Sala Culturale CarGià - Promozione Artistica 2016
Sezione - CORO LIRICO LA SPEZIA
martedì 22 novembre 2016
mercoledì 16 novembre 2016
LA NAZIONE: CORO LIRICO LA SPEZIA - SOLIDARIETA' - "CAVALLERIA RUSTICANA" PRO TERREMOTATI
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Sezione - CORO LIRICO LA SPEZIA
Ringrazio sentitamente la Redazione de La Nazione
anche a nome di tutto l'organico del Coro Lirico La Spezia
e di tutto il prezioso Cast
Ezia Di Capua
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LA NAZIONE SABATO 12 NOVEMBRE 2016 |
Si invitano gli appassionati del bel canto e dell’opera, desiderosi di far parte del Coro Lirico La Spezia, a contattare il seguente numero: 3474211455
TELE LIGURIA SUD - TLS
INTERVISTA :
IL SOPRANO CRISTINA
MARTUFI PROMUOVE CAVALLERIA RUSTICANA
clicca sul link
per leggere
Ezia Di Capua - Curatore dell'Associazione Coro Lirico la Spezia
lunedì 7 novembre 2016
IL CORO LIRICO LA SPEZIA RINGRAZIA QUANTI HANNO DONATO IL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’ NELLA RACCOLTA FONDI PER LE POPOLAZIONI COLPITE DAL TERREMOTO.
Sala Culturale CarGià - Promozione Arte e Cultura 2016
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CORO LIRICO LA SPEZIA"Cavalleria Rusticana" -Teatro Palmaria - La Spezia foto di Marco Mosti
COMUNICATO STAMPA a cura di Ezia Di Capua
L’Associazione Coro Lirico La Spezia, nell’esprimere profonda solidarietà alla popolazione del centro Italia colpita dal terremoto, si è attivamente mobilitata nella raccolta fondi a sostegno delle iniziative di aiuto, mettendo in scena sabato 1 ottobre, al Teatro Palmaria della Spezia l’Opera “Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni.
L’opera che ha avuto ampio successo di pubblico e di critica, è stata momento di alta cultura ed espressione di grande solidarietà, durante la quale ciascuno ha potuto offrire il suo contributo a poco più di un mese dal drammatico sisma del 24 agosto che ha provocato ingenti perdite di vite umane e la distruzione di intere frazioni e borghi.
L’iniziativa di solidarietà, con il benestare e i complimenti delle istituzioni, è stata promossa e voluta fortemente dal Presidente Kentaro Kitaya, da alcuni membri del direttivo e da tutto l’organico dell’Associazione Coro Lirico la Spezia, che si è distinta in città per essere stata tra le prime associazioni ad impegnarsi attivamente e concretamente nel nostro territorio a sostegno delle popolazioni colpite dal sisma
Si rende noto che i fondi raccolti a supporto della fase di ricostruzione ed emergenza, è stato inviato all’ANCI sede Centrale Roma.
Con questo comunicato, l’Associazione Coro Lirico La Spezia, ringrazia vivamente quanti hanno dato voce all’evento pubblicato già a partire dal 12 settembre dal il Blog di Sala Culturale CarGià, trasmesso e pubblicato nel sito del Comune della Spezia e nei quotidiani on line. Si ringraziano vivamente la Direzione dell’emittente televisiva Teleliguriasud e le Redazioni dei quotidiani La Nazione e Il Secolo XIX.
Un grazie davvero grandissimo al folto pubblico che ha applaudito la rappresentazione dell’Opera “Cavalleria Rusticana” e ha colto favorevolmente l’iniziativa benefica donando con slancio e con cuore il contributo di solidarietà.
Si ricorda agli appassionati del bel canto e dell’opera, desiderosi di far parte del Coro Lirico La Spezia, che possono contattare il seguente numero: 3474211455
Immagini e info nel Blog di Sala CarGià, contenitore, archivio e testimonianza storica dell’arte e della cultura in transito nel Golfo dei Poeti: http://salacargia.blogspot.it.
L’uomo è dove è il suo cuore, non dove è il suo corpo.
