Sezione - SALA CARGIA' ATELIER A CIELO APERTO
La sacralità dell’arte e Carla
ANDREA MARRONE |
La ricerca del bello nasce con l’uomo. Le grotte hanno
conservato meravigliosi disegni e incisioni rupestri, le tombe ci hanno
restituito monili, puri ornamenti o oggetti di uso comune ingentiliti per il
piacere di utilizzare qualcosa di diverso, di bello. L’arte intesa come
l’intendiamo noi arriva in un momento seguente: infatti le pitture rupestri
sono sì arte ma non arte fine a sé stessa bensì arte sacra e qui potremmo
aprire un dibattito se anche l’arte cosiddetta profana, l’arte per l’arte, il
bello per il bello non sia in realtà anche essa una espressione del Sacro. Partiamo
dalla definizione del Sacro secondo l’Enciclopedia Treccani: “Ciò che è
connesso, più o meno intimamente, con la divinità, con la religione e con i
suoi misteri e perciò impone un particolare atteggiamento di riverenza e di
venerazione (contrapposto in genere a profano)”. Riverenza e venerazione: chi
non ha provato quella forma di attrazione chiamata “Sindrome di Stendhal” di
fronte a un capolavoro? Ossia una reazione psicosomatica che può provocare
tachicardia, vertigini, capogiri, confusione e addirittura allucinazioni in
persone che osservino delle opere d’arte da loro concepite come aventi una
straordinaria bellezza, oppure che emanino l’essenza della divinità: il Mana.
Ecco come lo descrive lo scrittore francese noto come Stendhal nel 1817: «Ero
giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date
dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un
battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di
cadere». Benché la cultura, ossia la possibilità di attingere ai riferimenti
che essa può dare, sia importante non è però necessaria per poter godere della
emozione che l’arte può darci. Le pitture di Lascaux, i Bronzi di Riace, il
Pantheon a Roma, la Divina Commedia, la Monna Lisa ci costringono a fermarci, a
uscire per qualche istante, o per ore, o per sempre dalla nostra quotidianità e
ci portano nella dimensione del Sacro. Sono la dimostrazione assoluta della
immortalità dell’anima, della dimensione spirituale degli uomini, del fatto che
l’uomo non è solo preda di istinti o solo espressione economica ma qualcosa di
diverso e di più complesso.
Mi riallaccio qui alla figura di Carla Gallerini, descritta nel
libro della figlia, la cara amica Ezia. Carla ha amato l’arte, o forse è stata
l’arte ad amare lei al punto tale da conquistarla d’amore, a monopolizzarne gli
interessi e la vita stessa in maniera tale da ricordare l’aforisma di
Sant’Agostino: “La misura dell’amore e amare senza misura”. Carla che aveva i
vestiti che lei stessa movimentava con sapienti colpi di forbice segnati da
colla, pitture, frammenti di carta che derivavano dal suo incessante bisogno di
creare, di dare una forma fisica all’amore per l’arte, al genio che l’aveva
posseduta.
Shelley, le sue donne e San Terenzo
Shelley apparteneva a una classe sociale privilegiata, la
“Landed Gentry”, ossia l’aristocrazia rurale del Sussex. Era quindi ricco,
dotato di una intelligenza pronta, istruito nella severa tradizione degli
istitutori inglese che gli diedero una profonda conoscenza dei classici ed era
stato da subito qualificato come “eccentrico”. Nell’Inghilterra dell’epoca
essere eccentrici era considerata una simpatica eccezione alla regola e
generalmente si era visti con una curiosa benevolenza ma Shelley, nella
sessuofoba società contemporanea, doveva essere destinato nella sua breve vita,
ad essere oggetto di scandalo. Shelley, vegetariano, trasgressivo, ateo,
promiscuo, era una contraddizione vivente. Aveva una visione panteistica della
vita, pagana, edonistica e individualista. In lui non c’era l’idealismo
libertario di derivazione francese ma piuttosto la ricerca esasperata del
ricreare intorno a lui il mondo dei classici greci e latini come lo immaginava
lui, un mondo percepito come assente dal concetto di peccato. Anche la sua
rivolta contro, per esempio, il lavoro in fabbrica, va in direzione di una
arcadia posticcia dove la figura dell’operaio non trova posto come non trova
posto, e in questo si vede la sua estrazione nobiliare, il commercio come
fondamento del suo paese che invece di colonizzare in senso romano conquistava
un impero solo per avere mercati di sbocco per le sue industrie. Non era un
uomo d’azione come il suo amico Byron ma piuttosto un languido esteta, un
nichilista concentrato sui suoi piaceri e sulla sensazione di potenza che la
trasgressione a qualsiasi principio morale gli provocava. Al contrario ancora
di Byron che aveva sposato la tragica lotta dei filoelleni contro l’impero
turco, Shelley propugna nelle sue poesia l’idea della non violenza
rivoluzionaria, concetto che poi ispirò anche Gandhi. Non violenza verso gli
uomini e verso gli animali che lo portò ad una forma estrema di vegetarianismo
in una epoca in cui il non mangiare carne era ritenuta non tanto una stranezza
ma una vera follia da guardare con sospetto. I suoi versi conservano una
eleganza formale ineccepibile e sono considerati tra i migliori mai scritti in
lingua inglese facendo di lui uno dei massimi esponenti tra i poeti romantici
inglesi.
