domenica 23 luglio 2017

SALA CARGIA’ ATELIER A CIELO APERTO 2017 – ARTE E BELLEZZA, SHELLEY IL NEOPAGANO E LE SUE DONNE - Conferenza di Andrea Marrone

Sala Culturale CarGià - Promozione Artistica 2017
Sezione - SALA CARGIA' ATELIER A CIELO APERTO


La sacralità dell’arte e Carla
ANDREA MARRONE
La ricerca del bello nasce con l’uomo. Le grotte hanno conservato meravigliosi disegni e incisioni rupestri, le tombe ci hanno restituito monili, puri ornamenti o oggetti di uso comune ingentiliti per il piacere di utilizzare qualcosa di diverso, di bello. L’arte intesa come l’intendiamo noi arriva in un momento seguente: infatti le pitture rupestri sono sì arte ma non arte fine a sé stessa bensì arte sacra e qui potremmo aprire un dibattito se anche l’arte cosiddetta profana, l’arte per l’arte, il bello per il bello non sia in realtà anche essa una espressione del Sacro. Partiamo dalla definizione del Sacro secondo l’Enciclopedia Treccani: “Ciò che è connesso, più o meno intimamente, con la divinità, con la religione e con i suoi misteri e perciò impone un particolare atteggiamento di riverenza e di venerazione (contrapposto in genere a profano)”. Riverenza e venerazione: chi non ha provato quella forma di attrazione chiamata “Sindrome di Stendhal” di fronte a un capolavoro? Ossia una reazione psicosomatica che può provocare tachicardia, vertigini, capogiri, confusione e addirittura allucinazioni in persone che osservino delle opere d’arte da loro concepite come aventi una straordinaria bellezza, oppure che emanino l’essenza della divinità: il Mana. Ecco come lo descrive lo scrittore francese noto come Stendhal nel 1817: «Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere». Benché la cultura, ossia la possibilità di attingere ai riferimenti che essa può dare, sia importante non è però necessaria per poter godere della emozione che l’arte può darci. Le pitture di Lascaux, i Bronzi di Riace, il Pantheon a Roma, la Divina Commedia, la Monna Lisa ci costringono a fermarci, a uscire per qualche istante, o per ore, o per sempre dalla nostra quotidianità e ci portano nella dimensione del Sacro. Sono la dimostrazione assoluta della immortalità dell’anima, della dimensione spirituale degli uomini, del fatto che l’uomo non è solo preda di istinti o solo espressione economica ma qualcosa di diverso e di più complesso.
Mi riallaccio qui alla figura di Carla Gallerini, descritta nel libro della figlia, la cara amica Ezia. Carla ha amato l’arte, o forse è stata l’arte ad amare lei al punto tale da conquistarla d’amore, a monopolizzarne gli interessi e la vita stessa in maniera tale da ricordare l’aforisma di Sant’Agostino: “La misura dell’amore e amare senza misura”. Carla che aveva i vestiti che lei stessa movimentava con sapienti colpi di forbice segnati da colla, pitture, frammenti di carta che derivavano dal suo incessante bisogno di creare, di dare una forma fisica all’amore per l’arte, al genio che l’aveva posseduta.
Shelley, le sue donne e San Terenzo
Shelley apparteneva a una classe sociale privilegiata, la “Landed Gentry”, ossia l’aristocrazia rurale del Sussex. Era quindi ricco, dotato di una intelligenza pronta, istruito nella severa tradizione degli istitutori inglese che gli diedero una profonda conoscenza dei classici ed era stato da subito qualificato come “eccentrico”. Nell’Inghilterra dell’epoca essere eccentrici era considerata una simpatica eccezione alla regola e generalmente si era visti con una curiosa benevolenza ma Shelley, nella sessuofoba società contemporanea, doveva essere destinato nella sua breve vita, ad essere oggetto di scandalo. Shelley, vegetariano, trasgressivo, ateo, promiscuo, era una contraddizione vivente. Aveva una visione panteistica della vita, pagana, edonistica e individualista. In lui non c’era l’idealismo libertario di derivazione francese ma piuttosto la ricerca esasperata del ricreare intorno a lui il mondo dei classici greci e latini come lo immaginava lui, un mondo percepito come assente dal concetto di peccato. Anche la sua rivolta contro, per esempio, il lavoro in fabbrica, va in direzione di una arcadia posticcia dove la figura dell’operaio non trova posto come non trova posto, e in questo si vede la sua estrazione nobiliare, il commercio come fondamento del suo paese che invece di colonizzare in senso romano conquistava un impero solo per avere mercati di sbocco per le sue industrie. Non era un uomo d’azione come il suo amico Byron ma piuttosto un languido esteta, un nichilista concentrato sui suoi piaceri e sulla sensazione di potenza che la trasgressione a qualsiasi principio morale gli provocava. Al contrario ancora di Byron che aveva sposato la tragica lotta dei filoelleni contro l’impero turco, Shelley propugna nelle sue poesia l’idea della non violenza rivoluzionaria, concetto che poi ispirò anche Gandhi. Non violenza verso gli uomini e verso gli animali che lo portò ad una forma estrema di vegetarianismo in una epoca in cui il non mangiare carne era ritenuta non tanto una stranezza ma una vera follia da guardare con sospetto. I suoi versi conservano una eleganza formale ineccepibile e sono considerati tra i migliori mai scritti in lingua inglese facendo di lui uno dei massimi esponenti tra i poeti romantici inglesi.