(Mahatma Gandhi)
Ezia Di Capua – Curatore dell’Associazione Coro Lirico La Spezia
COMUNICATO STAMPA PUBBLICATO NEI QUOTIDIANI ON LINE
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CRONACA4
APPROFONDIMENTO: TERREMOTO 25.440 ASSISTITI
I numeri crescono ancora e si allarga la conta dei danni, dei Comuni colpiti e delle persone assistite dopo l'ultima scossa del 30 ottobre nelle Marche. Ad oggi, fa sapere la Protezione civile, sono 25.440 i cittadini assistiti, e 123 i Comuni coinvolti dal sisma: 54 nel Maceratese, 27 nel Fermano, 28 nel Piceno e 14 nell'Anconetano.
253 le zone rosse delimitate perché a rischio crolli. Le sedi municipali inagibili sono in totale 50: 24 nella provincia di Macerata, 6 in quella di Fermo, 19 in quella di Ascoli Piceno, 1 in provincia di Ancona. Dopo i controlli effettuati nelle ultime ore salgono a 49 le scuole inagibili: 25 nella provincia di Macerata, 3 in quella di Fermo, 15 in quella di Ascoli e 6 ad Ancona. Cresce anche il numero delle attività produttive inagibili: sono salite a 598 di cui 512 nel Maceratese, 17 nel Fermano, 65 nel Piceno e 4 nell'anconetano. 208 infine le stalle inagibili: 169 nella provincia di Macerata.
CAVALLERIA RUSTICANA ARTICOLI CORRELATI clicca sui link per leggere
INTERVISTA :
IL SOPRANO CRISTINA MARTUFI PROMUOVE CAVALLERIA RUSTICANA
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http://salacargia.blogspot.it/2016/09/sala-cargia-vi-invita-allopera.html
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mercoledì 2 novembre 2016
RICORDANDO WALTER COGGIO E I “COLORI DELLA MEMORIA” Lo racconta il Professor Giuseppe Benelli
Sala Culturale CarGià - Promozione Artistica 2016
Sezione - Recensioni
Sezione - Recensioni
1 Ottobre 2016. E' morto all'età di 81 anni Walter Coggio,
pittore spezzino. Un passato da attore in gioventù, inizia la sua carriera
artistica sviluppando un percorso originale di ricerca creativa, che nasce
dall'istintiva confidenza con la china, il carboncino, il colore. Espone
inizialmente sul territorio di origine, ma ben presto si afferma in importanti
iniziative nazionali, con incursioni anche all'estero. Dal 1965 partecipa ad
eventi di primo piano, abbinando sempre la ricerca dell'approfondimento
culturale ai dibattiti, alle esposizioni, agli incontri con grandi nomi
dell'arte, con oltre 50 mostre personali in Italia e in Europa. Importantissimo
per lui l'incontro col maestro Armando Pizzinato, grazie al quale ha
approfondito la sua formazione anche a livello di linguaggio e di tecnica. Fra
le frequentazioni artistiche, quella con il regista Mario Soldati, con il quale
ha avuto anche un rapporto personale di amicizia, il poeta Paolo Bertolani, e
molti altri. Ha vissuto a lungo a Lerici, sue opere figurano oggi in
prestigiose collezioni internazionali, private, e nelle raccolte di arte
contemporanea di istituzioni pubbliche e private. Se ne va un uomo colto, un
personaggio della storia del nostro territorio, padre di Sondra, giornalista
del Secolo XIX.
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Opera di WALTER COGGIO |
Nel cuore
della Spezia, nel silenzio appartato del suo studio, lontano dal chiasso e
dall’effimero delle mode, Walter Coggio ha dedicato per tanti anni il suo tempo
ad inseguire un sogno di bellezza. L’incontro con il bello non è stato altro
per lui che la forma più concreta e profonda di conoscenza, una forma immediata
che avviene per esperienza diretta e sta all’origine della sua ricerca
artistica. A chi gli ha obiettato che la bellezza è un’illusione che allontana
dalla realtà, Coggio ha risposto che da tanto tempo ha accettato la sfida di
rappresentare la realtà “de-formandola” per coglierne l’essenza.
