L’indimenticabile Pietro
Mennea (1952-2013) è una vera e propria leggenda dell’atletica mondiale, al di
là del suo mancato ingresso (un’ingiustizia macroscopica) nella “Hall of Fame”.
Per noi ne fa parte e la sua stella è molto luminosa.
La sua prematura scomparsa
il 21 marzo scorso, all’età di sessant’anni, mi ha spinto a suggerire il titolo
di questa conferenza “Menna nella storia”, sostando sul suo profilo di uomo e
di atleta e sugli innumerevoli successi che ho sintetizzato nel mio settimo
video, comprendente filmati ed immagini che in gran parte conosciamo e che
ritengo trasmettano tanta commozione. Mennea è stato un atleta che ha iniziato
a correre da ragazzo con un fisico per niente esaltante. Un uomo che ha
manifestato ininterrottamente una straordinaria forza di volontà. Per motivi
anagrafici quella di Mennea è una storia che mi appartiene.
Pietro Mennea |
“Se n'è voluto andare in punta di piedi - ha
dichiarato Stefano Mei - come nel suo carattere di uomo riservato che alcuni
scambiavano per scontrosità. In verità lasciava parlare la pista. É stato il
più grande, non ho dubbi”. Non si può non dargli ragione.
Mi piace richiamare
brevemente alcuni tratti della personalità di Mennea, primatista mondiale,
campione olimpico, primatista europeo, finalista in quattro Olimpiadi, più
volte campione italiano e, ovviamente, primatista italiano sui 100 e 200 metri . In varie
occasioni non trascurava di ricordare l sua provenienza, sottolineando il senso
di appartenenza alla sua Barletta, che definiva “terra amara” e “luogo della
memoria e della mia anima”.
Quanto ho sinteticamente
richiamato segnala la straordinaria carriera sportiva di atleta vincente, ma
anche malinconico, solitario se non introverso. Una persona molto critica ed
esigente anche verso se stesso. Sara Simeoni ha ben riassunto la sua
personalità affermando che egli “era in lotta continua con la vita per dimostrare
non solo il suo valore, ma che ogni traguardo non era impossibile”.
Mennea non mostrava
titubanze nel rimarcare ingratitudine da parte dell’establishment a capo del
mondo dello sport italiano, con il quale ebbe scontri piuttosto forti.
Altrettanto nette sono state le sue denunce contro il doping e quanto ne
consegue.
Il medagliere di Mennea è stato d’oro fin
dall’inizio della sua carriera agonistica con la medaglia del metallo più
prezioso conquistata nei 200
metri ai Giochi del Mediterraneo del 1971. Da quel
giorno si contano tantissimi trionfi.
Il bronzo alle Olimpiadi di Monaco del 1972, le due
medaglie d’oro ai Campionati europei di Roma del 1974, 200 metri e staffetta
4×100. Il bis sul gradino più alto del podio, questa volta in due gare individuali,
avviene ai Campionati europei di Praga del 1978, 100 e 200 metri . Fu anche un
ottimo quattrocentista. Vinse nel 1978 i 400 metri ai Campionati
Europei indoor a Milano e fu in buona parte merito suo la vittoria della staffetta 4x400 agli Europei Praga,
dove nella finale venne cronometrato in 44”2. C’è solo una parola. Strepitoso!
Poi nel 1979 a Città del Messico il record del mondo
con quel 19’’72 che resterà per sempre impresso nella nostra memoria e che
resisterà per diciassette anni. Inoltre, la medaglia più ambita per qualunque
atleta al mondo, la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca nel 1980.
Nonostante questa mole di successi subì anche delle
incomprensioni. ed ha davvero dell’assurdo, quanto accadde successivamente al duplice
trionfo ai Campionati europei di Praga del 1978.
Senza alcuna reticenza Mennea racconta:
”Dopo quelle dieci fatiche (Bolt a Pechino
fece 9 gare) in sei giorni, per potermi riposare e puntare a risultati
cronometrici importanti, chiesi di non partecipare alla successiva tournée in
Oriente. Più che un valore agonistico, questa iniziativa perseguiva le mire
elettorali di Nebiolo, ormai lanciato verso la conquista della poltrona di
presidente della Federazione mondiale di atletica leggera. Come risposta mi fu
negato il permesso a gareggiare e soprattutto di potermi allenare in Italia.