Harriett
Shelley nacque nel 1792 e nel 1810, mentre l’Europa era insanguinata dalle guerre napoleoniche, fu ammesso alla prestigiosa università di Oxford. A 18 anni Shelley è già uno scrittore con una predilezione per il gotico ma non solo, in quanto scrive raccolte di poesie con la sorella Elizabeth. È il suo terzo lavoro di scrittura che ne causa l’espulsione da Oxford per immoralità. L’opuscolo “La necessità dell’ateismo” era stato scritto con un amico, Thomas Jefferson Hogg, espulso anche lui da Oxford e successivamente diventato avvocato, Hogg era anche lui un fautore del libero amore, dell’ateismo e un vegetariano convinto. Non è chiaro chi tra i due fosse il “cattivo compagno” che influenzasse l’altro. Hogg divenne il maggiore biografo di Shelley dopo la sua morte ma nella biografia lo descrive in maniera subdolamente malevola e questo mi fa pensare che fosse lui ad influenzare l’amico con le sue teorie nichiliste, rivoluzionarie e soprattutto amorali. Tra i due sembrava esserci stato una sorta di patto sull’aderire al libero amore e Hogg rimase per tutta la vita legato alle donne di Shelley, una presenza spesso scomoda specialmente per la prima moglie di Shelley. Dopo l’espulsione da Oxford Shelley era scappato in Scozia con una studentessa quindicenne, Harriet Westbrook, figlia di un importatore di caffè londinese che desiderava per le sue due figlie un avanzamento sociale. Harriet, spinta anche dalla sorella Eliza che all’epoca aveva trent’anni ed era evidentemente una arrampicatrice sociale e che vivrà con la nuova coppia, si lascia conquistare dal fascino tenebroso e trasgressivo di Shelley che, ricordo, era anche un ricco membro della aristocrazia. L’atteggiamento delle due famiglie fu naturalmente diverso: costernazione degli Shelley e compiaciuta accettazione dei Westbrook. I due si erano conosciuti in quanto Harriet aveva frequentato la stessa scuola di Hellen, sorella minore di Shelley.Harriet era una ragazza, per quanto giovanissima, intelligente, colta e affascinante e la sua indole e cultura la portarono a condividere i progetti letterari e politici di Shelley. I due si sposarono nel 1811 quando avevano rispettivamente sedici e diciannove anni, per gli standard di oggi due ragazzini ma quelli erano tempi assai diversi. È lo stesso Hogg a convincere Shelley, fermamente opposto al concetto di matrimonio, a sposare Harriet a Edimburgo sostenendo che se non avesse fatto quel passo avrebbe potuto perderla. Quando però Hogg si trasferisce per lavoro a York anche Shelley lo segue con Harriet e la sorella Eliza. Questa convivenza diventerà molto difficile in quanto Hogg cercò a più ripresa di insidiare Harriet fino al punto che Shelley decise di andarsene e questo causò un fitto carteggio tra i due seguaci del libero amore: Hogg rimproverava Shelley di aver tradito sia la loro amicizia che le loro convinzioni e Shelley che si giustificava addossando ad Harriet il motivo del suo essere andato altrove. Oltre alla riluttanza di Harriet nei confronti di Hogg anche la presenza di Eliza  portò a un logoramento dei loro rapporti vista la propensione alla promiscuità di Shelley e nel 1813 Shelley passava oramai più tempo fuori casa che con Harriet, nonostante questo nel 1814 i due si sposarono con una seconda cerimonia in una chiesa londinese per ottenere la legittimazione del loro matrimonio secondo la legge inglese che avrebbe consentito la regolarizzazione della posizione della figlia nata l’anno precedente. Il nuovo matrimonio poteva fare pensare ad un riavvicinamento tra i due ma Shelley e Harriet vivevano già separati quando nacque un secondo figlio mentre l’irrequieto Shelley cominciava a frequentare la sedicenne Mary Godwin, cosa che significò la fine dell’amore con Harriet. Harriet, benché finanziariamente indipendente grazie a un doppio lascito del padre e di Shelley tornò brevemente a casa del padre, poi andò a vivere da sola diventando l’amate di un ufficiale dell’esercito. Rimasta incinta credette di essere stata abbandonata dall’amante che però era stato improvvisamente inviato all’estero per esigenze militari. Nel dicembre del 1816, dopo aver scritto una dura lettera al padre, alla sorella Eliza e a Shelley fece il breve tragitto da casa sua fino ad Hyde Park e, ad appena 21 anni, si lasciò scivolare nel lago artificiale Serpentine e annegò.