Spinto da una forte necessità interiore, la pittura gli è necessaria come il mangiare, il parlare, lo stare in silenzio... Il suo modo di concepire l’arte è legato alla capacità di comunicare emozioni che nascono dai ricordi (cor- cordis, “cuore”): un paesaggio marino, un incontro, una conversazione che suscita interesse, la visione di una donna, il ricordo di una sera... Un’opera esprime qualcosa quando la sua contemplazione evoca, attraverso associazioni, una serie di simboli che le danno un senso. Nella pittura di Coggio ogni immagine porta con sé una carica emotiva legata all’esperienza fisica più che logica, al senso più che al significato.
Il Novecento, il cosiddetto “secolo breve”, è un secolo “diabolico” (dia-ballein) che getta “scompiglio e disordine”, come la musica dodecafonica di Schoenberg. In ambito musicale, infatti, si realizza la più imponente rottura formale col passato. Ma anche l’arte pittorica sente la necessità di un superamento dei parametri dell’estetica tradizionale. La scomposizione delle immagini è identificata come l’azione liberatrice dell’io compositivo che necessita di allontanarsi dai fantasmi della riproduzione realistica, dalla resa prospettica e dalla spazialità volumetrica. Il lavoro iconico del pittore volta le spalle ai parametri tradizionali per sottrarsi volontariamente alle lusinghe del “figuralismo”. Wassily Kandinsky, nel libro Lo spirituale nell’arte, tenta di costruire una teoria dell’armonia in pittura, analizzando l’effetto che i colori esercitano sullo spettatore. “La nostra armonia è formata da una lotta dei toni, dall’equilibrio perduto, dal venir meno dei principi, da inattesi rulli di tamburo, da grandi interrogativi, da aspirazioni apparentemente incoerenti, catene e legami spezzati, contrasti e contraddizioni”.
Questa condizione si riflette nell’arte, che ricerca la realtà autentica attraverso la dissoluzione della figura. Nei quadri di Walter Coggio i soggetti sono scomposti, la loro identità è riflessa, spezzata, non appartiene alla figura rappresentata, ma a chi la guarda e la ricostruisce. Il cuore dell’arte non è negli oggetti, ma è nel nostro sguardo, nel nostro modo di percepirli. Gli oggetti servono a costringerci a rientrare in noi e a cogliere in noi quelle infinite possibilità che sono latenti, ma che l’arte ha il compito di risvegliare. Dinanzi alle sue tele, abbiamo la sensazione di entrare nei continenti del sogno e si spalancano le porte della percezione. Si succedono effluvi gassosi, reperti, strumenti musicali, figure femminili. Tessere di un linguaggio artistico che lo hanno affascinato e che lo guidano nei sentieri di un viaggio che si rinnova ogni giorno con stupore.
Nei suoi quadri non vi è mai assenza di disciplina: ogni pennellata è governata da una grande e sperimentata perizia tecnica. Salvatore Dalì nel Diario di un genio invita i pittori a dipingere come gli antichi: “poi fate come volete - sarete sempre rispettati”. Perché solo dentro la prigione del rigore i sogni acquistano consistenza e, dopo aver conosciuto le norme del mestiere, l’artista può deformare le figure e alterare le fisionomie. Dal dialogo armonico tra l’equilibrio del mestiere e il disequilibrio dell’invenzione nasce l’opera d’arte.
Coggio nel suo lungo itinerario artistico ha sperimentato il linguaggio della grande tradizione pittorica, che presenta infinite difficoltà e si fonda sulla severa disciplina. Le sue ricerche hanno abbracciato i periodi più rilevanti nel mondo dell’arte: rimane affascinato particolarmente dall’opera di Masaccio, Michelangelo, Caravaggio, Rembrant, Goya, Velasquez che divengono i suoi miti. La sua produzione è passata attraverso la ritrattistica e la rappresentazione religiosa. Opera importante nel campo degli affreschi è la commissione di interventi nella Chiesa di San Francesco, Piano di Conca, a Massarosa.