Harriett
Shelley nacque nel 1792 e nel 1810, mentre l’Europa era
insanguinata dalle guerre napoleoniche, fu ammesso alla prestigiosa università
di Oxford. A 18 anni Shelley è già uno scrittore con una predilezione per il
gotico ma non solo, in quanto scrive raccolte di poesie con la sorella
Elizabeth. È il suo terzo lavoro di scrittura che ne causa l’espulsione da
Oxford per immoralità. L’opuscolo “La necessità dell’ateismo” era stato scritto
con un amico, Thomas Jefferson Hogg, espulso anche lui da Oxford e
successivamente diventato avvocato, Hogg era anche lui un fautore del libero
amore, dell’ateismo e un vegetariano convinto. Non è chiaro chi tra i due fosse
il “cattivo compagno” che influenzasse l’altro. Hogg divenne il maggiore
biografo di Shelley dopo la sua morte ma nella biografia lo descrive in maniera
subdolamente malevola e questo mi fa pensare che fosse lui ad influenzare
l’amico con le sue teorie nichiliste, rivoluzionarie e soprattutto amorali. Tra
i due sembrava esserci stato una sorta di patto sull’aderire al libero amore e
Hogg rimase per tutta la vita legato alle donne di Shelley, una presenza spesso
scomoda specialmente per la prima moglie di Shelley. Dopo l’espulsione da
Oxford Shelley era scappato in Scozia con una studentessa quindicenne, Harriet
Westbrook, figlia di un importatore di caffè londinese che desiderava per le
sue due figlie un avanzamento sociale. Harriet, spinta anche dalla sorella
Eliza che all’epoca aveva trent’anni ed era evidentemente una arrampicatrice
sociale e che vivrà con la nuova coppia, si lascia conquistare dal fascino
tenebroso e trasgressivo di Shelley che, ricordo, era anche un ricco membro
della aristocrazia. L’atteggiamento delle due famiglie fu naturalmente diverso:
costernazione degli Shelley e compiaciuta accettazione dei Westbrook. I due si
erano conosciuti in quanto Harriet aveva frequentato la stessa scuola di
Hellen, sorella minore di Shelley.Harriet era una ragazza, per quanto
giovanissima, intelligente, colta e affascinante e la sua indole e cultura la
portarono a condividere i progetti letterari e politici di Shelley. I due si
sposarono nel 1811 quando avevano rispettivamente sedici e diciannove anni, per
gli standard di oggi due ragazzini ma quelli erano tempi assai diversi. È lo
stesso Hogg a convincere Shelley, fermamente opposto al concetto di matrimonio,
a sposare Harriet a Edimburgo sostenendo che se non avesse fatto quel passo
avrebbe potuto perderla. Quando però Hogg si trasferisce per lavoro a York
anche Shelley lo segue con Harriet e la sorella Eliza. Questa convivenza
diventerà molto difficile in quanto Hogg cercò a più ripresa di insidiare
Harriet fino al punto che Shelley decise di andarsene e questo causò un fitto
carteggio tra i due seguaci del libero amore: Hogg rimproverava Shelley di aver
tradito sia la loro amicizia che le loro convinzioni e Shelley che si
giustificava addossando ad Harriet il motivo del suo essere andato altrove. Oltre
alla riluttanza di Harriet nei confronti di Hogg anche la presenza di
Eliza portò a un logoramento dei loro
rapporti vista la propensione alla promiscuità di Shelley e nel 1813 Shelley
passava oramai più tempo fuori casa che con Harriet, nonostante questo nel 1814
i due si sposarono con una seconda cerimonia in una chiesa londinese per
ottenere la legittimazione del loro matrimonio secondo la legge inglese che
avrebbe consentito la regolarizzazione della posizione della figlia nata l’anno
precedente. Il nuovo matrimonio poteva fare pensare ad un riavvicinamento tra i
due ma Shelley e Harriet vivevano già separati quando nacque un secondo figlio
mentre l’irrequieto Shelley cominciava a frequentare la sedicenne Mary Godwin,
cosa che significò la fine dell’amore con Harriet. Harriet, benché
finanziariamente indipendente grazie a un doppio lascito del padre e di Shelley
tornò brevemente a casa del padre, poi andò a vivere da sola diventando l’amate
di un ufficiale dell’esercito. Rimasta incinta credette di essere stata
abbandonata dall’amante che però era stato improvvisamente inviato all’estero
per esigenze militari. Nel dicembre del 1816, dopo aver scritto una dura
lettera al padre, alla sorella Eliza e a Shelley fece il breve tragitto da casa
sua fino ad Hyde Park e, ad appena 21 anni, si lasciò scivolare nel lago
artificiale Serpentine e annegò.