Mary e Claire
L’incontro con Mary nacque dall’interesse di Shelley per il padre, il filosofo illuminista e libraio londinese William Godwin. Mary, all’epoca appena sedicenne, era anche figlia della scrittrice femminista Mary Wollstonecraft, una eredità, soprattutto quella materna, che influenzò moltissimo la vita di Mary e che la spinse a scrivere molto sulla necessità di aggregazione e cooperazione per le donne. Il rapporto di Shelley con William Godwin, che lo portava a frequentare la sua libreria e la casa, era come quello con Hogg, contorto. Shelley si era impegnato nel ripianare i molti debiti di Godwin e quando non fu più in grado di farlo in quanto la famiglia aveva messo un freno alle sue spese inconsulte, Godwin lo trattò da traditore e non fece solo questo, cercò di ostacolare il sentimento che era nato tra Shelley e Mary proprio adducendo la scusa di voler salvaguardare la moralità della figlia, argomento ridicolo per Shelley ma anche per Mary che per tutta la vita condivise non solo le idee ma anche le pratiche neopagane sul libero amore di Shelley. Mary si sentirà quindi delusa dal padre che adorava e che era anche lui un assertore del libero amore, un pensatore libero ateo e un denigratore del matrimonio, considerato come un “repressivo monopolio”. Ma Godwin era anche convinto, al contrario di Mary Wollstonecraft, che l’educazione data alle donne dovesse essere diversa da quella data agli uomini e in questo, benché anarchico e libero pensatore era in tutto un uomo del suo tempo. Di fronte all’ostilità di Godwin Mary e Shelley partirono insieme per la Francia e la Svizzera e si portarono dietro anche la sorellastra di Mary, Claire Clairmont, anche lei sedicenne lasciando però indietro anche un’altra delle sorellastre di Mary, Fanny Imlay che invece avrebbe voluto partire con loro. Ancora una volta Shelley coabita con altre persone e anche Claire condivise la vita libera da vincoli morali della sorella e di Shelley ma lei ebbe poiun ruolo importantissimo per la vita futura dei due: sarà infatti lei a creare l’occasione di incontro tra Shelley e Byron. Claire, che stava tentando non con grande successo una carriera letteraria ed aveva oramai diciotto anni, era entrata in contatto nel 1816 con Byron chiedendogli consigli e da lì iniziò un difficile rapporto ad intermittenza con Byron che si lamentava di essere praticamente costretto a subire le avances di Claire a ogni ora della notte ma di non provare per lei amore. Nonostante questo è proprio Claire che fa da cerniera tra Shelley e Byron. Insieme con Byron Claire conobbe un altro personaggio che ritroveremo, una rara figura di inglese sbruffone e millantatore, Edward John Trelawny, che proveniva anche lui dalla aristocrazia ma era privo di mezzi e viveva sfruttando la sua amicizia con Byron ed altri fungendogli da accompagnatore o segretario dopo aver fatto per qualche anno il marinaio e avendo costruito su quella esperienza una fama, falsa, di avventuriero. Il viaggio in Francia e in Svizzera durò sei settimane e fu vissuto dai tre come una avventura che però terminò per mancanza di denaro. Al ritorno in Inghilterra Mary scoprì di essere incinta e i tre, sempre oppressi dalla mancanza di fondi, cambiarono spesso casa per sfuggire ai creditori frequentando il solito Hogg che ora aveva delle mire, sembra corrisposte e sempre in virtù del libero amore con Mary e con Claire. Il triangolo tra Shelley, Mary e Claire si era ingrandito comprendendo anche l’amico Hogg con il quale Mary iniziò un carteggio molto affettuoso che culminò nella sua richiesta di assistenza quando la bambina di cui era incinta morì prematuramente. Alla morte della bambina seguì però anche la morte del nonno di Shelley avvenimento che risollevò Shelley economicamente per via della eredità che gli venne assegnata. Per un gentiluomo inglese dell’epoca era molto facile, in virtù del prestigio dell’aristocrazia, contrarre debiti. Se però non si era in grado di pagarli per i creditori insolventi era previsto il carcere e la legge inglese in questo era inesorabile. Shelley non ha mai avuto grandi disponibilità economiche durante la sua vita e questo, vista la sua vita dispendiosa, gli causò ansie e problemi per tutta la vita. Solo in Europa e, specialmente, in Italia, le sue scarse finanze gli consentivano di fare quella vita stravagante che la sua famiglia allargata comportava. I tre si recarono a Ginevra dove avrebbero trascorso l’estate con Byron che stava cercando di risolvere il problema che gli si era posto davanti nel sapere che Claire era rimasta incinta e che attribuiva la paternità del figlio a lui. Fu la stessa Claire a combinare la vacanza insieme per cercare di ricucire il rapporto con Byron. Nonostante l’atmosfera spesso cupa con Claire che andava a bussare di notte alla porta di Byron che però cercava