Sempre più si fa consapevole nella mente di Coggio del potere dell’immagine nella nostra civiltà. È l’immagine colorata che diventa superiore ad ogni parola, ad ogni suono, ad ogni ascolto, ad ogni silenzio. Ludwig Wittgenstein scrive: “Se ci domandano il significato delle parole rosso, blu, nero, bianco, noi possiamo mostrare immediatamente alcune cose che hanno quei colori. Ma ci è impossibile spiegare il significato di quelle parole”. Il colore è uno degli aspetti più misteriosi della nostra realtà. Le api sono eccitate da certi colori, gli uccelli notturni conoscono tutte le sfumature del grigio, il cane ha i suoi colori, l’uomo ne ha altri.
Lo studio di Cezanne gli apre i confini dell’arte contemporanea ed in particolare della filosofia cubista. L’approfondimento dell’opera di Picasso e Braque, e quindi Leger, Kandinsky, Klee lo conduce all’esperienza post-cubistica e, soprattutto, a Bacon che tanto inciderà nella sua formazione culturale. Dagli anni Settanta frequenta uno dei grandi maestri dell’arte contemporanea Armando Pizzinato, la cui conoscenza incide profondamente nella sua formazione anche a livello di tecnica. Coggio inizia a dipingere le idee e gli stati d’animo che rivivono nella forza dei colori. Natura come nudi, paesaggi, fiori: ecco i soggetti del pittore spezzino, quando lascia qualsiasi riferimento descrittivo e fa sì che il colore si stratifichi e crei un’architettura organica e anche inorganica. Talvolta le stesse figure sembrano paesaggi che si mischiano e si confondono con la terra. Così non si arriva mai a capire dove cominciano le une e dove finiscono gli altri. Proprio agli anni Settanta Coggio fa risalire la prima stagione felice della sua tavolozza, considerando semplici esercitazioni i lavori precedenti. Per anni, infatti, s’era guardato intorno con un’attenzione da uomo e artista straordinario: delicatissimo come i suoi nudi, le sue figure sacre, i suoi ritratti che esprimono l’incanto della pittura della giovinezza.
Ponendo al centro una sua concezione del vedere, Coggio presenta una costellazione di temi e prospettive che sviluppano una ricerca compiuta e originale. La sua pittura si illumina di una luce del tutto inedita, mentre l’estetica si trasforma in una vera e propria “logica della sensazione”. La sua opera risulta così contraddistinta da valenze simboliche del tutto personali, ricche di allusioni musicali e paesaggistiche, ed è sostenuta da un’eccezionale perizia esecutiva e da una profonda partecipazione emotiva. Coggio esprime il sentimento interiore dell’esistere, individuale e intimo, che lo spinge a un’espressione forte e intensa, che rappresenta il tratto specifico dell’uomo moderno. La sua interpretazione, carica del sentimento della vita, risulta molto più vera di qualsiasi rappresentazione realistica e tocca in profondità la sensibilità più intima dell’osservatore.
Coggio capta i sussurri, gli echi, i mormorii del paesaggio. Con insistenza si libera da qualsiasi retorica e fa trionfare la bellezza delle cose. Scandagliando il paesaggio, Coggio ne aumenta la tensione: attrae e affascina. La “Chiesa della Salute” nella luminosità adriatica è intrisa di dorature veneziane. Da qui una sorta di pittura solidificata, stratificata (spesso l’accumulo della materia nasce dai ripensamenti: il colore si secca e l’artista, non potendo raschiarlo, vi dipinge sopra), i cui paesaggi - per lo più marini - diventano promemoria di qualcosa che sembra risalire all’infanzia e che è rimasto sospeso nell’aria, in attesa di essere soddisfatto. “Voglia di mare” si lega al ricordo di Lerici col suo castello d’impronta pisana a guardia del golfo e le intense luminosità che salgono dal porto con le sue imbarcazioni. La foce della Magra, materna e fluviale, cola colori e frescura nell’abbraccio silenzioso del mare. Paesaggi e figure restano sempre i grandi temi della sua poetica, ma, caso straordinario, nel rapporto fra luce e materia, ci si accorge che la luce viene proprio dall’interno della materia stessa, sottoposta a varie metamorfosi. Ogni pennellata deriva dall’osservazione nella quale Coggio trova una grande carica energetica che si manifesta in macchie di colore. Così la sua pittura acquista una solarità classica e piena che si apre ai grandi orizzonti di ascolto e armonia.
