olio su tavola è il grandioso Trittico Portinari (1477-78) del fiammingo Hugo van der Goes (1440c-1482), ammirabile alla Galleria degli Uffizi, nella cui parte centrale sono ben visibili due vasi di fiori (gigli rossi, iris bianchi e purpurei, garofani e aquilegia). Anche Hans Memling (1430 c.-1494) ha dipinto, questa volta sul verso di un ritratto, una Natura morta con vaso di fiori.
Nel Cinquecento e nel Seicento è prevalente il significato della natura morta come vanitas vanitatum, omnia vanitas (dall’Ecclesiaste:vanità delle vanità, tutto è vanità). Adiacente ai vasi di fiori o di frutta è riconoscibile un teschio, simbolo del  memento mori e della condizione fuggevole della vita. Alte volte la precarietà dell’esistenza è demandata a candele dalla fiamma debolissima, a petali cadenti, a frutta bacata, all’immagine della clessidra, il tutto per affermare la caducità della bellezza e la ciclicità del tempo che inesorabilmente la consuma.
Grazie all’interesse rivolto diffusamente alla natura morta da artisti europei, questo genere, rappresentato, come detto, anche da strumenti musicali, protagonisti delle tele del sacerdote-pittore bergamasco Evaristo Baschenis (1617-1677), raccoglie numerosi ammiratori, garantendo alla natura morta indipendenza, popolarità e successo.
Caravaggio - Canestro di frutta 1599
Caravaggio (1571-1610) esegue nel 1595-1596 il celebre Canestro di frutta (1599) della Pinacoteca Ambrosiana, già compreso nella collezione del cardinale Federigo Borromeo (1564-1631), nel quale il pittore “indaga ogni aspetto della realtà rappresentata e indugia sulla mela bacata, sulle foglie accartocciate o mangiate dai vermi”. (C.Lachi) Il dipinto, dalla consistente valenza simbolica,  venne accolto come “un’autentica novità perché la natura viene per la prima volta eletta a soggetto dell’opera, poi perché non sono più le presenze ideali ad essere scelte come testimoni stilistici, bensì quelle reali e naturali”. (on line: www.francopolo.it)
Un piccolo quadro Fruttiera con pesche del pittore milanese Ambrogio Figino (1553-1608), assegnato tra il 1591 e il 1594, lo si considera precedente al più famoso Canestro di frutta di Caravaggio.
Non va trascurata, sempre nel sec.XVII, la qualità tecnica di eccellenti pittori di scuola fiamminga e olandese, tra cui Pieter Claesz (1598-1661) e Willem Claesz Heda (1594-1680), autori di opere, nelle quali una straordinaria luminosità dettaglia porcellane, cristalli e coppe in metallo, così hanno successo le nature morte, spesso con  fiori, di Ambrosius Bosschaert il Vecchio (1573-1621), nativo di Anversa e del fiammingo Jan Brueghel il Vecchio (1568-1625). Restiamo in Olanda per richiamare la straordinaria figura di Johannes Vermeer (1632-1675) - attualmente alcune sue opere sono in mostra a Roma alle Scuderie del Quirinale -  ritenuto, e non si può che essere d’accordo, per l’atmosfera silente che avvolge le sue composizioni, dove emerge un amalgama fra persone e semplici oggetti in uso nella quotidianità  “il più grande pittore di nature morte umane”.
La Spagna ha in Francisco de Zurbaran (1598-1664) un abilissimo interprete di nature morte, composte da brocche in terracotta, piattini in metallo, arance, limoni, disposti in cesti di vimini.
La natura morta perde gradualmente la consueta carica simbolica e gli artisti si dedicano anche al ritratto, al paesaggio e all’interpretazione della vita domestica e si va delineando quella libertà creativa che contrassegnerà non poca pittura del XIX secolo e di quelli successivi. Nel secolo precedente spicca il francese Jean Baptiste Chardin (1699-1779). Nelle sue nature morte, caratterizzate da efficaci rapporti di luce e colore,  vive un clima di raccolta contemplazione.
In Italia, ma non solo, ha consenso il cremonese Vincenzo Campi (1536-1591), tanto che “le sue nature morte non solo erano tenute in alto pregio a Milano, ma anche in “infiniti altri luoghi in Italia et anco in Ispana, dove molte erano state mandate”. (Stefano Bottari) Anche il bolognese Annibale Carracci (1560-1609) è considerato un iniziatore di tale genere con la singolare “Bottega del macellaio” (1585), nella quale il pittore ha descritto con esemplare attendibilità lo svolgimento delle varie attività che vi si svolgono. 