di troncare la loro relazione il gruppo, di cui faceva parte anche il medico di Byron, passava le giornate con gite in barca sul tranquillo lago di Ginevra, poi si riunivano per scrivere versi e, soprattutto, passavano le loro interminabili serate scambiandosi storie di fantasmi corroborate dalle opinioni scientifiche del medico che era al corrente degli esperimenti sulla elettricità e sulle teorie di come utilizzarla per scopi medici. Fu Byron a dare l’idea che ognuno di loro dovesse scrivere una storia gotica e lì nacque in Mary l’idea del Frankenstein che fu poi pubblicato due anni dopo. Il Frankenstein non è solo un romanzo gotico, in esso ci sono pulsioni potenti: la paura della tecnologia che può sconvolgere i ritmi naturali al punto che l’elettricità possa ridare vita a un corpo morto ma anche l’idea di un organismo composto da parti di altri organismi, una forma di parassitismo che forse riporta anche a Shelley stesso, alla sua vita disordinata sia sentimentalmente che sessualmente, al suo essere membro della classe dominante e contemporaneamente anarchico e rivoluzionario. Un essere frammentato e inquieto minacciato dalla massa amorfa, ignorante e fanatica che darà la caccia a Frankenstein e che, forse soprattutto nella mente di Shelley e di Mary, li metterà al margine per le loro idee e stile di vita. È difficile non provare pietà per Frankenstein, per un mostro perseguitato spietatamente dai “normali” e che si ribella al suo creatore, alla società che lo ha prodotto.Ma le serate trascorse a raccontarsi storie dell’orrore gettano anche luce su un altro aspetto della trasgressività di casa Shelley: l’uso di stupefacenti. L’uso dell’oppio, sia sotto forma di Laudano che come sostanza da fumare si era da tempo diffusa in Europa dapprima come anestetico e successivamente come calmante. Claire ebbe diversi episodi di “Horror”, di orrore durante i quali asseriva di vedere trasformarsi i volti delle persone vicino a lei in maschere diaboliche e doveva essere messa a letto e calmata. Indubbiamente erano allucinazioni causate dall’oppio. Il laudano, mistura di oppio e alcool era una sorta di panacea, veniva fatto ingerire ai bambini sotto forma di sciroppo, prescritto alle donne durante le mestruazioni, usato per calmare i casi di isteria. Il suo uso era diffusissimo e essendo più a buon mercato dei liquori veniva usato per ubriacarsi dalle classi meno abbienti. Il suo uso, magari intensificato da quello dell’assenzio e poi corroborato da lì a pochi anni dall’arrivo della cocaina e dei suoi derivati divenne il tratto distintivo degli intellettuali dell’ottocento e del primo novecento. Nel 1816 Shelley e Mary, due mesi dopo la tragica morte di Harriet si sposeranno e nel frattempo l’altra sorellastra di Mary, Fanny, si era suicidata a ventun anni ingerendo una intera bottiglia di laudano. Sembra che anche Fanny fosse innamorata di Shelley e che avesse sofferto molto per non essere stata portata in Europa con Mary e con Claire. Ma anche la situazione di casa Godwin, perpetuamente oppressa dai debiti e con la matrigna che le era ostile non dovevano essere estranee a quel gesto. Entrambe i suicidi di Harriet e di Fanny verranno tenuti segreti per preservarne la memoria dal biasimo che accompagnava il togliersi la vita.L’anno seguente nascerà la figlia di Claire e di Byron, Allegra e nello stesso anno i genitori di Harriet riuscirono a vincere una causa legale per ottenere la tutela dei due figli di Harriet e di Shelley che furono affidati ad una coppia di istitutori in quanto il tribunale riconobbe che l’ateismo di Shelley lo rendeva inadatto a educare i propri figli. Nel 1818 Shelley vive una profonda crisi, i creditori minacciano di farlo imprigionare, ha perso la tutela dei figli e comincia a pensare che l’establishment britannico gli sia ostile al punto che decide di andarsene dall’Inghilterra e di non tornarci mai più e quindi Shelley, Mary con i suoi due figli, Claire e Allegra partono per l’Italia. Arrivati in Italia andranno prima a Venezia dove viveva Byron per cercare di regolarizzare la situazione di Allegra. Byron, benché propugnatore di ideali romantici, fu durissimo con Claire: accettò di occuparsi della bambina e lo fece male visto che la mise in un convento dove poi morì ma solo a patto che Claire non avrebbe mai dovuto avere nessun tipo di contatto con la figlia e, naturalmente, anche con lui. La sua era stata solo una passione carnale passata la quale il poeta si disinteressò sia della madre che del frutto della loro passione. Gli Shelley cominciarono poi a viaggiare per la penisola socializzando, scrivendo, frequentando amici soprattutto tra gli altri inglesi del Grand Tour ma il loro girovagare ebbe conseguenze tragiche, i due figli di Mary morirono, una a Venezia e l’altro a Roma e Mary cadde in una profonda depressione.