Mary e Claire
L’incontro con Mary nacque dall’interesse di Shelley per il
padre, il filosofo illuminista e libraio londinese William Godwin. Mary,
all’epoca appena sedicenne, era anche figlia della scrittrice femminista Mary
Wollstonecraft, una eredità, soprattutto quella materna, che influenzò
moltissimo la vita di Mary e che la spinse a scrivere molto sulla necessità di
aggregazione e cooperazione per le donne. Il rapporto di Shelley con William Godwin, che lo portava a
frequentare la sua libreria e la casa, era come quello con Hogg, contorto.
Shelley si era impegnato nel ripianare i molti debiti di Godwin e quando non fu
più in grado di farlo in quanto la famiglia aveva messo un freno alle sue spese
inconsulte, Godwin lo trattò da traditore e non fece solo questo, cercò di
ostacolare il sentimento che era nato tra Shelley e Mary proprio adducendo la
scusa di voler salvaguardare la moralità della figlia, argomento ridicolo per
Shelley ma anche per Mary che per tutta la vita condivise non solo le idee ma
anche le pratiche neopagane sul libero amore di Shelley. Mary si sentirà quindi
delusa dal padre che adorava e che era anche lui un assertore del libero amore,
un pensatore libero ateo e un denigratore del matrimonio, considerato come un
“repressivo monopolio”. Ma Godwin era anche convinto, al contrario di Mary
Wollstonecraft, che l’educazione data alle donne dovesse essere diversa da
quella data agli uomini e in questo, benché anarchico e libero pensatore era in
tutto un uomo del suo tempo. Di fronte all’ostilità di Godwin Mary e Shelley
partirono insieme per la Francia e la Svizzera e si portarono dietro anche la
sorellastra di Mary, Claire Clairmont, anche lei sedicenne lasciando però
indietro anche un’altra delle sorellastre di Mary, Fanny Imlay che invece
avrebbe voluto partire con loro. Ancora una volta Shelley coabita con altre
persone e anche Claire condivise la vita libera da vincoli morali della sorella
e di Shelley ma lei ebbe poiun ruolo importantissimo per la vita futura dei
due: sarà infatti lei a creare l’occasione di incontro tra Shelley e Byron.
Claire, che stava tentando non con grande successo una carriera letteraria ed
aveva oramai diciotto anni, era entrata in contatto nel 1816 con Byron
chiedendogli consigli e da lì iniziò un difficile rapporto ad intermittenza con
Byron che si lamentava di essere praticamente costretto a subire le avances di
Claire a ogni ora della notte ma di non provare per lei amore. Nonostante
questo è proprio Claire che fa da cerniera tra Shelley e Byron. Insieme con
Byron Claire conobbe un altro personaggio che ritroveremo, una rara figura di
inglese sbruffone e millantatore, Edward John Trelawny, che proveniva anche lui
dalla aristocrazia ma era privo di mezzi e viveva sfruttando la sua amicizia
con Byron ed altri fungendogli da accompagnatore o segretario dopo aver fatto
per qualche anno il marinaio e avendo costruito su quella esperienza una fama,
falsa, di avventuriero. Il viaggio in Francia e in Svizzera durò sei settimane
e fu vissuto dai tre come una avventura che però terminò per mancanza di
denaro. Al ritorno in Inghilterra Mary scoprì di essere incinta e i tre, sempre
oppressi dalla mancanza di fondi, cambiarono spesso casa per sfuggire ai
creditori frequentando il solito Hogg che ora aveva delle mire, sembra
corrisposte e sempre in virtù del libero amore con Mary e con Claire. Il
triangolo tra Shelley, Mary e Claire si era ingrandito comprendendo anche
l’amico Hogg con il quale Mary iniziò un carteggio molto affettuoso che culminò
nella sua richiesta di assistenza quando la bambina di cui era incinta morì
prematuramente. Alla morte della bambina seguì però anche la morte del nonno di
Shelley avvenimento che risollevò Shelley economicamente per via della eredità
che gli venne assegnata. Per un gentiluomo inglese dell’epoca era molto facile,
in virtù del prestigio dell’aristocrazia, contrarre debiti. Se però non si era
in grado di pagarli per i creditori insolventi era previsto il carcere e la
legge inglese in questo era inesorabile. Shelley non ha mai avuto grandi
disponibilità economiche durante la sua vita e questo, vista la sua vita
dispendiosa, gli causò ansie e problemi per tutta la vita. Solo in Europa e,
specialmente, in Italia, le sue scarse finanze gli consentivano di fare quella
vita stravagante che la sua famiglia allargata comportava. I tre si recarono a
Ginevra dove avrebbero trascorso l’estate con Byron che stava cercando di
risolvere il problema che gli si era posto davanti nel sapere che Claire era
rimasta incinta e che attribuiva la paternità del figlio a lui. Fu la stessa
Claire a combinare la vacanza insieme per cercare di ricucire il rapporto con
Byron. Nonostante l’atmosfera spesso cupa con Claire che andava a bussare di
notte alla porta di Byron che però cercava di troncare la loro relazione il