Fede Galizia - Alzata con prugne, pere e una rosa 1602
Nature morte con frutta e fiori dipingono i romani Tommaso Salini (1575c-1625), particolarmente influenzato dalla pittura di Caravaggio, che pare vicino al suo carattere, e  Michelangelo Cerquozzi (1602-1660), mentre nel 1602 s’impone la pittrice milanese Fede Galizia (1578-1630) con una Alzata con prugne, pere e una rosa.. Replicherà il tema, lavorando a fianco del collega cremonese Panfilo Nuvolone (1581-1651), spesso identificato con la Galizia, la quale, per lo storico Flavio Caroli “delega gli oggetti a rappresentare il suo mondo interiore, attraverso una meditazione formale rigorosisima, con virtuosismi nell’uso della luce. Siamo in presenza di un’artista eccelsa tout court”.
Nel Seicento si distinguono, inoltre, esperte pittrici come Giovanna Garzoni.(1600-1670), nativa di Ascoli Piceno, la cremonese Margherita Caffi (1650-1710), apprezzabili le ghirlande di fiori che contornano volti, animali e fontane e la veneta Elisabetta Marchioni (1600-1700), conosciuta per composizioni floreali disposte dinanzi a vedute paesaggistiche.
Il medesimo secolo annovera altre figure non marginali, quali Paolo Antonio Barbieri (1603-1649)  fratello di Giovanni Francesco Barbieri (1591-1666), detto il Guercino, i napoletani Giuseppe Recco (1634-1695) e Giovan Battista Ruoppolo (1629-1693, il bolognese Giuseppe Maria Crespi (1665-1747) e il reggiano Cristoforo Munari (1667-1720). Anche l’eccellente vedutista settecentesco Francesco Guardi (1712-1793) è autore di tele con vasi e canestre di fiori.
L’odierna esposizione promossa dall’Ucai sulla natura morta mi induce a ricordare, ad un mese dalla scomparsa, l’ingegner Amedeo Lia (1913-2012), persona di rara competenza artistica e di altrettanta generosità. Come è noto una sala del Museo “Lia” allinea opere di grande valore estetico, dedicate alla natura morta, eseguite da alcuni dei rinomati artisti sopra citati.
Sono altrettanto celebri lo spagnolo Francisco Goya (1746-1828), certamente meno noto come pittore di nature morte, i francesi Camille  Corot (1796-1874), Eugène Delacroix (1798-1863), Gustave Courbet (1819-1877), Henri Fantin-Latour (1839-1902), gli impressionisti Eduard Manet (1832-1883),  Claude Monet (1840-1926) e Pierre Auguste Renoir (1841-1919). Paul Cezanne (1839-1906) introdurrà un’impostazione non tradizionale, come faranno in seguito, affermando esigenti ricerche individuali, Vincent Van Gogh (1853-1890), Pablo Picasso (1881-1973) e George Braque (1882-1963), solo per citare alcuni ragguardevoli artisti. Infatti, precisa Marilena Pasquali, curatrice nel 2007 della mostra Oltre l'oggetto. Morandi e la natura morta oggi in Italia (Museo Michetti, Francavilla al Mare) “se la natura morta fino a metà Ottocento è mimesi o simbolo, con Cézanne e dopo di lui diviene campo di indagine e di riflessione; se prima è virtuosismo, dopo è interpretazione; se in antico gronda sensorialità, nel Novecento si smaterializza e perde di fisicità, non pittorica, concettuale; se prima rifiuta l'azione scenica negli ultimi cent'anni può essere intesa come un palcoscenico che accoglie e comprende gli oggetti-attori, ora protagonisti ora comprimari di una scena che, in apparenza, è tutta loro”.
Il Novecento, il nostro secolo, consacra l’estesa differenziazione formale, per cui anche la natura morta diventa occasione non episodica di sperimentazione, che caratterizzerà la vivace e articolata stagione delle avanguardie storiche.
Giorgio Morandi - Natura Morta 1929
In questa parziale panoramica non può essere omesso il nome di Giorgio Morandi (1890-1964), superbo interprete della natura morta, esaltata, è il caso di dire, da bottiglie, brocche, vasi di fiori, e lumi, oggetti di una concezione della rappresentazione inderogabilmente sostenuta dall’ordine, dalla semplificazione della forma e da delicate varianti cromatiche. Nella natura morta l’artista bolognese sapeva esprimere il senso della vita, rivelandone il suo rapporto e su quei comuni oggetti indirizzava una profonda e silenziosa meditazione esistenziale.
In altra occasione, con più tempo a disposizione, ci sarà modo di avvicinare ulteriori figure della pittura italiana che meritano riguardo. Penso a Arturo Tosi (1971-1956), Ardengo Soffici (1879-1964), Giorgio de Chirico (1888-1978), Alberto magnelli (1888-1971), Ottone Rosai (1895-1957), Mario Tozzi (1895-1979), Filippo de Pisis (1896-1956), Renato Birolli (1905-1959), Giuseppe Santomaso (1907-1990), Ennio Morlotti (1910-1992), Carlo Mattioli (1911-1994), Renato Guttuso (1912-1987), Bruno Cassinari (1912-1992), Aligi Sassu (1912-2000), Alfredo Chighine (1914-1974), Alberto Burri (1915-1995) e ad altri pittori di generazioni successive che hanno confermato la loro identità e indipendenza artistica anche attraverso autorevolissime interpretazioni della natura morta.
( Le immagini contenute nel testo sono tratte da Wikipedia, enciclopedia multilingue libera e collaborativa )