« My dearest Mary, wherefore hast thou gone,
And left me in this dreary world alone?
Thy form is here indeed—a lovely one—
But thou art fled, gone down a dreary road
That leads to Sorrow's most obscure abode.
For thine own sake I cannot follow thee
Do thou return for mine. »
A Firenze Mary concepì il suo quarto figlio, l’unico che le sopravvivrà, Percy Florence Shelley e da lì in poi il nome Florence divenne abbastanza comune in Inghilterra.
Jane
Le vicissitudini non fermarono le inclinazioni di Shelley e se da una parte Mary condivideva le sue vedute sulla non esclusività del matrimonio e sul libero amore non è ben chiaro quanto fosse contenta delle avventure di Shelley con Sophia Stacey,una ventottenne turista inglese a cui Shelley fece da chaperon a Firenze, con la contessina Emilia Viviani, figlia di un nobile pisano squattrinato che viveva relegata in un convento e Jane Williams una bella ventitreenne che dopo la morte del marito, affogato insieme a Shelley, andò a vivere con il solito Hoggs a Londra. Anche Jane e il marito Edward Ellerker Williams, un ufficiale della marina inglese, poi passato ai dragoni che aveva trascorso diversi anni nell’India britannica erano diventati parte della famiglia allargata di Shelley e Jane non fece mai mistero del fatto di essere una delle amanti, anzi, secondo lei l’amante principale di Shelley che preferiva lei alla moglie Mary, amata ma perennemente affetta da depressione e ansie. Mary sembra non stesse però a guardare inerme, pare avesse una spiccata simpatia per il marito di Jane, Edward Williams e per il principe greco Alexandros Mavrokordatos che sarà uno degli animatori della resistenza di Missolungi durante l’assedio che vide l’intervento e la morte di Byron. A parte le torbide relazioni sentimentali l’attività letteraria e politica degli Shelley in Italia era intensissima. Il loro rapporto con l’Italia era complesso, Mary Shelley, dopo un soggiorno a Napoli la definì “un paradiso abitato da demoni” e Claire e Jane Williams avevano usato termini insultati per l’Italia e gli italiani nelle loro lettere. Di certo in Italia gli inglesi godevano di uno status superiore, frequentavano i migliori ambienti, si favoleggiava sulle loro grandi ricchezza e si potevano permettere non solo una attività politica che non avrebbero potuto svolgere in patria ma anche il tenere una condotta scandalosa senza doverne pagare le conseguenze. Per loro l’Italia era un campo giochi dove nulla era proibito e tutto poteva essere comprato impunemente, situazione che continuò fino agli anni venti del novecento quando gli inglesi e tedeschi che frequentavano la penisola per il loro turismo sessuale cominciarono ad essere espulsi con regolarità. La causa della disaffezione di Mary Shelley per Napoli fu, per l’appunto, uno scandalo. Una coppia di domestici italiani, da poco sposati e da loro licenziati aveva accusato gli Shelley di avere registrata come figlia di Shelley e di una donna italiana, una fantomatica Marina Padurin, una bambina nata a Napoli, che morì da lì a poco. I due sostenevano che la piccola fosse invece figlia di Claire e non è neppure escluso che la bimba fosse figlia della domestica e dello stesso Shelley. Comunque fosse gli Shelley abbandonarono la bambina presso una famiglia e se ne disinteressarono. Questo riconoscimento da parte di Shelley poteva significare due cose: o regolarizzare la nascita della bambina se fosse stata figlia di Claire che non era sposata ma che era una sorta di seconda moglie per Shelley, oppure, se fosse stata figlia della domestica, di appropriarsene escludendo la madre naturale per fare superare a Mary le sue crisi di depressione dovute alle morti dei figli, all’uso del laudano e forse anche alla dieta strettamente vegetariana.
