“...La bellezza appare in
controluce, dice Giulio Paolini,
le
attribuiamo i lineamenti che i nostri occhi sono stati
educati
a vedere “dal vero”, ma che di fatto non
le ap-
partengono.
E quindi non basta a configurarla, a darle
un
volto...”(La Repubblica ,
16 luglio 2012, p. 47)
“La voce del vento”.
Titolo
che si era dato Antonella Boracchia al Parco Shelley il 1° agosto 2012, a un suo dipinto. Ora
siamo a
presentare la sua mostra, che ha per titolo Il mistero della luce e
dell'ombra. Premetto anzitutto alcune notizie biografiche, prima del grande
evento in Sala Cargià, diretto e organizzato da Ezia Di Capua. Lo interesse
alla pittura per Antonella inizia che lei è una quindicenne, nella esposizione
collettiva del 1975 presso la galleria dell'Olmo. Si diploma all'Accademia di
Bellle Arti a Carrara nel 1978. Segue il corso di Buscioni come allieva, e
prende lezione di grafica, di calcografia e stampa d'arte presso gli artisti
Franco Musante e Francesco Vaccarone,
nel 1984. Seguono le mostre: Vezzano 1984, Calandriniana di Dagna 1984, una
collettiva 1984, “Il Cantico dei Cantici” 1985; e di nuovo Calandriniana per
stampa e incisione, 1985, 1986. Altra sua mostra a Portovenere 1986, anno in
cui a far parte del “Segno grafico ligure”, e ottiene l'insegnamento di educazione
artistica alle Medie e alle Superiori. Si iscrive ai corsi di scultura 1989-
“Il
mistero” di Antonella Boracchia.
Lo
scorso anno ho presentato la pittrice in questa Sala Cargià, e ricordo che
allora la mostra aveva tre termini: “memoria-tempo-trascendenza”. Anche ora
siamo in presenza della pittrice, la quale propone ai dipinti realizzati già
qualche opera nuova, e il tutto compreso nel titolo nuovo e provocatorio: Il
mistero della luce e dell'ombra. E' in questa mostra l'evento che ci
avvolge: siamo di fronte a un'artista che parte dal reale – dalla natura – per
poi addentrarsi in una specie di “spiritualità”, che la purifica dalla natura
immediata per farla passare all'invisibile, all'eterno. C'è in fondo alle
emozioni di Antonella una visione “teologica” in senso orizzontale. Non
compaiono gli dèi né il dio cristiano, nella pittura, ma una mescolanza di
visione e di reale, di naturale. Il mistero di Boracchia rimanda alla
concezione dell'arte, che gioca il suo ruolo attorno agli effetti di luce e
d'ombra, cuore della sua pittura e della pittura in genere.
Il
mistero di Antonella è di tipo cromatico come in Vasilij Kandiskij, il quale
esordisce nel 1912 con la teoria Lo sprituale nell'arte. A considerare i
dipinti di oggi e quelli di una volta siamo obbligati a seguire il suo
sviluppo, nel senso che Boracchia si aggira nell'astratto, per cui le forme –
dove sono presenti – agiscono come complemento cromatico. Forse è qui l'elemento
di prova, di Boracchia. La natura, il reale, interessano di meno rispetto agli
effetti cromatici in cui sta il gioco di luce e d'ombra di ogni dipinto. I
poeti, per dire di loro, si servono della parola caricandola di allegorie –
perchè anche la poesia procede per
sintesi e astrazione. Parlavamo di Dante lo scorso anno, e ritorniamo
all'accostamento del poeta alla visione dell'artista Boracchia. Il mistero fa
da sfondo alle rispettive immagini della storia e della metastoria; è vero che
Dante è teologo medievale, e Antonella è “terrena e terricola”, ma qui
interessa il messaggio visivo nella pittrice, turbato e scomodante nel poeta
della Commedia.
Uscendo
all'aria aperta, fuori metafora, siamo obbligati a seguire i fenomeni di
astrazione di Antonella, come fosse prigioniera del giorno e della notte –
turbata anche lei del confine terreno ma disponibile all'incanto
dell'invisibile che è davanti, inarrivabile, e pure presente e operativo.
Sala CarGia’ 2 luglio 2013
Prof. G.L.Coluccia
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