gruppo, di cui faceva parte anche il medico di Byron, passava le giornate con
gite in barca sul tranquillo lago di Ginevra, poi si riunivano per scrivere
versi e, soprattutto, passavano le loro interminabili serate scambiandosi
storie di fantasmi corroborate dalle opinioni scientifiche del medico che era
al corrente degli esperimenti sulla elettricità e sulle teorie di come
utilizzarla per scopi medici. Fu Byron a dare l’idea che ognuno di loro dovesse
scrivere una storia gotica e lì nacque in Mary l’idea del Frankenstein che fu
poi pubblicato due anni dopo. Il Frankenstein non è solo un romanzo gotico, in
esso ci sono pulsioni potenti: la paura della tecnologia che può sconvolgere i
ritmi naturali al punto che l’elettricità possa ridare vita a un corpo morto ma
anche l’idea di un organismo composto da parti di altri organismi, una forma di
parassitismo che forse riporta anche a Shelley stesso, alla sua vita
disordinata sia sentimentalmente che sessualmente, al suo essere membro della
classe dominante e contemporaneamente anarchico e rivoluzionario. Un essere
frammentato e inquieto minacciato dalla massa amorfa, ignorante e fanatica che
darà la caccia a Frankenstein e che, forse soprattutto nella mente di Shelley e
di Mary, li metterà al margine per le loro idee e stile di vita. È difficile
non provare pietà per Frankenstein, per un mostro perseguitato spietatamente
dai “normali” e che si ribella al suo creatore, alla società che lo ha
prodotto.Ma le serate trascorse a raccontarsi storie dell’orrore gettano anche
luce su un altro aspetto della trasgressività di casa Shelley: l’uso di
stupefacenti. L’uso dell’oppio, sia sotto forma di Laudano che come sostanza da
fumare si era da tempo diffusa in Europa dapprima come anestetico e
successivamente come calmante. Claire ebbe diversi episodi di “Horror”, di
orrore durante i quali asseriva di vedere trasformarsi i volti delle persone
vicino a lei in maschere diaboliche e doveva essere messa a letto e calmata.
Indubbiamente erano allucinazioni causate dall’oppio. Il laudano, mistura di
oppio e alcool era una sorta di panacea, veniva fatto ingerire ai bambini sotto
forma di sciroppo, prescritto alle donne durante le mestruazioni, usato per
calmare i casi di isteria. Il suo uso era diffusissimo e essendo più a buon
mercato dei liquori veniva usato per ubriacarsi dalle classi meno abbienti. Il
suo uso, magari intensificato da quello dell’assenzio e poi corroborato da lì a
pochi anni dall’arrivo della cocaina e dei suoi derivati divenne il tratto
distintivo degli intellettuali dell’ottocento e del primo novecento. Nel 1816
Shelley e Mary, due mesi dopo la tragica morte di Harriet si sposeranno e nel
frattempo l’altra sorellastra di Mary, Fanny, si era suicidata a ventun anni
ingerendo una intera bottiglia di laudano. Sembra che anche Fanny fosse
innamorata di Shelley e che avesse sofferto molto per non essere stata portata
in Europa con Mary e con Claire. Ma anche la situazione di casa Godwin,
perpetuamente oppressa dai debiti e con la matrigna che le era ostile non
dovevano essere estranee a quel gesto. Entrambe i suicidi di Harriet e di Fanny
verranno tenuti segreti per preservarne la memoria dal biasimo che accompagnava
il togliersi la vita.L’anno seguente nascerà la figlia di Claire e di Byron,
Allegra e nello stesso anno i genitori di Harriet riuscirono a vincere una
causa legale per ottenere la tutela dei due figli di Harriet e di Shelley che
furono affidati ad una coppia di istitutori in quanto il tribunale riconobbe
che l’ateismo di Shelley lo rendeva inadatto a educare i propri figli. Nel 1818
Shelley vive una profonda crisi, i creditori minacciano di farlo imprigionare,
ha perso la tutela dei figli e comincia a pensare che l’establishment
britannico gli sia ostile al punto che decide di andarsene dall’Inghilterra e
di non tornarci mai più e quindi Shelley, Mary con i suoi due figli, Claire e
Allegra partono per l’Italia. Arrivati in Italia andranno prima a Venezia dove
viveva Byron per cercare di regolarizzare la situazione di Allegra. Byron,
benché propugnatore di ideali romantici, fu durissimo con Claire: accettò di
occuparsi della bambina e lo fece male visto che la mise in un convento dove
poi morì ma solo a patto che Claire non avrebbe mai dovuto avere nessun tipo di
contatto con la figlia e, naturalmente, anche con lui. La sua era stata solo
una passione carnale passata la quale il poeta si disinteressò sia della madre
che del frutto della loro passione. Gli Shelley cominciarono poi a viaggiare
per la penisola socializzando, scrivendo, frequentando amici soprattutto tra
gli altri inglesi del Grand Tour ma il loro girovagare ebbe conseguenze
tragiche, i due figli di Mary morirono, una a Venezia e l’altro a Roma e Mary
cadde in una profonda depressione.
