Per quel che traggo di emozioni dalla pittrice, presente lo scorso anno in Calandriniana per la seconda volta, mi sento avvolto da una dialettica cromatica, da una scansione estetica che mi allontana dalla natura per immettermi nel “nido psicologico ed emotivo” della medesima pittrice, che vorrei innalzare nella luce dell’arte, avendo come personale ambizione lo svelamento solare della concezione del mondo che le sta attorno. Non dovrei, ma lo ripeto: qui, in via Trogu 54 converge Lerici e il Territorio, Lerici e San Terenzo, e Proloco di San Terenzo, come dire che qui natura e cultura sono inscindibile binomio di creatività, proiezione turistica, lieto connubio tra talento umano e rigogliosa natura, Golfo degli dèi e dei poeti. E proprio qui, approdano i dipinti di Chiara, alcuni certamente della sua produzione, che attende il prodigio. Tengo a precisare che i dipinti di Chiara che ora osserviamo in Sala CarGià, sono stati già sotto lo sguardo dei visitatori de “La Galleria dell’Immagine” di Clara Eny Mazzini, a Sarzana, Piazza Matteotti 45. La pittrice Borsi è nel pieno della maturità, con residenza sarzanese, diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara, ha partecipato a collettive e a rassegne d’arte, come ad esempio prima e seconda edizione di “Cittadella in Arte Fiera”. Collabora con la Galleria d’Arte di Milano e con quella di Piacenza. Le sue lezioni di possono seguire nella “Scuola dell’Immagine”.
Sono 25 i dipinti in questa sala.
Chiara è una ritrattista speciale, attenta al mondo interiore, psicologico e tormentato, poi vengono i momenti di visione della natura circostante in cui le vedute sono immelanconite, come se l’artista osservasse cose dietro a vetri, senza immersione nella natura; qua e là ancora qualche nudo femminile, poi paesaggi, “nature silenziose”, e quindi l’ultimo suo dipinto “Silenzio”.
Silenzio, appunto. Per dire che la visione estetica che si innerva alle sue giornate non è data in pasto all’apparenza, non è spettacolo ma necessita di una riflessione pacata e dolce, che persino ha paura di troppa luce.
I ritratti.
Quando sono a figura intera (raramente), ma più spesso i ritratti di Chiara hanno a posa se stessa o persone del suo mondo, e quindi l’indicazione diretta è verso lo studio approfondito di sé, dell’anima, della interiorità, sia che parli di sé sia che osservi e ritragga Stefania o Silvia. Raramente impiega colori carnei (carnali), aderendo a una fisicità di reale vicinanza; si volge invece all’aulico color celeste o blu e al gioco di ombre e luci come per esprimere una vocazione elitaria alla vita inimitabile – perché appunto è vita aristocratica, vissuta con interiore tormento. I profili chiariscono il punto di osservazione della pittrice, che ha presente il modello classico della figura facciale – lo si direbbe probabilmente greco.
I paesaggi.
Non sono molti, ma in queste prove si accende il colore di Chiara, diventa solare e ritrae con più consapevole sicurezza, sia quando osserva il lineare edificio di San Francesco o Nostalgie “via San Francesco” sia quando indugia sulle acque del Canale o del Pontile di Fiumaretta. L’artista si concede più libertà di visione, è idilliaca, raccoglie in maniera più comunicativa le impressioni suggerite dalla natura e dal suo gioco. Credo poi si possa associare alla visione dei paesaggi anche certi interni del suo ambiente intimo: ad esempio “Arco sul mare”, “Memorie…”, “Le mie scale”, “Salendo al mio studio”. Si è in presenza di un qualcosa maggiormente sfumato ma che conserva il lievito della visione, riscattata dall’immobilità o percezione a freddo. Qui io ritrovo la “poesia visiva” di Chiara, il momento vero della intuizione artistica. E invito a osservare il dipinto “Come nelle favole”.
“Nature”.
Ci restano da vedere pochi dipinti ancora, che sono nel traslato le “nature morte”, cioè le cose parlanti di Chiara: “Davanti al camino”, “A mia madre” e “Metafisica”. Si tratta di rappresentazione (grafica) di interni della casa. Consideriamo il linguaggio pittorico ed estetico di Chiara Borsi: le campiture sono tracciate con gusto e leggerezza cromatica nel lieto intreccio della luce e dell’ombra, lo spazio diventa essenziale perché colma di sé i singoli oggetti - in questo caso le pareti e le anfore – e infine il delicato ocra che trasmette agli ambienti il calore della vicinanza. Auguro a Chiara Borsi: che questo calore della vicinanza attenui il tormento della sua pittura fino a farlo scomparire.
Prof. Giuseppe Luigi Coluccia
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