Decisi comunque di non partire e per tale ragione, con provvedimento federale
di sospensione, mi fu impedito di proseguire la stagione agonistica e ricevetti
un’ammonizione con diffida […] Questo fu il premio per le mie dieci fatiche di
Praga”.
Non meno edificante è sapere che il suo allenatore
Carlo Vittori nel 1976 si pagò il viaggio per raggiungere Mennea alle Olimpiadi
di Montreal.
Così fu tormentata la vigilia del record del mondo,
ricostruita attraverso la testimonianza di Gianni Minà:
“Quella sera d'agosto del 1979 eravamo insieme in pizzeria» scrive Minà
«e Mennea, per via di un aspro conflitto con la Federazione di
atletica, aveva praticamente rinunciato a correre alle Universiadi » in programma
un paio di settimane dopo. Il presidente della Fidal di allora, Primo Nebiolo,
che aveva trasformato l'atletica in uno degli spettacoli più ambiti del circo
delle discipline sportive al servizio della televisione, voleva far correre il
nostro velocista più in gamba a destra e a manca, trasformarlo in uno spot
itinerante, infischiandosene dei giusti ritmi della preparazione e
dell'allenamento. Ma alla fine di quella cena in pizzeria, Mennea decise di
partire per Città del Messico. Dove «arrivò» in 19 secondi e 72 centesimi”.
Nella sua vita il campione barlettano amava
dichiarare :”Non è tanto importante il risultato sportivo, almeno non quanto il
risultato umano. Ciò che conta davvero non è vincere nello sport, ma vincere
nella vita”. E nella sua vita oltre agli innumerevoli e prestigiosi successi
agonistici, Mennea ha collezionato quattro lauree; ha svolto con successo la
professione legale; è stato docente, parlamentare europeo e, non è poco, vantava il
titolo di Grande Ufficiale al merito della Repubblica. La benemerenza gli venne
consegnata dal presidente Sandro Pertini dopo il successo alle Olimpiadi di
Mosca, dove a suo dire “visse le 48 ore della mia vita di cui vado più
orgoglioso”. Nel 1985 Pertini lo invitò a colazione al Quirinale. Il presidente
lo stimava tantissimo e per Mennea fu una gratificazione di notevole
significato umano quando gli disse che “sarebbe un delitto se uno come lei non
lavorasse più nel mondo dello sport”. Eppure, nel 1994, la sua candidatura alla
guida della Fidal venne ignorata.
Pietro Mennea |
Nei giorni successivi alla sua scomparsa è stato
scritto che “la sua vita, seppur brevissima, è stata una vita che lo ha visto
spesso vincere. Pietro Paolo Mennea, soprannominato “Freccia del Sud” è stato
un uomo che ha contrastato il sistema; un’atleta
a tutto tondo; certamente il più grande
atleta dello sport italiano. In California incontrò Muhammad Ali-Cassius Clay,
che gli venne presentato come l’uomo più veloce del mondo. Ricorda Mennea che
il pugile lo squadrò sorpreso: “Ma tu sei bianco”. Sì, ma sono nero dentro, gli
risposi”.
Subito dopo la sua scomparsa è stato pubblicato il
libro autobiografico “La corsa non finisce mai” , scritto da Mennea con la
collaborazione di Daniele Menarini. Vi si trovano imprese ed aneddoti, alcuni
sconcertanti, con una dichiarazione finale sui prestigiosi risultati ottenuti
durante la sua lunga storia agonistica. “Per ottenere tutto questo – sono
parole di Pietro Mennea - ho vissuto
5482 giorni praticamente come un frate trappista. Mi sono allenato a Natale e a
Capodanno, a Pasqua, seguendo tabelle stilate con cura e magari aumentando i
carichi previsti in esse, se mi accorgevo di non risentirne. Ho passato giorni
e giorni da solo, a Formia, in pista la mattina, in pista il pomeriggio, un po’
di tv la sera e poi a dormire, senza una persona vicino. La mia casa era una
stanza d’albergo, la mia famiglia i camerieri dell’hotel dove soggiornavo
abitualmente. Quello era il mio rifugio. Ho disputato 528 gare, 419 individuali
e 109 di staffetta. Ho vestito per 52 volte la maglia della nazionale”. Lo
ricorderemo sempre con immenso rispetto.
Valerio P.Cremolini