Valerio P. Cremolini


martedì 2 ottobre 2012

SALA CARGIA' 15 SETTEMBRE 2012 - GEMELLAGGIO ARTISTICO CULTURALE TRA IL COMUNE DI LERICI E IL COMUNE DI FILATTIERA: Relazione di Donatella Zanello


LE RADICI DEL MARE
(cenni storici su Lerici dall’età moderna ai giorni nostri)

“Le radici del mare”  contributo all’evento in data 15 Settembre 2012 presso Sala Cargià, inaugurazione mostra di pittura e gemellaggio artistico e culturale tra i Comuni di Lerici e Filattiera,  tratto dalla tesi di laurea “Lerici. Elementi per una monografia regionale” di Donatella Zanello - Pisa, 1992, Relatore Prof. Ubaldo Formentini.
Segue la  poesia  scritta e letta nell’occasione dalla poetessa Donatella Zanello:
“Le radici del mare” (“Il colore del mare”, 2012, inedita).


Lerici dalle più lontane origini si afferma come scalo marittimo. Con l’inizio dell’età moderna, Lerici ha la supremazia sulla vicina e dirimpettaia Portovenere nel trasporto via mare di passeggeri.
A Lerici sorgono anche le strutture necessarie per ospitare i viaggiatori del mare.
L’agricoltura resta molto praticata e fin dall’antichità permane a Lerici una forte tradizione agricola parallela alla tradizione marittima. Le campagne venivano coltivate ad oliveto e vigneto. Questa tradizione agricola fortemente radicata nei secoli accomuna da sempre Lerici a tutti i Comuni della Lunigiana storica. Nel xv° secolo Lerici era luogo di delitti e violenze, dato l’allentarsi del potere della Repubblica di Genova, avente in quell’epoca ruolo ormai secondario nel contesto degli altri Stati italiani. Nell’età moderna  Lerici conserva tuttavia la sua funzione di terminale delle vie terrestri e crocevia di quelle marittime ma viene a cessare l’attività mercantile per la carenza di merci che in precedenza giungevano in gran quantità da Genova. Si sviluppano invece i legami economici e sociali tra Lerici e Sarzana e comunque Lerici continua ad essere fino al XVII secolo uno dei porti più attivi della Riviera di Levante. All’inizio del XVII secolo il Canonico Ippolito Landinelli nella sua descrizione della Lunigiana definiva Lerici come “lo scalo principale d’Italia per i viaggiatori provenienti da Roma e la Toscana per Genova, la Francia e la Spagna”. Esisteva a Lerici un vero e proprio monopolio armatoriale per il trasporto passeggeri, come testimonia il maggiore storico di Lerici, Francesco Poggi. Ai primi del XIX secolo il Governo di Sardegna fece costruire la strada carrozzabile da Sarzana a Genova, passando per La Spezia, portando come conseguenza la diminuzione del traffico via mare destinato a scomparire definitivamente con la costruzione della linea ferroviaria nel 1837. Lerici costituì una podesteria autonoma, come già nel Basso Medioevo, sia durante il dominio della Repubblica di Genova che della Repubblica Ligure. Nel 1804 Lerici divenne parte integrante, come tutta la Liguria, dell’Impero Francese. Dopo il crollo dell’Impero Napoleonico Lerici divenne dominio del Regno di Sardegna e La Spezia divenne capoluogo della nuova circoscrizione chiamata Provincia del Levante. La politica viaria intrapresa dai Francesi venne condotta dal Governo Piemontese con l’investimento di forti capitali e la realizzazione di imponenti opere di collegamento stradale. Perduto il monopolio dei trasporti via mare Lerici divenne centro di attività