Certamente, quando Coggio dice che l’arte deve suscitare emozioni, riconosce già che la pittura non ha il compito di imitare o peggio ancora duplicare la realtà. L’arte, al di là di qualsiasi dubbio, risale verso qualcosa che è più originario rispetto alla realtà. Questo qualche cosa di più originario fa riferimento alla capacità di gettare luce su quella realtà che ci passa davanti agli occhi, che è opaca, che in fondo non sappiamo vedere, alla quale siamo abituati, e che l’arte ci invita a guardare altrimenti. La radice dell’emozione artistica è proprio là dove noi improvvisamente guardiamo le cose, come prima non le guardavamo e come se le vedessimo per la prima volta. Per questo il cuore dell’arte non è negli oggetti, ma nel nostro modo di percepirli. Gli oggetti servono a costringerci a cogliere in noi quelle infinite possibilità che sono latenti.
Così Walter Coggio riporta la tecnica verso la sua lontana origine poetica, per andare incontro a quel mondo in cui ha sempre continuato a immergersi per catturare il flusso della vita. Quando l’attenzione del suo sguardo si trasforma in una attenzione del pensiero, lo scopo dell’arte si realizza. La bellezza in questo modo ci spinge a spalancare stupiti i sensi per accogliere ciò che è “nuovo”: e nuovo non è ciò che la moda ha decretato, nuovo è ciò che, senza tradire la bellezza passata, sa mostrare ora e qui un pezzo di mondo sotto una luce più intensa. Solo in quella luce vitale ciò che sembra ovvio smette di esserlo: la pellicola abitudinaria o falsamente artistica stesa sulla realtà si rompe e l’immagine vive la sua vera vita.
Spinto da una forte necessità interiore, la pittura gli è necessaria come il mangiare, il parlare, lo stare in silenzio... Il suo modo di concepire l’arte è legato alla capacità di comunicare emozioni che nascono dai ricordi (cor- cordis, “cuore”): un paesaggio marino, un incontro, una conversazione che suscita interesse, la visione di una donna, il ricordo di una sera... Un’opera esprime qualcosa quando la sua contemplazione evoca, attraverso associazioni, una serie di simboli che le danno un senso. Nella pittura di Coggio ogni immagine porta con sé una carica emotiva legata all’esperienza fisica più che logica, al senso più che al significato.
Il Novecento, il cosiddetto “secolo breve”, è un secolo “diabolico” (dia-ballein) che getta “scompiglio e disordine”, come la musica dodecafonica di Schoenberg. In ambito musicale, infatti, si realizza la più imponente rottura formale col passato. Ma anche l’arte pittorica sente la necessità di un superamento dei parametri dell’estetica tradizionale. La scomposizione delle immagini è identificata come l’azione liberatrice dell’io compositivo che necessita di allontanarsi dai fantasmi della riproduzione realistica, dalla resa prospettica e dalla spazialità volumetrica. Il lavoro iconico del pittore volta le spalle ai parametri tradizionali per sottrarsi volontariamente alle lusinghe del “figuralismo”. Wassily Kandinsky, nel libro Lo spirituale nell’arte, tenta di costruire una teoria dell’armonia in pittura, analizzando l’effetto che i colori esercitano sullo spettatore. “La nostra armonia è formata da una lotta dei toni, dall’equilibrio perduto, dal venir meno dei principi, da inattesi rulli di tamburo, da grandi interrogativi, da aspirazioni apparentemente incoerenti, catene e legami spezzati, contrasti e contraddizioni”.