« My dearest Mary, wherefore hast thou gone,
And left me in this dreary world alone?
Thy form is here indeed—a lovely one—
But thou art fled, gone down a dreary road
That leads to Sorrow's most obscure abode.
For thine own sake I cannot follow thee
Do thou return for mine. »
And left me in this dreary world alone?
Thy form is here indeed—a lovely one—
But thou art fled, gone down a dreary road
That leads to Sorrow's most obscure abode.
For thine own sake I cannot follow thee
Do thou return for mine. »
A Firenze Mary concepì il suo quarto figlio, l’unico che le
sopravvivrà, Percy Florence Shelley e da lì in poi il nome Florence divenne
abbastanza comune in Inghilterra.
Jane
Le vicissitudini non fermarono le inclinazioni di Shelley e se
da una parte Mary condivideva le sue vedute sulla non esclusività del
matrimonio e sul libero amore non è ben chiaro quanto fosse contenta delle
avventure di Shelley con Sophia Stacey,una ventottenne turista inglese a cui
Shelley fece da chaperon a Firenze, con la contessina Emilia Viviani, figlia di
un nobile pisano squattrinato che viveva relegata in un convento e Jane
Williams una bella ventitreenne che dopo la morte del marito, affogato insieme
a Shelley, andò a vivere con il solito Hoggs a Londra. Anche Jane e il marito
Edward Ellerker Williams, un ufficiale della marina inglese, poi passato ai
dragoni che aveva trascorso diversi anni nell’India britannica erano diventati
parte della famiglia allargata di Shelley e Jane non fece mai mistero del fatto
di essere una delle amanti, anzi, secondo lei l’amante principale di Shelley
che preferiva lei alla moglie Mary, amata ma perennemente affetta da
depressione e ansie. Mary sembra non stesse però a guardare inerme, pare avesse
una spiccata simpatia per il marito di Jane, Edward Williams e per il principe
greco Alexandros Mavrokordatos che sarà uno degli animatori della resistenza di
Missolungi durante l’assedio che vide l’intervento e la morte di Byron. A parte
le torbide relazioni sentimentali l’attività letteraria e politica degli
Shelley in Italia era intensissima. Il loro rapporto con l’Italia era
complesso, Mary Shelley, dopo un soggiorno a Napoli la definì “un paradiso
abitato da demoni” e Claire e Jane Williams avevano usato termini insultati per
l’Italia e gli italiani nelle loro lettere. Di certo in Italia gli inglesi
godevano di uno status superiore, frequentavano i migliori ambienti, si
favoleggiava sulle loro grandi ricchezza e si potevano permettere non solo una
attività politica che non avrebbero potuto svolgere in patria ma anche il
tenere una condotta scandalosa senza doverne pagare le conseguenze. Per loro
l’Italia era un campo giochi dove nulla era proibito e tutto poteva essere
comprato impunemente, situazione che continuò fino agli anni venti del
novecento quando gli inglesi e tedeschi che frequentavano la penisola per il
loro turismo sessuale cominciarono ad essere espulsi con regolarità. La causa
della disaffezione di Mary Shelley per Napoli fu, per l’appunto, uno scandalo.
Una coppia di domestici italiani, da poco sposati e da loro licenziati aveva
accusato gli Shelley di avere registrata come figlia di Shelley e di una donna
italiana, una fantomatica Marina Padurin, una bambina nata a Napoli, che morì
da lì a poco. I due sostenevano che la piccola fosse invece figlia di Claire e
non è neppure escluso che la bimba fosse figlia della domestica e dello stesso
Shelley. Comunque fosse gli Shelley abbandonarono la bambina presso una
famiglia e se ne disinteressarono. Questo riconoscimento da parte di Shelley
poteva significare due cose: o regolarizzare la nascita della bambina se fosse
stata figlia di Claire che non era sposata ma che era una sorta di seconda
moglie per Shelley, oppure, se fosse stata figlia della domestica, di
appropriarsene escludendo la madre naturale per fare superare a Mary le sue
crisi di depressione dovute alle morti dei figli, all’uso del laudano e forse
anche alla dieta strettamente vegetariana.