armatoriale ed attività cantieristica a partire dal 1815. Il molo di Lerici fu portato a compimento ad opera dei Savoia e si rivelò difesa provvidenziale per il porto durante le mareggiate violentissime che colpirono il litorale nel 1821 e nel 1886. La popolazione di Lerici fu profondamente partecipe ai moti rivoluzionari che dovevano condurre all’unità d’Italia, dimostrando coraggio ed amore per la libertà. Il Santerenzino Paolo Azzarini trasse in salvo il generale Garibaldi mentre era clandestino in  Toscana. Dopo la  raggiunta unità nazionale il Golfo di La Spezia vide la costruzione della linea ferroviaria Genova-Pisa, dell’Arsenale Militare, del Cantiere Navale del Muggiano, delle officine di Viale San Bartolomeo. La città di La Spezia fu oggetto  di una forte industrializzazione con conseguente aumento dei posti di lavoro ed urbanizzazione. La popolazione di Lerici pur non abbandonando la tradizionale attività agricola contribuì alla formazione della nuova classe operaia della città capoluogo. A fine Ottocento inizia la tradizione turistica balneare a Lerici, con l’usanza degli affitti estivi. La vera e propria tradizione del turismo culturale di èlite ha inizio con la permanenza a Lerici dei grandi poeti inglesi Byron e Shelley. Il turismo a Lerici raggiunse una certa notorietà negli anni precedenti la prima guerra mondiale, quando Lerici fu una delle località turistiche in voga ed il Golfo della Spezia fu luogo di soggiorno ed ispirazione per molti artisti e pittori soprattutto stranieri.Nei primi anni del Novecento il borgo vede soccombere la propria tradizione di marineria mercantile a vela, per effetto dello sviluppo delle navi a vapore. Nel territorio di Lerici si diffondono come in tutta Europa epidemie,  che mietono molte vittime nella popolazione locale. Inizia nel contempo il fenomeno dell’emigrazione dei lericini nel mondo, in particolare si ha un notevole flusso migratorio da La Spezia verso il Sudamerica. Negli anni precedenti le due guerre mondiali gli uomini di Lerici prendevano il mare sulle grandi navi e molti di essi non fecero mai più ritorno.
Durante la seconda guerra mondiale le squadre fasciste e le truppe tedesche si aggiravano in tutto il territorio di Lerici e gli anziani ricordano ancora con orrore i rastrellamenti e le violenze della guerra. Ancora una volta i lericini si trovarono in prima fila nella lotta di liberazione. E’ documentata la loro partecipazione alla Resistenza ed il pesante tributo di vite umane.
La via Trogu , caratteristico vicolo del centro storico di San Terenzo, dove si trova Sala Cargià, galleria d’arte  fondata da Carla Gallerini, è intitolata ad uno dei giovani martiri della Resistenza,
Angelo Trogu. Partigiano e combattente nella guerra di liberazione fu anche il poeta lericino Francesco Tonelli, noto negli anni Settanta anche come “il poeta fornaio” di Lerici, i cui versi :“C’è un muro di vento azzurro/che ci separa dal mondo” sono incisi, tradotti in varie lingue, su una targa posta sul molo di Lerici. Tonelli è nato a La Serra di Lerici così come Paolo Bertolani, ricordato   come il maggiore poeta dialettale di questo territorio. Dopo la seconda guerra mondiale si è raggiunto il benessere economico. Molti naviganti , scampati alle guerre, dopo una vita avventurosa trascorsa sul mare poterono fare ritorno a casa e riunirsi alle famiglie che li avevano a lungo attesi. Nel dopoguerra sorse la Società Marittima di mutuo soccorso per aiutare reduci e famiglie.