Questa condizione si riflette nell’arte, che ricerca la realtà autentica attraverso la dissoluzione della figura. Nei quadri di Walter Coggio i soggetti sono scomposti, la loro identità è riflessa, spezzata, non appartiene alla figura rappresentata, ma a chi la guarda e la ricostruisce. Il cuore dell’arte non è negli oggetti, ma è nel nostro sguardo, nel nostro modo di percepirli. Gli oggetti servono a costringerci a rientrare in noi e a cogliere in noi quelle infinite possibilità che sono latenti, ma che l’arte ha il compito di risvegliare. Dinanzi alle sue tele, abbiamo la sensazione di entrare nei continenti del sogno e si spalancano le porte della percezione. Si succedono effluvi gassosi, reperti, strumenti musicali, figure femminili. Tessere di un linguaggio artistico che lo hanno affascinato e che lo guidano nei sentieri di un viaggio che si rinnova ogni giorno con stupore.
Nei suoi quadri non vi è mai assenza di disciplina: ogni pennellata è governata da una grande e sperimentata perizia tecnica. Salvatore Dalì nel Diario di un genio invita i pittori a dipingere come gli antichi: “poi fate come volete - sarete sempre rispettati”. Perché solo dentro la prigione del rigore i sogni acquistano consistenza e, dopo aver conosciuto le norme del mestiere, l’artista può deformare le figure e alterare le fisionomie. Dal dialogo armonico tra l’equilibrio del mestiere e il disequilibrio dell’invenzione nasce l’opera d’arte.
Coggio nel suo lungo itinerario artistico ha sperimentato il linguaggio della grande tradizione pittorica, che presenta infinite difficoltà e si fonda sulla severa disciplina. Le sue ricerche hanno abbracciato i periodi più rilevanti nel mondo dell’arte: rimane affascinato particolarmente dall’opera di Masaccio, Michelangelo, Caravaggio, Rembrant, Goya, Velasquez che divengono i suoi miti. La sua produzione è passata attraverso la ritrattistica e la rappresentazione religiosa. Opera importante nel campo degli affreschi è la commissione di interventi nella Chiesa di San Francesco, Piano di Conca, a Massarosa.
Sempre più si fa consapevole nella mente di Coggio del potere dell’immagine nella nostra civiltà. È l’immagine colorata che diventa superiore ad ogni parola, ad ogni suono, ad ogni ascolto, ad ogni silenzio. Ludwig Wittgenstein scrive: “Se ci domandano il significato delle parole rosso, blu, nero, bianco, noi possiamo mostrare immediatamente alcune cose che hanno quei colori. Ma ci è impossibile spiegare il significato di quelle parole”. Il colore è uno degli aspetti più misteriosi della nostra realtà. Le api sono eccitate da certi colori, gli uccelli notturni conoscono tutte le sfumature del grigio, il cane ha i suoi colori, l’uomo ne ha altri.
Lo studio di Cezanne gli apre i confini dell’arte contemporanea ed in particolare della filosofia cubista. L’approfondimento dell’opera di Picasso e Braque, e quindi Leger, Kandinsky, Klee lo conduce all’esperienza post-cubistica e, soprattutto, a Bacon che tanto inciderà nella sua formazione culturale. Dagli anni Settanta frequenta uno dei grandi maestri dell’arte contemporanea Armando Pizzinato, la cui conoscenza incide profondamente nella sua formazione anche a livello di tecnica. Coggio inizia a dipingere le idee e gli stati d’animo che rivivono nella forza dei colori. Natura come nudi, paesaggi, fiori: ecco i soggetti del pittore spezzino, quando lascia qualsiasi riferimento descrittivo e fa sì che il colore si stratifichi e crei un’architettura organica e anche inorganica. Talvolta le stesse figure sembrano paesaggi che si mischiano e si confondono con la terra. Così non si arriva mai a capire dove cominciano le une e dove finiscono gli altri. Proprio agli anni Settanta Coggio fa risalire la prima stagione felice della sua tavolozza, considerando semplici esercitazioni i lavori precedenti. Per anni, infatti, s’era guardato intorno con un’attenzione da uomo e artista straordinario: delicatissimo come i suoi nudi, le sue figure sacre, i suoi ritratti che esprimono l’incanto della pittura della giovinezza.
