Sezione - GEMELLAGGIO ARTISTICO SAN TERENZO E FILATTIERA
MARCO BRANDO
Sala Culturale CarGià
Gemellaggio Artistico San Terenzo Filattiera 2018 - VIII Ed.
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Vorrei
parlare della famiglia in modo diverso, mettendo da parte, senza
offesa, le mamme e osservando il ruolo del papà. Ho un alibi: sono
il babbo per la prima volta di un bimbo, Pietro, che ha due anni e
mezzo. Quindi sto rimuginando molto su questo fronte. Sarà che sono
diventato padre da uomo maturo (nel senso dell’età), però -
complice qualche fisima carrieristica ormai accantonata senza
rimpianti - farlo ed esserlo mi diverte e mi gratifica molto, senza
temere di dover rinunciare al mio ruolo sociale o professionale.
Certo,
so - anche per la mia esperienza di figlio - che il ruolo del papà
non è mai stato facile: si rischia sempre di apparire troppo
assenti, eccessivamente presenti, esageratamente duri oppure morbidi
più del necessario. Sforzarsi di essere un papà all’altezza del
compito appare quindi una scommessa nei confronti di se stessi e
verso i propri figli. Proprio loro sono destinati a giudicare un
impegno che pochi adulti ritengono di sapere affrontare in modo
giusto, rispettoso ed efficace.
Eppure
questo è un settore in cui da sempre la giusta retorica sulla madre
trionfa (certo, le donne scontano ben altre millenarie
discriminazioni). Persino nella Storia dell’arte - visto che qui
parliamo anche di arte - la rappresentazione della paternità è
quasi assente, a parte le tantissime opere occidentali dedicate
alla Sacra Famiglia; e San Giuseppe - padre eroico nella sua
consapevolezza di essere stato marginale - appare soltanto per fare
da spettatore al miracolo in cui la “prima donna” è la Madonna
col Bambino.
Dunque,
nonostante alcune rarissime eccezioni, nella cultura e nell’arte
del nostro Occidente di matrice cristiana, la mamma si impone come la
protagonista pressoché unica, mentre il padre sembra essere sempre
ai margini. Nel cammino artistico, dalle origini, forse si
differenziano solo la statua marmorea del greco Lisippo (IV secolo
aC, raffigura Sileno mentre culla il piccolo Dioniso guardandolo con
grande dolcezza), e, molto dopo, alcuni dipinti di Guido Reni
(1575-1642), che valorizzò il rapporto affettivo reciproco tra padre
e figlio (accade per esempio nel famoso quadro San Giuseppe e il
Bambino Gesù).
Fino
al XIX secolo la figura paterna è quasi sempre autorevolmente
pietrificata dagli artisti al centro della famiglia: padre/giudice,
padre/guerriero, padre/maestro, padre/autorità. Nel Novecento le
cose non cambiano granché, tanto che Giorgio De Chirico (1888-1978)
raffigura ll figliol prodigo quasi arlecchinesco, abbracciato da un
padre che sembra scolpito nel gesso. Tra gli artisti del XXI secolo
le cose vanno appena un po’ meglio.
Intanto
però la concezione e la pratica della maternità sono molto cambiati
nel senso comune della gente. Nell’arco di pochi decenni - dalla
nascita del femminismo e soprattutto da dopo il ‘68 - il
padre-padrone è diventato spesso un “mammo” e a volte anche un
debole; talvolta così debole e pure immaturo da trasformarsi in
carnefice, come testimoniano tanti femminicidi.
A
me questa fragilità, spesso celata sotto un’armatura, fa venire in
mentre il terzo eroe, dopo Achille e Ulisse, della saga omerica,
Ettore. Un eroe... modernamente paterno. Lo psicanalista Luigi Zoia,
nel suo libro “Il gesto di Ettore" (Boringhieri), lo descrive
come l'eroe più intimo e modesto, privo dell’arroganza tipica di
Achille e Ulisse.
Il
troiano Ettore combatte non tanto per la gloria quanto per difendere
la sua gente dall'assedio e dal massacro voluti dai greci. Ettore, un
umano, sa che affrontando Achille, un semidio, morirà; ma non si
ritira, nonostante le preghiere delle troiane e della stessa moglie
Andromaca.
Quest’ultima,
tenendolo per mano poco prima del duello finale, gli dice: “Non hai
pietà del piccolo ancora in fasce, né di me, che sarò vedova tra
poco, quando gli achei, tutti insieme, ti assaliranno [...] Ettore tu
sei per me sposo e insieme padre, madre, fratello. Non fare un figlio
orfano, me vedova”. Lui replica:
“So
tutto questo. Ma avrei troppa vergogna dei troiani e delle troiane se
non fossi in battaglia. Da sempre ho imparato a essere forte.”
Racconta
Omero - e ricorda Zoia- che Ettore, una volta dette queste parole,
tende le braccia verso il figlio, ma il piccolo si spaventa perché
il padre ha l'armatura e l'elmo sovrastato da un'imponente chioma. A
questo punto madre e padre sorridono. Ettore si sfila l'elmo, lo pone
a terra e può abbracciare il figlio [...] poi, formulando un augurio
per il futuro, lo alza in alto con le braccia e con il pensiero.
Zoia
sostiene che questo gesto sarà per tutti i tempi il marchio del
padre. Non solo. Ettore compie una rivoluzione culturale quando prega
per il bambino, sfidando le leggi del racconto epico: “Zeus e voi
altri dei, rendete forte questo mio figlio. E che un giorno,
vedendolo tornare dal campo di battaglia, qualcuno dica: è molto più
forte del padre".
Ettore
dunque spezza la tradizione classica e anche moderna, quella che
vorrebbe imporre il padre in competizione con il figlio, egocentrico,
troppo intimorito dagli altri, figli inclusi. Un genitore che di
certo ama, però speso soltanto in base alla regola che lo vuole in
ogni caso capobranco.
Eppure
Ettore prega gli dei perché gli concedano il contrario: chiede che
suo figlio diventi più forte di lui. Anche oggi - tremila anni dopo
Omero e quasi quattromila dopo la guerra di Troia - non è facile
immaginare un padre altrettanto generoso. Eppure è il papà che
tutti - io compreso - vorremmo essere.
Marco Brando
E’
concesso l’utilizzo di testi e immagini ai soli fini di studio
citando sia l’Autore che il Blog di Sala Culturale CarGià come
fonte insieme al relativo link ©
Sala Culturale CarGià http://salacargia.blogspot.it
– Ringrazio
sentitamente Ezia Di Capua
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