Uno dei tanti marittimi di Lerici fu il mio nonno materno, GioBatta Galli detto “Gino”, decorato con la Medaglia d’Oro di lunga navigazione (40 anni), grande appassionato di pesca, al quale è dedicata la poesia “Le radici del mare” che di seguito trascrivo.
Occorre sottolineare come Lerici sia oggi principalmente un porto turistico ed essenzialmente turistica sia  la sua economia. Lerici è “Città di Pace e di Poesia” nel Golfo dei Poeti ed in questi luoghi si presume il passaggio di Dante e di Petrarca. Anche il Boccaccio ne fa cenno nella sesta novella del Decamerone. Inoltre qui soggiornarono come ho già ricordato Byron e Shelley, che dedicò alla baia splendide poesie, trovandovi la patria ideale per la sua proposta d’arte romantica, oggettiva e mitica. Inoltre  soggiornarono a Lerici la moglie di Shelley, Mary, Paolo Mantegazza scrittore e scienziato, Sem Benelli , David Herbert Lawrence, Mario Soldati. Importanti Premi Letterari si iscrivono nella tradizione e nella storia di Lerici, come il Premio LericiPea di rilevanza internazionale che ogni anno ospita con il riconoscimento all’opera poetica i maggiori poeti del mondo, inoltre il Premio Città di Lerici ed altri eventi come“Lerici legge il mare”in collaborazione con la casa editrice Mursia. Lerici è luogo di ispirazione di poeti e di pittori. Numerosi e validissimi i pittori locali che riproducono le bellezze naturali del territorio  e voglio qui segnalare un bel libro-catalogo recentissimo che ne raccoglie i profili ed alcune opere : “All’orizzonte d’isola”(28 pittori ed un poeta) di Vasco Bardi, con prefazione a cura del Prof. Giuseppe Luigi Coluccia.
Dopo questo breve “excursus” possiamo  affermare che a pieno titolo il territorio di Lerici viene a collocarsi in una “Liguria mentale” oltre  geografica e paesistica, Liguria terra dell’immaginario, dove la natura splendidamente dimessa , riservata, “pietrosa”, fa da tramite, come accade nell’opera di Eugenio Montale, alla comprensione dell’amaro destino dell’uomo.
Esiste dunque un intrinseco  legame tra il territorio di Lerici e la letteratura, così come esiste una vera e propria “valenza poetica” della terra ligure, posta a metà strada tra la Provenza dei trovatori e la Firenze di Dante. Lerici è un porto, luogo di approdi e partenze. E’ luogo di ispirazione per viaggiatori da tutto il mondo. La storia e la cultura di Lerici hanno radici nel mare.

Donatella Zanello
  


LE RADICI  DEL MARE                              
  
Donatella Zanello
Avevo sedici anni appena              
quando a Genova mi imbarcai
la prima volta come mozzo.
Mio padre mi affidò
ad uno zio cambusiere
e la mia paga era buona
per la famiglia
flagellata dalla fame
e  dalle malattie.
Avevo visto morire
i miei fratelli
di febbre spagnola
e  mia madre
piange ancora
nel mondo delle ombre.
Così la nave bianca
divenne la mia casa,
gli oblò le finestre,
il ponte di coperta il giardino.
Dopo la prima notte
di lacrime disperate
sul duro pagliericcio
lasciai la mia infanzia
a caccia di gamberi sul molo
e divenni un uomo.
La nave bianca
era la mia casa
e tutta la mia vita
mise radici nel mare.


Donatella Zanello

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