Ponendo al centro una sua concezione del vedere, Coggio presenta una costellazione di temi e prospettive che sviluppano una ricerca compiuta e originale. La sua pittura si illumina di una luce del tutto inedita, mentre l’estetica si trasforma in una vera e propria “logica della sensazione”. La sua opera risulta così contraddistinta da valenze simboliche del tutto personali, ricche di allusioni musicali e paesaggistiche, ed è sostenuta da un’eccezionale perizia esecutiva e da una profonda partecipazione emotiva. Coggio esprime il sentimento interiore dell’esistere, individuale e intimo, che lo spinge a un’espressione forte e intensa, che rappresenta il tratto specifico dell’uomo moderno. La sua interpretazione, carica del sentimento della vita, risulta molto più vera di qualsiasi rappresentazione realistica e tocca in profondità la sensibilità più intima dell’osservatore.
Coggio capta i sussurri, gli echi, i mormorii del paesaggio. Con insistenza si libera da qualsiasi retorica e fa trionfare la bellezza delle cose. Scandagliando il paesaggio, Coggio ne aumenta la tensione: attrae e affascina. La “Chiesa della Salute” nella luminosità adriatica è intrisa di dorature veneziane. Da qui una sorta di pittura solidificata, stratificata (spesso l’accumulo della materia nasce dai ripensamenti: il colore si secca e l’artista, non potendo raschiarlo, vi dipinge sopra), i cui paesaggi - per lo più marini - diventano promemoria di qualcosa che sembra risalire all’infanzia e che è rimasto sospeso nell’aria, in attesa di essere soddisfatto. “Voglia di mare” si lega al ricordo di Lerici col suo castello d’impronta pisana a guardia del golfo e le intense luminosità che salgono dal porto con le sue imbarcazioni. La foce della Magra, materna e fluviale, cola colori e frescura nell’abbraccio silenzioso del mare. Paesaggi e figure restano sempre i grandi temi della sua poetica, ma, caso straordinario, nel rapporto fra luce e materia, ci si accorge che la luce viene proprio dall’interno della materia stessa, sottoposta a varie metamorfosi. Ogni pennellata deriva dall’osservazione nella quale Coggio trova una grande carica energetica che si manifesta in macchie di colore. Così la sua pittura acquista una solarità classica e piena che si apre ai grandi orizzonti di ascolto e armonia.
Certamente, quando Coggio dice che l’arte deve suscitare emozioni, riconosce già che la pittura non ha il compito di imitare o peggio ancora duplicare la realtà. L’arte, al di là di qualsiasi dubbio, risale verso qualcosa che è più originario rispetto alla realtà. Questo qualche cosa di più originario fa riferimento alla capacità di gettare luce su quella realtà che ci passa davanti agli occhi, che è opaca, che in fondo non sappiamo vedere, alla quale siamo abituati, e che l’arte ci invita a guardare altrimenti. La radice dell’emozione artistica è proprio là dove noi improvvisamente guardiamo le cose, come prima non le guardavamo e come se le vedessimo per la prima volta. Per questo il cuore dell’arte non è negli oggetti, ma nel nostro modo di percepirli. Gli oggetti servono a costringerci a cogliere in noi quelle infinite possibilità che sono latenti.
Così Walter Coggio riporta la tecnica verso la sua lontana origine poetica, per andare incontro a quel mondo in cui ha sempre continuato a immergersi per catturare il flusso della vita. Quando l’attenzione del suo sguardo si trasforma in una attenzione del pensiero, lo scopo dell’arte si realizza. La bellezza in questo modo ci spinge a spalancare stupiti i sensi per accogliere ciò che è “nuovo”: e nuovo non è ciò che la moda ha decretato, nuovo è ciò che, senza tradire la bellezza passata, sa mostrare ora e qui un pezzo di mondo sotto una luce più intensa. Solo in quella luce vitale ciò che sembra ovvio smette di esserlo: la pellicola abitudinaria o falsamente artistica stesa sulla realtà si rompe e l’immagine vive la sua vera vita.
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