" Un ricordo del Piave", racconto scritto
da Franco Ortis descrive un’esperienza
realmente vissuta all’ospedale di La
Spezia nell’ottobre del 1984.
Il racconto è stato letto all’epoca, dal prof F. Ortis ai suoi
alunni del Liceo Scientifico Pacinotti di La Spezia che commossi hanno dedicato alla lettura disegni molto belli, quello pubblicato è
stato scelto tra i più significativi.
Il racconto non è stato mai pubblicato .
Sono lieta di renderlo pubblico nel Blog di Sala CarGià
proprio a novembre, mese dedicato a tutte le persone che non sono più con noi.
Ezia Di Capua
Un ricordo del Piave
Entrammo quasi in punta di piedi,
quella sera , io e mia moglie , nel reparto ortopedico dell’Ospedale.
Grafica dedicata al racconto - 1984 |
Erano le 21 passate da poco.
Una sottilissima pioggerella, ma forse
una leggera nebbiolina, non riusciva a infastidire il nostro procedere e poi
rinfrescava l’aria: si stava bene.
Era un sera molto quieta, la luna era
nascosta dietro le nubi e solo ogni tanto faceva capolino senza per’altro
riuscire a illuminare la città avvolta nel silenzio.
Su per i viali dell’Ospedale, sale i
ticchettio dei nostri passi registrava il suo rumore. Le luci che qua e là
trapelavano dalle finestre dei padiglioni creava ombre spettrali rese ancor più
vive dallo stormire delle fronde alitate dalla leggera brezza notturna.
Un odore di stantie solleticò le mie
nari, un infermiere ci salutò gentilmente sparendo dietro una porta sulla quale
si leggeva ‘’ Privato ‘’ .
La stanza dove giaceva mio suocero,
degente per frattura femorale, era appena rischiarata da un fioca luce.
Il respiro affannoso di un malato mi
rabbrividì, pareva aleggiare tra le pareti il commento misterioso della morte.
Salutai tutti con un rapido giro del
capo.
Il rantolo che avevo sentito era del
signore vicino al letto di mio suocero.
Un infermiere era intento a dargli
l’ossigeno, vicino a lui la figlia piangeva mentre il marito si prodigava per
portare un po’ di conforto al vecchio suocero ammalato.
TINA ! sentii urlare ad un tratto da
una voce stentorea alle mie spalle. Mi volta.
Uno degli ammalati sembrava essere
andato fuori di senno.
Mi avvicinai al suo capezzale e
l’ammalate, un vecchio cui si era rotto il femore, fu lieto di vedermi.
Gli presi subito la mano.
Povero vecchio; tutto solo nel suo
intimo, in quella desolante stanza di ospedale, chiamava a perdifiato la sua
Tina che da anni, a quanto avevo saputo da partenti di altri ammalati , non lo
sentiva più: era morta di mal sottile.
Stia calmo, gli dissi, non si agiti,
vedrà che domani starà meglio.
Cercai di farlo sorridere con una
battuta e continuai:
‘’ il sole entrerà nella stanza e lei
si sentirà un altro, un baldo cavaliere sul suo bianco destriero alla ricerca
della sua Tina che ora non può venire da lei ’’.
Tina, mormoravano le sue secche labbra
che inumidii con un po’ d’acqua.
Lui mi guarda con occhi buoni mi
strinse la mano che io avevo fra le mie e sentii tra le gote un bruciore caldo
di una lacrima.
Si lasciò andare ai ricordi…
‘’ Lei è buono, sa: mi tiene la mano e io veramente mi sento sollevato nel cuore ‘’.
‘’ Lei è buono, sa: mi tiene la mano e io veramente mi sento sollevato nel cuore ‘’.
Ansimava un po’ nel parlare ma era
lieto di poter dire qualche parola.
‘’ è mai stato sul Piave? ‘’
No, gli risposi, so che deve essere
tremendamente bello ’
‘’ è bello, certo come tutta la natura
è bella; il mio ricordo va’ lontano, nel tempo, ai miei 20 anni ‘’.
‘’ L’annoio forse, me lo dica; non
parlo mai con nessuno e vorrei tanto qui la mia Tina ‘’ .
‘’ L’ascolto volentieri, mi dica tutto
ciò che vuole, ma cerchi di non affaticarsi ‘’.
‘’ Avevo 20 anni ed ero al servizio
della patria che ci aveva chiamati in armi ‘’.
Mi sembrò di vederlo, alto bello e fiero in
quella sua divisa di fante in quelle eroiche giornate della grande guerra.
‘’ Fu una giornata campale ‘’ ,
continuò, ‘’ lei non può nemmeno immaginarsela ‘’
Il cielo era rosso color sangue, il
cannone tuonava in continuazione, e tutto intorno era il nostro sangue immolato
per la nostra bella Italia.
Parlava bene e io in silenzio lo
ascoltavo, avvinto da quel suo semplice racconto, colmo di future speranze,
vive nella sua memoria.
‘’ Un fumo nero giungeva da più parti
mentre le pallottole dei ta-pum, fischiavano la loro canzone mortale.
Le ombre dei nostri corpi di vivi e dei
loro di morti, erano forme, accucciate fra le erbe della riva e si allungavano
sulle acque del fiume che implacabile scorreva verso valle rumoreggiando fra le
pietre con la sua voce ribelle.
A me intorno era il silenzio di morte
rotto dal rantolo dei feriti e dalle preghiere del cappellano.
Ad un tratto sentii una mano che
cercava la mia e io l’afferrai.
Non mi ero accorto di quel soldato
ferito che era ferito vicino a me e ora lui cercava il mio aiuto, il sollievo
di un contatto umano.
Strinsi quella mano ormai esangue che
anelava alle mie e infusi silente coraggio in quel ragazzo della mia stessa età
proprio come ora lei fa’ con me.’’
Si voltò dall’altra parte tentò di
urlare ancora una volta il nome di sua moglie Tina, ma la sua voce sembrava
rantolare.
Nessuno , nella stanza fece caso a lui.
‘’ Come si chiama, mi chiese ’’. Franco
risposi.
‘’ Franco, soffro tanto e non ce la
faccio più , sono stanco mio giovane amico ‘’.
Cercai di confortarlo e risento la mia
voce, suadente, non so’ fino a che punto che gli diceva come domani sarebbe
stata veramente una giornata stupenda, e come la sua Tina sarebbe venuta a
trovarlo e a farlo contento.
Nel dirgli queste, ricordo di aver
cercato una luce fuori dalla finestra, nel buio di quella triste serata
d’autunno e di aver abbandonato per un attimo il suo bel viso.
Non mi rispose e quando nuovamente lo
guardai, vidi che mi fissava intensamente con gli occhi sbarrati e incantati
come quelli di un bambino felice.
Povero vecchio, un tempo soldatino del
Piave e capii.
Abbandonai la sua mano che nascosi
sotto il lenzuolo con il quale lentamente gli coprii il viso.
Nessuno si era accorto di nulla.
Avvisai l’infermiera, mi avvicinai alla
finestra e guardai oltre i vetri.
La luna era tornata a sorridere
all’innamorati in tutto il suo splendore sapevo che due anime belle giocavano
ora con lei lungo li stellati sentieri dell’infinito.
Franco Ortis
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