Un poeta muore
Il tempo terreno di Shelley stava per finire, nell’aprile del
1822 Shelley, Mary, Claire e i Williams si trasferirono a San Terenzo, nella
villa Magni. La villa Magni non era grande, c’erano quattro piccole stanze e un
salone d’ingresso ed era stata costruita nel XVI secolo come parte del convento
dei barnabiti prima di passare di mano diverse volte. Anche l’arredamento era
scarso e sembra che i molti visitatori si dovessero accontentare spesso di
pagliericci gettati per terra per dormire.L’arrivo degli inglesi suscitò
scalpore nel piccolo borgo marinaro, giravano nudi tra gli scogli e sulla
terrazza, mangiavano solo pane, frutta e verdura e abbondavano con il laudano.
Stentavano a trovare del personale di servizio tra gli abitanti del borgo
scandalizzati dalla evidenza della loro promiscuità, dall’andirivieni di amici
chiassosi e dal loro essere, per la chiesa cattolica, eretici. Mary non si
trovava bene nella villa che era troppo piccola per la loro famiglia allargata
e troppo isolata e poi arrivò la notizia tragica della morte della figlia di
Claire e di Byron, Allegra, morta forse di febbre tifoide, in un convento di
Cappuccine nella remota Bagnacavallo dove Byron aveva deciso che dovesse essere
educata contro il parere di Claire che l’anno prima gli aveva scritto che la
condizione nei conventi italiani era nociva alla salute e che l’educazione
offerta era responsabile dello stato di ignoranza e promiscuità delle donne
italiane, tutte educate nei conventi. “Sono cattive mogli e le più snaturate
delle madri, immorali e ignoranti esse sono il disonore e la sventura della
società…questo passo ti procurerà una innumerevole aggiunta di nemici e
vergogna”. Veramente strano leggere di una presunta immoralità delle donne
italiane da Claire visto la vita che conduceva ma l’accenno ad essere cattive
mogli e madri potrebbe far pensare alla domestica di Napoli e avvalorare il
sospetto che fosse lei la vera madre della bambina. Ma è veramente desolante il
giudizio di Mary su San Terenzo: “Non ci sono parole che valgano a dirvi come
odiassi quella casa e il paese che la sovrastava…Shelley me ne faceva
rimprovero. La salute di lui era buona e il posto era proprio di sua
soddisfazione, che potevo rispondere? Che la gente era selvaggia e antipatica;
che, nonostante la bellezza del sito, avrei desiderato un posto più campestre e
che la vita era molto difficile; che tutti i nostri servitori toscani volevano
lasciarci e che il dialetto di questi genovesi era sgradevole. Questo era tutto
quello che potevo dire; ma non ho parole per descrivervi quel che provassi: la
bellezza di quei boschi mi metteva voglia di piangere e mi faceva rabbrividire
così forte era il senso di disgusto che mi vinceva che solevo quando il vento e
le onde mi permettevano di uscire in barca, sicché non fossi costretta a fare
la mia solita passeggiata in mezzo ai sentieri ombreggiati dagli alberi sui
quali si arrampicavano le viti: cose che un tempo mi erano carissime e che ora
mi opprimevano. I miei pochi momenti di pace erano quelli che passavo sul
malaugurato battello, quando sdraiata, con la testa sui ginocchi di lui,
chiudevo le palpebre e sentivo soltanto il soffio del vento e il nostro soave
andare”.Perdoniamo Mary per queste parole ingiuste, distrutta dai lutti,
sfibrata dalle gravidanze a soli 25 anni presentiva la tragedia che le sarebbe
occorsa tra poco e che avrebbe fatto finire in cenere l’eden neopagano in cui
viveva. Mary, che era nuovamente incinta ebbe un aborto spontaneo e fu salvata
a stento da Shelley che la immerse in una vasca d’acqua e ghiaccio per fermare
l’emorragia prima dell’intervento di un medico. Le aveva salvata la vita ma
anche in quei frangenti Shelley componeva poesie dedicate a Jane Williams e
passava più tempo con lei che con Mary o Claire. Non sono chiari i motivi per
la decisione di Shelley di trasferirsi a San Terenzo. L’area del golfo
risentiva ancora degli effetti negativi dell’inverno del 1817/1818 che il
rapporto ufficiale stilato dal futuro fondatore dell’ama dei Bersaglieri, La
Marmora, indicò come un momento di gravi carestie alimentari e epidemie.