Un poeta muore
Il tempo terreno di Shelley stava per finire, nell’aprile del 1822 Shelley, Mary, Claire e i Williams si trasferirono a San Terenzo, nella villa Magni. La villa Magni non era grande, c’erano quattro piccole stanze e un salone d’ingresso ed era stata costruita nel XVI secolo come parte del convento dei barnabiti prima di passare di mano diverse volte. Anche l’arredamento era scarso e sembra che i molti visitatori si dovessero accontentare spesso di pagliericci gettati per terra per dormire.L’arrivo degli inglesi suscitò scalpore nel piccolo borgo marinaro, giravano nudi tra gli scogli e sulla terrazza, mangiavano solo pane, frutta e verdura e abbondavano con il laudano. Stentavano a trovare del personale di servizio tra gli abitanti del borgo scandalizzati dalla evidenza della loro promiscuità, dall’andirivieni di amici chiassosi e dal loro essere, per la chiesa cattolica, eretici. Mary non si trovava bene nella villa che era troppo piccola per la loro famiglia allargata e troppo isolata e poi arrivò la notizia tragica della morte della figlia di Claire e di Byron, Allegra, morta forse di febbre tifoide, in un convento di Cappuccine nella remota Bagnacavallo dove Byron aveva deciso che dovesse essere educata contro il parere di Claire che l’anno prima gli aveva scritto che la condizione nei conventi italiani era nociva alla salute e che l’educazione offerta era responsabile dello stato di ignoranza e promiscuità delle donne italiane, tutte educate nei conventi. “Sono cattive mogli e le più snaturate delle madri, immorali e ignoranti esse sono il disonore e la sventura della società…questo passo ti procurerà una innumerevole aggiunta di nemici e vergogna”. Veramente strano leggere di una presunta immoralità delle donne italiane da Claire visto la vita che conduceva ma l’accenno ad essere cattive mogli e madri potrebbe far pensare alla domestica di Napoli e avvalorare il sospetto che fosse lei la vera madre della bambina. Ma è veramente desolante il giudizio di Mary su San Terenzo: “Non ci sono parole che valgano a dirvi come odiassi quella casa e il paese che la sovrastava…Shelley me ne faceva rimprovero. La salute di lui era buona e il posto era proprio di sua soddisfazione, che potevo rispondere? Che la gente era selvaggia e antipatica; che, nonostante la bellezza del sito, avrei desiderato un posto più campestre e che la vita era molto difficile; che tutti i nostri servitori toscani volevano lasciarci e che il dialetto di questi genovesi era sgradevole. Questo era tutto quello che potevo dire; ma non ho parole per descrivervi quel che provassi: la bellezza di quei boschi mi metteva voglia di piangere e mi faceva rabbrividire così forte era il senso di disgusto che mi vinceva che solevo quando il vento e le onde mi permettevano di uscire in barca, sicché non fossi costretta a fare la mia solita passeggiata in mezzo ai sentieri ombreggiati dagli alberi sui quali si arrampicavano le viti: cose che un tempo mi erano carissime e che ora mi opprimevano. I miei pochi momenti di pace erano quelli che passavo sul malaugurato battello, quando sdraiata, con la testa sui ginocchi di lui, chiudevo le palpebre e sentivo soltanto il soffio del vento e il nostro soave andare”.Perdoniamo Mary per queste parole ingiuste, distrutta dai lutti, sfibrata dalle gravidanze a soli 25 anni presentiva la tragedia che le sarebbe occorsa tra poco e che avrebbe fatto finire in cenere l’eden neopagano in cui viveva. Mary, che era nuovamente incinta ebbe un aborto spontaneo e fu salvata a stento da Shelley che la immerse in una vasca d’acqua e ghiaccio per fermare l’emorragia prima dell’intervento di un medico. Le aveva salvata la vita ma anche in quei frangenti Shelley componeva poesie dedicate a Jane Williams e passava più tempo con lei che con Mary o Claire. Non sono chiari i motivi per la decisione di Shelley di trasferirsi a San Terenzo. L’area del golfo risentiva ancora degli effetti negativi dell’inverno del 1817/1818 che il rapporto ufficiale stilato dal futuro fondatore dell’ama dei Bersaglieri, La Marmora, indicò come un momento di gravi carestie alimentari e epidemie. L’annessione della Liguria al Regno di Sardegna dopo l’epoca napoleonica aveva anche significato per il golfo un nascente interesse esclusivamente di natura militare. Nel maggio del 22 Re Vittorio Emanuele I, l’ultimo del ramo principale dei Savoia, visitò il golfo e La Spezia a bordo della sua nave “Maria Teresa” venendo salutato da salve di cannone del forte di Santa Maria che era stato restaurato dopo le distruzioni belliche. La strada per Genova sarebbe stata completata solo l’anno seguente e quindi la maniera migliore per muoversi