sabato 8 settembre 2018

ATTI DEL GEMELLAGGIO ARTISTICO STRETTO TRA SAN TERENZO E FILATTIERA: SULLA FAMIGLIA IN CERCA DEL PADRE - Relatore Marco Brando, giornalista scrittore

Sala Culturale CarGià - Promozione Artistica 2018
Sezione - GEMELLAGGIO ARTISTICO SAN TERENZO E FILATTIERA



MARCO BRANDO
Sala Culturale CarGià 
Gemellaggio Artistico San Terenzo Filattiera 2018 - VIII Ed.
Vorrei parlare della famiglia in modo diverso, mettendo da parte, senza offesa, le mamme e osservando il ruolo del papà. Ho un alibi: sono il babbo per la prima volta di un bimbo, Pietro, che ha due anni e mezzo. Quindi sto rimuginando molto su questo fronte. Sarà che sono diventato padre da uomo maturo (nel senso dell’età), però - complice qualche fisima carrieristica ormai accantonata senza rimpianti - farlo ed esserlo mi diverte e mi gratifica molto, senza temere di dover rinunciare al mio ruolo sociale o professionale.
Certo, so - anche per la mia esperienza di figlio - che il ruolo del papà non è mai stato facile: si rischia sempre di apparire troppo assenti, eccessivamente presenti, esageratamente duri oppure morbidi più del necessario. Sforzarsi di essere un papà all’altezza del compito appare quindi una scommessa nei confronti di se stessi e verso i propri figli. Proprio loro sono destinati a giudicare un impegno che pochi adulti ritengono di sapere affrontare in modo giusto, rispettoso ed efficace.
Eppure questo è un settore in cui da sempre la giusta retorica sulla madre trionfa (certo, le donne scontano ben altre millenarie discriminazioni). Persino nella Storia dell’arte - visto che qui parliamo anche di arte - la rappresentazione della paternità è quasi assente, a parte  le tantissime opere occidentali dedicate alla Sacra Famiglia; e San Giuseppe - padre eroico nella sua consapevolezza di essere stato marginale - appare soltanto per fare da spettatore al miracolo in cui la “prima donna” è la Madonna col Bambino.
Dunque, nonostante alcune rarissime eccezioni, nella cultura e nell’arte del nostro Occidente di matrice cristiana, la mamma si impone come la protagonista pressoché unica, mentre il padre sembra essere sempre ai margini. Nel cammino artistico, dalle origini, forse si differenziano solo la statua marmorea del greco Lisippo (IV secolo aC, raffigura Sileno mentre culla il piccolo Dioniso guardandolo con grande dolcezza), e, molto dopo, alcuni dipinti di Guido Reni (1575-1642), che valorizzò il rapporto affettivo reciproco tra padre e figlio (accade per esempio nel famoso quadro San Giuseppe e il Bambino Gesù).
Fino al XIX secolo la figura paterna è quasi sempre autorevolmente pietrificata dagli artisti al centro della famiglia: padre/giudice, padre/guerriero, padre/maestro, padre/autorità. Nel Novecento le cose non cambiano granché, tanto che Giorgio De Chirico (1888-1978) raffigura ll figliol prodigo quasi arlecchinesco, abbracciato da un padre che sembra scolpito nel gesso. Tra gli artisti del XXI secolo le cose vanno appena un po’ meglio.
Intanto però la concezione e la pratica della maternità sono molto cambiati nel senso comune della gente. Nell’arco di pochi decenni - dalla nascita del femminismo e soprattutto da dopo il ‘68 - il padre-padrone è diventato spesso un “mammo” e a volte anche un debole; talvolta così debole e pure immaturo da trasformarsi in carnefice, come testimoniano tanti femminicidi. 
A me questa fragilità, spesso celata sotto un’armatura, fa venire in mentre il terzo eroe, dopo Achille e Ulisse, della saga omerica, Ettore. Un eroe... modernamente paterno. Lo psicanalista Luigi Zoia, nel suo libro “Il gesto di Ettore" (Boringhieri), lo descrive come l'eroe più intimo e modesto, privo dell’arroganza tipica di Achille e Ulisse. 
Il troiano Ettore combatte non tanto per la gloria quanto per difendere la sua gente dall'assedio e dal massacro voluti dai greci. Ettore, un umano, sa che affrontando Achille, un semidio, morirà; ma non si ritira, nonostante le preghiere delle troiane e della stessa moglie Andromaca. 
Quest’ultima, tenendolo per mano poco prima del duello finale, gli dice: “Non hai pietà del piccolo ancora in fasce, né di me, che sarò vedova tra poco, quando gli achei, tutti insieme, ti assaliranno [...] Ettore tu sei per me sposo e insieme padre, madre, fratello. Non fare un figlio orfano, me vedova”. Lui replica: 
So tutto questo. Ma avrei troppa vergogna dei troiani e delle troiane se non fossi in battaglia. Da sempre ho imparato a essere forte.” 
Racconta Omero - e ricorda Zoia- che Ettore, una volta dette queste parole, tende le braccia verso il figlio, ma il piccolo si spaventa perché il padre ha l'armatura e l'elmo sovrastato da un'imponente chioma. A questo punto madre e padre sorridono. Ettore si sfila l'elmo, lo pone a terra e può abbracciare il figlio [...] poi, formulando un augurio per il futuro, lo alza in alto con le braccia e con il pensiero. 
Zoia sostiene che questo gesto sarà per tutti i tempi il marchio del padre. Non solo. Ettore compie una rivoluzione culturale quando prega per il bambino, sfidando le leggi del racconto epico: “Zeus e voi altri dei, rendete forte questo mio figlio. E che un giorno, vedendolo tornare dal campo di battaglia, qualcuno dica: è molto più forte del padre".
Ettore dunque spezza la tradizione classica e anche moderna, quella che vorrebbe imporre il padre in competizione con il figlio, egocentrico, troppo intimorito dagli altri, figli inclusi. Un genitore che di certo ama, però speso soltanto in base alla regola che lo vuole in ogni caso capobranco. 
Eppure Ettore prega gli dei perché gli concedano il contrario: chiede che suo figlio diventi più forte di lui. Anche oggi - tremila anni dopo Omero e quasi quattromila dopo la guerra di Troia - non è facile immaginare un padre altrettanto generoso. Eppure è il papà che tutti - io compreso - vorremmo essere.


Marco Brando

E’ concesso l’utilizzo di testi e immagini ai soli fini di studio citando sia l’Autore che il Blog di Sala Culturale CarGià come fonte insieme al relativo link © Sala Culturale CarGià http://salacargia.blogspot.itRingrazio sentitamente Ezia Di Capua
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