L’annessione della Liguria al Regno di Sardegna dopo l’epoca napoleonica aveva
anche significato per il golfo un nascente interesse esclusivamente di natura
militare. Nel maggio del 22 Re Vittorio Emanuele I, l’ultimo del ramo
principale dei Savoia, visitò il golfo e La Spezia a bordo della sua nave
“Maria Teresa” venendo salutato da salve di cannone del forte di Santa Maria
che era stato restaurato dopo le distruzioni belliche. La strada per Genova
sarebbe stata completata solo l’anno seguente e quindi la maniera migliore per
muoversi nell’ambito del golfo o di raggiungerlo era per mare. Tutti i borghi
del golfo soffrivano di una povertà diffusa ed erano scarsamente abitati. Forse
era quello che aveva attirato Shelley, l’idea di un luogo isolato dove
costruire il suo eden neopagano, dove vivere indisturbati, nudi, spensierati,
dediti alla poesia, alla pesca, alla promiscuità senza dover rendere conto a
nessuno, lontano dagli sguardi di disapprovazione non tanto degli italiani di
cui non si curavano ma degli altri inglesi del Gran Tour che si potevano
incontrare a Firenze, Roma, Venezia o Napoli. San Terenzo era isolata e
selvaggia, il luogo perfetto per condurre una vita trasgressiva. Shelley aveva
una barca, uno shooner di dieci metri, il Don Juan ribattezzato Ariel,
progettata da due amici di Byron, il capitano Daniel Roberts e Edward Trelawny
di cui abbiamo già parlato e costruita a Genova, barca che poi venne
considerata difettosa sia come progetto che come esecuzione. Sembra che Mary,
quando la vide, ne ebbe paura come per una premonizione. L’Ariel in realtà non
si capovolse, come un difetto di costruzione avrebbe potuto giustificare ma
affondò e questo si ritiene fosse dovuto non a difetti ma alla tempesta estiva
che si stava addensando tra Livorno e il golfo di La Spezia proprio mentre
Shelley aveva deciso imprudentemente di partire. L’atmosfera di villa Magni
sembrava diventare di giorno in giorno più cupa, i racconti di fantasmi e l’uso
di droghe procuravano allucinazioni agli Shelley e ai loro ospiti e Shelley a
metà giugno scrisse a Trelawny chiedendogli che gli procurasse del veleno,
acido prussico. “È inutile vi dica che presentemente non ho nessuna idea di
uccidermi ma confesso che sarebbe per me un conforto avere tra le mani l’aurea
chiave che dischiude la stanza dell’eterno riposo”. Shelley raccontò di come
fosse visitato dal suo stesso fantasma che gli chiedeva se fosse soddisfatto di
sé stesso. Incubi notturni e allucinazioni diurne si stavano intensificando. Il
primo luglio1822, a un mese dal suo trentesimo compleanno, Shelley con l’amico
Edward Williams e uno dei progettisti della barca, il capitano Roberts,
salparono da San Terenzo verso Livorno per incontrarsi con Byron circa il progetto per una nuova rivista politica. Si
fermarono a lungo e ripartirono l’otto luglio per rientrare a San Terenzo
accompagnati da un marinaio inglese, Charles Vivien. Quando arrivò a villa
Magni una lettera indirizzata a Shelley in cui gli si chiedeva se fosse
rientrato bene a causa del brutto tempo alla partenza Mary e Jane Williams
partirono subito recandosi a Livorno e poi a Pisa in cerca dei loro mariti.
Solo dieci giorni dopo il naufragio le spoglie dei tre naufragi furono
ritrovate sulla spiaggia di Viareggio. Nonostante le leggende romantiche quello
che successe poi fu orribile. Il corpo del marinaio Vivien venne subito
bruciato senza tanti complimenti, non faceva parte della classe privilegiata di
Williams e Shelley. Il cadavere di Shelley era stato rinvenuto in una località
imprecisata tra Viareggio e Massa e quello di Williams a Bocca di Serchio.
Tutti e due furono sepolti nella sabbia e coperti di calce viva in attesa di
sapere cosa farne. Un fitto carteggio tra l’ambasciata inglese di Firenze e il
Granducato di Toscana avrebbe voluto ottenere l’inumazione dei due inglesi nel
cimitero acattolico di Firenze ma motivi di ordine sanitario imposero la loro
cremazione. La cremazione era proibita e sanzionata all’epoca in quanto la
distruzione del cadavere non era ammessa dalla dottrina cattolica anche se
avveniva clandestinamente anche nel vicino Lazzaretto del Varignano dove era in
funzione un forno crematorio che veniva pudicamente indicato come servire
all’incenerimento delle masserizie degli ammalati. Nel calore dell’estate i
corpi erano putrefatti e Mary chiese a Byron di fornire degli oli aromatici e
incenso per dare una atmosfera eroica alla cremazione che doveva ricordare
quella degli eroi della Grecia classica ma che indubbiamente servirono a
rendere meno disgustosa l’operazione. Fu cremato dapprima Williams e Byron,
sconvolto dalla vista del cadavere sfatto dell’amico mentre ne ardeva la pira
fece un bagno in mare nuotando vigorosamente come per allontanarsi da quel
luogo di morte. Sembra che ci fosse una piccola folla elegante ad assistere al
rogo. Poi andarono a cercare Shelley e trovato il luogo della sua sepoltura che
era piantonato da delle guardie come già quello di Williams, lo
disseppellirono. Anche il suo corpo era in condizioni orribili e la
putrefazione e la calce viva gli avevano fatto assumere un colore turchino e lo
avevano quasi del tutto scarnificato. La leggenda vuole che il cuore di Shelley
non bruciasse e che fosse stato recuperato e chiuso in una scatola da Trelawny
mentre Byron si allontanava ritornando a bordo della sua barca con la quale il
gruppetto degli inglesi aveva raggiunto prima Bocca di Serchio e poi il luogo
della sepoltura di Shelley. È più probabile che il cuore fosse stato asportato
prima della cremazione e che poi venisse recapitato a Mary, un macabro feticcio
da portare con sé mentre il corpo, o perlomeno quello che ne rimaneva, finirono
nel cimitero per non cattolici di Roma vicino a quello di uno dei suoi figli.