nell’ambito del golfo o di raggiungerlo era per mare. Tutti i borghi del golfo soffrivano di una povertà diffusa ed erano scarsamente abitati. Forse era quello che aveva attirato Shelley, l’idea di un luogo isolato dove costruire il suo eden neopagano, dove vivere indisturbati, nudi, spensierati, dediti alla poesia, alla pesca, alla promiscuità senza dover rendere conto a nessuno, lontano dagli sguardi di disapprovazione non tanto degli italiani di cui non si curavano ma degli altri inglesi del Gran Tour che si potevano incontrare a Firenze, Roma, Venezia o Napoli. San Terenzo era isolata e selvaggia, il luogo perfetto per condurre una vita trasgressiva. Shelley aveva una barca, uno shooner di dieci metri, il Don Juan ribattezzato Ariel, progettata da due amici di Byron, il capitano Daniel Roberts e Edward Trelawny di cui abbiamo già parlato e costruita a Genova, barca che poi venne considerata difettosa sia come progetto che come esecuzione. Sembra che Mary, quando la vide, ne ebbe paura come per una premonizione. L’Ariel in realtà non si capovolse, come un difetto di costruzione avrebbe potuto giustificare ma affondò e questo si ritiene fosse dovuto non a difetti ma alla tempesta estiva che si stava addensando tra Livorno e il golfo di La Spezia proprio mentre Shelley aveva deciso imprudentemente di partire. L’atmosfera di villa Magni sembrava diventare di giorno in giorno più cupa, i racconti di fantasmi e l’uso di droghe procuravano allucinazioni agli Shelley e ai loro ospiti e Shelley a metà giugno scrisse a Trelawny chiedendogli che gli procurasse del veleno, acido prussico. “È inutile vi dica che presentemente non ho nessuna idea di uccidermi ma confesso che sarebbe per me un conforto avere tra le mani l’aurea chiave che dischiude la stanza dell’eterno riposo”. Shelley raccontò di come fosse visitato dal suo stesso fantasma che gli chiedeva se fosse soddisfatto di sé stesso. Incubi notturni e allucinazioni diurne si stavano intensificando. Il primo luglio1822, a un mese dal suo trentesimo compleanno, Shelley con l’amico Edward Williams e uno dei progettisti della barca, il capitano Roberts, salparono da San Terenzo verso Livorno per incontrarsi con Byron circa il progetto per una nuova rivista politica. Si fermarono a lungo e ripartirono l’otto luglio per rientrare a San Terenzo accompagnati da un marinaio inglese, Charles Vivien. Quando arrivò a villa Magni una lettera indirizzata a Shelley in cui gli si chiedeva se fosse rientrato bene a causa del brutto tempo alla partenza Mary e Jane Williams partirono subito recandosi a Livorno e poi a Pisa in cerca dei loro mariti. Solo dieci giorni dopo il naufragio le spoglie dei tre naufragi furono ritrovate sulla spiaggia di Viareggio. Nonostante le leggende romantiche quello che successe poi fu orribile. Il corpo del marinaio Vivien venne subito bruciato senza tanti complimenti, non faceva parte della classe privilegiata di Williams e Shelley. Il cadavere di Shelley era stato rinvenuto in una località imprecisata tra Viareggio e Massa e quello di Williams a Bocca di Serchio. Tutti e due furono sepolti nella sabbia e coperti di calce viva in attesa di sapere cosa farne. Un fitto carteggio tra l’ambasciata inglese di Firenze e il Granducato di Toscana avrebbe voluto ottenere l’inumazione dei due inglesi nel cimitero acattolico di Firenze ma motivi di ordine sanitario imposero la loro cremazione. La cremazione era proibita e sanzionata all’epoca in quanto la distruzione del cadavere non era ammessa dalla dottrina cattolica anche se avveniva clandestinamente anche nel vicino Lazzaretto del Varignano dove era in funzione un forno crematorio che veniva pudicamente indicato come servire all’incenerimento delle masserizie degli ammalati. Nel calore dell’estate i corpi erano putrefatti e Mary chiese a Byron di fornire degli oli aromatici e incenso per dare una atmosfera eroica alla cremazione che doveva ricordare quella degli eroi della Grecia classica ma che indubbiamente servirono a rendere meno disgustosa l’operazione. Fu cremato dapprima Williams e Byron, sconvolto dalla vista del cadavere sfatto dell’amico mentre ne ardeva la pira fece un bagno in mare nuotando vigorosamente come per allontanarsi da quel luogo di morte. Sembra che ci fosse una piccola folla elegante ad assistere al rogo. Poi andarono a cercare Shelley e trovato il luogo della sua sepoltura che era piantonato da delle guardie come già quello di Williams, lo disseppellirono. Anche il suo corpo era in condizioni orribili e la putrefazione e la calce viva gli avevano fatto assumere un colore turchino e lo avevano quasi del tutto scarnificato. La leggenda vuole che il cuore di Shelley non bruciasse