Alla morte di Mary fu ritrovata una busta di seta contenente delle ceneri, non
si sa se del cuore o se fossero solo parte delle ceneri di Shelley. Non fu
comunque mai trovato un cofanetto con il cuore ma Trelawny, come abbiamo già
detto, era un poderoso millantatore.Trelawny, anche lui responsabile per la
progettazione della barca di Shelley immediatamente dopo la cremazione propose
di sposare Claire Clairmont che però, dopo la morte di Allegra, sembrava aver
perso interesse negli uomini e che scrisse a Mary: “Trelawny ama una vita
torbida e complicata e io invece la desidero quieta”. Claire successivamente
finì in diversi luoghi in Europa e in Russia come istitutrice o dama di
compagnia, sembra che non avesse avuto o cercato altre avventure romantiche e
finì la sua vita a Firenze, convertita al cattolicesimo. Esistono diverse
versioni sulla morte di Shelley: una romantica che lo vorrebbe affetto da manie
suicide, cosa che non spiegherebbe l’affondamento della barca. Un’altra farebbe
riferimento alla sua scarsa capacità come marinaio ma con lui c’era un marinaio
esperto, Vivien e addirittura un ufficiale della marina militare britannica,
Williams. La barca fu rinvenuta con la scialuppa di salvataggio a bordo ma con
una fiancata sfondata. Qualcuno parlò di uno speronamento da parte di agenti
segreti britannici per via della attività politica di Shelley, altri di una
vendetta dei suoi creditori rimasti in Inghilterra a bocca asciutta e si parlò
perfino di pirateria con una supposta confessione di un pescatore locale che si
dice confessasse di avere speronato l’Ariel per derubarne i passeggeri. Tutte
ipotesi fantasiose, durante la tempesta nessuno, siano stati agenti segreti di
Londra, sicari dei debitori o pescatori dediti alla pirateria avrebbero
aggredito la nave. La fiancata non aveva semplicemente retto all’urto del mare.
Ritorno a casa
Mary, devastata dalla morte di Shelley e dai troppi lutti nella
sua vita tornò in Inghilterra dopo un soggiorno di un anno a Genova con il solo
scopo di accudire al figlio superstite. Per tutta la vita si sostenne con la
sua attività di scrittrice e con una piccola rendita da parte della famiglia di
Shelley. Mantenne una vivace vita sociale e rimase molto vicina a Jane Williams
che nel frattempo viveva con Hoggs. Sembra che ne fosse perfino innamorata ma
Jane non si dimostrò generosa nei suoi confronti in quanto amava far circolare
la voce che Shelley fosse più innamorato di lei che di Mary. Mary continuò ad
avere relazioni, soprattutto con scrittori ma anche con due amiche lesbiche che
riuscì con uno stratagemma a fare partire per la Francia come se fossero una
coppia sposata, ebbe anche un breve rapporto con il solito Trelawny che però
aveva cercato solo di ottenere aiuto per un suo libro su Shelley, al rifiuto di
Mary Trelawny la piantò in asso. Mary non ebbe solo avventure d’amore, subì
anche almeno tre ricatti, certe lettere sue e di Shelley o una biografia del
marito che conteneva materiale compromettente la esposero ai ricatti di tre
farabutti, frutto di una vita trasgressiva in una società bacchettona come
quella inglese della prima metà dell’ottocento. Alla fine Mary Shelley morì a
53 anni, una età abbastanza avanzata per l’epoca in cui aveva vissuto, le sue
vicissitudini e le molte gravidanze. Il suo corpo fu trasferito più volte e
alla fine fu ricongiunto con le ceneri del marito e di una delle sue figlie
insieme al padre e alla madre di Mary.
Andrea Marrone
Andrea Marrone ha lavorato per 20 anni in Asia accumulando una
grqande esperienza di interazione con popoli diversi.Durante il suo lavoro ha
approfondito le culture locali e ha continuato a studiare storia. Ha pubblicato
diversi romanzi e saggi storici e collabora con Focus Storia. Ha ricvevuto
diversi premi letterari tra cui il premio "Nassiriya" ed è stato
presidente di giuria del premio "Giovane Holden"
E’ concesso l’utilizzo di
testi e immagini ai soli fini di studio citando sia l’Autore che il Blog
di Sala Culturale CarGià come fonte insieme al relativo link © Sala Culturale
CarGià http://salacargia.blogspot.it
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