e che fosse stato recuperato e chiuso in una scatola da Trelawny mentre Byron si allontanava ritornando a bordo della sua barca con la quale il gruppetto degli inglesi aveva raggiunto prima Bocca di Serchio e poi il luogo della sepoltura di Shelley. È più probabile che il cuore fosse stato asportato prima della cremazione e che poi venisse recapitato a Mary, un macabro feticcio da portare con sé mentre il corpo, o perlomeno quello che ne rimaneva, finirono nel cimitero per non cattolici di Roma vicino a quello di uno dei suoi figli. Alla morte di Mary fu ritrovata una busta di seta contenente delle ceneri, non si sa se del cuore o se fossero solo parte delle ceneri di Shelley. Non fu comunque mai trovato un cofanetto con il cuore ma Trelawny, come abbiamo già detto, era un poderoso millantatore.Trelawny, anche lui responsabile per la progettazione della barca di Shelley immediatamente dopo la cremazione propose di sposare Claire Clairmont che però, dopo la morte di Allegra, sembrava aver perso interesse negli uomini e che scrisse a Mary: “Trelawny ama una vita torbida e complicata e io invece la desidero quieta”. Claire successivamente finì in diversi luoghi in Europa e in Russia come istitutrice o dama di compagnia, sembra che non avesse avuto o cercato altre avventure romantiche e finì la sua vita a Firenze, convertita al cattolicesimo. Esistono diverse versioni sulla morte di Shelley: una romantica che lo vorrebbe affetto da manie suicide, cosa che non spiegherebbe l’affondamento della barca. Un’altra farebbe riferimento alla sua scarsa capacità come marinaio ma con lui c’era un marinaio esperto, Vivien e addirittura un ufficiale della marina militare britannica, Williams. La barca fu rinvenuta con la scialuppa di salvataggio a bordo ma con una fiancata sfondata. Qualcuno parlò di uno speronamento da parte di agenti segreti britannici per via della attività politica di Shelley, altri di una vendetta dei suoi creditori rimasti in Inghilterra a bocca asciutta e si parlò perfino di pirateria con una supposta confessione di un pescatore locale che si dice confessasse di avere speronato l’Ariel per derubarne i passeggeri. Tutte ipotesi fantasiose, durante la tempesta nessuno, siano stati agenti segreti di Londra, sicari dei debitori o pescatori dediti alla pirateria avrebbero aggredito la nave. La fiancata non aveva semplicemente retto all’urto del mare.
Ritorno a casa
Mary, devastata dalla morte di Shelley e dai troppi lutti nella sua vita tornò in Inghilterra dopo un soggiorno di un anno a Genova con il solo scopo di accudire al figlio superstite. Per tutta la vita si sostenne con la sua attività di scrittrice e con una piccola rendita da parte della famiglia di Shelley. Mantenne una vivace vita sociale e rimase molto vicina a Jane Williams che nel frattempo viveva con Hoggs. Sembra che ne fosse perfino innamorata ma Jane non si dimostrò generosa nei suoi confronti in quanto amava far circolare la voce che Shelley fosse più innamorato di lei che di Mary. Mary continuò ad avere relazioni, soprattutto con scrittori ma anche con due amiche lesbiche che riuscì con uno stratagemma a fare partire per la Francia come se fossero una coppia sposata, ebbe anche un breve rapporto con il solito Trelawny che però aveva cercato solo di ottenere aiuto per un suo libro su Shelley, al rifiuto di Mary Trelawny la piantò in asso. Mary non ebbe solo avventure d’amore, subì anche almeno tre ricatti, certe lettere sue e di Shelley o una biografia del marito che conteneva materiale compromettente la esposero ai ricatti di tre farabutti, frutto di una vita trasgressiva in una società bacchettona come quella inglese della prima metà dell’ottocento. Alla fine Mary Shelley morì a 53 anni, una età abbastanza avanzata per l’epoca in cui aveva vissuto, le sue vicissitudini e le molte gravidanze. Il suo corpo fu trasferito più volte e alla fine fu ricongiunto con le ceneri del marito e di una delle sue figlie insieme al padre e alla madre di Mary.
Andrea Marrone
Andrea Marrone ha lavorato per 20 anni in Asia accumulando una grqande esperienza di interazione con popoli diversi.Durante il suo lavoro ha approfondito le culture locali e ha continuato a studiare storia. Ha pubblicato diversi romanzi e saggi storici e collabora con Focus Storia. Ha ricvevuto diversi premi letterari tra cui il premio "Nassiriya" ed è stato presidente di giuria del premio "Giovane Holden"
E’ concesso l’utilizzo di  testi e immagini ai soli fini di studio citando sia l’Autore che il Blog di Sala Culturale CarGià come fonte insieme al relativo link © Sala Culturale CarGià http://salacargia.blogspot.it
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