Sala CarGià - Promozione Arte e Cultura 2013: sezione poesia.
Martedì 20 Agosto 2013 alle ore 21.00 al Castello di S. Terenzo, nell’ambito della “Settimana della Cultura” dedicata a Vasco Bardi, manifestazione a cura della Dr.ssa Maria Letizia Stangalino con il patrocinio del Comune di Lerici, Donatella Zanello ha presentato il libro di poesie “Passiflora”, prefazione di Cristiano Mazzanti, Ed. Ibiskos di Alessandra Ulivieri, 2006. Lo scrittore Luigi Leonardi ha presentato il libro attraverso una dettagliata recensione dialogando con l’autrice che ha letto le proprie liriche. All’ interno del castello erano esposte le opere della pittrice Anna Lupi.
Martedì 20 Agosto 2013 alle ore 21.00 al Castello di S. Terenzo, nell’ambito della “Settimana della Cultura” dedicata a Vasco Bardi, manifestazione a cura della Dr.ssa Maria Letizia Stangalino con il patrocinio del Comune di Lerici, Donatella Zanello ha presentato il libro di poesie “Passiflora”, prefazione di Cristiano Mazzanti, Ed. Ibiskos di Alessandra Ulivieri, 2006. Lo scrittore Luigi Leonardi ha presentato il libro attraverso una dettagliata recensione dialogando con l’autrice che ha letto le proprie liriche. All’ interno del castello erano esposte le opere della pittrice Anna Lupi.
Donatella Zanello, autrice della silloge
“Passiflora”, si presenta, in veste metafisica, con particolaresensibilità,
quale poeta della natura, dello spirito, delle passioni.
La sua poesia
è estremamente legata al mare, ma non solo. Il mare nei suoi misteri abissali,
nelle sue
inquietudini notturne. Il mare calmo nell’abitudine della risacca, o tempestoso
come le passioni, o libero nel suo immenso, o mistico nei tramonti. Il mare
origine di vita.
E’ una
religiosità quella di Donatella per il mare: un legame profondo con questo
elemento dominante.
Ricerca di libertà
Le poesie di
Donatella Zanello sono quadri dipinti con le parole, sotto le quali sta la
sostanza prima della nostra conoscenza. Sono parole scritte nello stile di un
romanticismo sobrio, assorbito da un lieve decadentismo. Si avverte una
struggente malinconia. Un certo tipo di espressionismo esalta la zona emotiva
della realtà ma anche quella dei sensi. L’anima vede la realtà secondo la sua
interpretazione. E’ una soggettività che sfocia quasi sempre in lirica. L’anima
è colpita dalla realtà e la traduce attraverso il proprio stato psichico. Ed è
sempre, comunque, una fuga, un bisogno di ricerca di libertà.
La silloge si
apre con “Risveglio”, un’aperta dichiarazione di sofferenza fisica; si
avverte il peso della gravità; la vita dolora nel corpo.
“Solo il
sentimento/ apre le porte/ all’eterno, al vero”.
Si cerca
rifugio o consolazione nell’anima, nel sentimento. Ci si vuole sentire liberi,
perlomeno dalla mondanità, se ritenessimo la pura libertà irraggiungibile. Dato
che sulla plaga terrena la libertà di pensiero è frantumata da ideologie
assolutistiche, forse essa è prerogativa dei poeti. Si cerca la libertà immergendosi
nella natura, in un’armonia di fenomeni alieni da ogni compromesso umano e
divino. Ecco quindi i marosi e il peschereccio e il volo dei gabbiani e le
Rosse illuminate a Portovenere. E’ un’esigenza di spiritualità, senza il peso
della vita; l’anima prigioniera del corpo in cerca della sua libertà.
Solitudine
La fede nella
natura sembra tuttavia non bastare al poeta. C’è bisogno di una fede più forte,
una fede oltre la luce? E’ inquietudine. Petrarca naufraga nell’angoscia di non
saper trovare la strada giusta verso il bene. E’ una ricerca di “cessazione di
tormento”che avverrà solo con l’abbandono delle passioni terrene. E’
l’inquietudine petrarchesca, causata essenzialmente da uno dei sette vizi
capitali: l’accidia, per lui una specie di pigrizia spirituale. Ora, con la
poesia “Solitudine”, Donatella esprime questa condizione:
“Ci sono
treni che volevo prendere..parole che non ho detto…cose che non ho potuto
fare.”
Non spiega
perché queste cose non sono state fatte, poiché intuisce qualcosa…un’inquietudine
ancora più terribile:
“Casuale/la
vita è casuale.”
Ovvero la
volontà è fuori dalla portata umana. In questa poesia si cammina su una
spiaggia infinita dove si percepisce l’assenza, o meglio ciò che diventerà
assenza.
“Sono sola/un
punto qualunque/nell’universo.”
Unica
impressionante certezza cartesiana, l’infinito vuoto, l’essenza della
solitudine.
Tutto sembra
perdere senso nella poesia “Solitudine un lieve gesto”, dove le categorie
gnoseologiche non bastano alla comprensione umana. E’ inutile aggrapparsi alle
cose perché “anche i giorni sai, sono temibili / quando scivolano in un
tremendo silenzio.”
Dicevo
dell’eredità di pensiero da Leopardi a Quasimodo a Pavese e in questo brano ne
riscontriamo l’atemporalità. Prendiamo la poesia “Il Lete” di Baudelaire:
“nulla può l’abisso del letto tuo per inghiottire i placati singhiozzi”. Non
c’è forza alcuna che possa lottare contro la nostra condizione già data;
impossibile modificarla. Scrive Donatella:
“Che
importano le voci/nell’invisibile,quando anche le nostre parole/avessero un
senso come un fiume…”C’è la sicurezza spietata che nulla possiamo contro la “necessità”ovvero
il destino: “Mi addormento e sogno l’impossibile”.
E’ cercare l’oblìo,
è cercare ciò che non c’è ma comunque abbandonarsi e dimenticare. Anche
Baudelaire lo cerca: “e dentro i baci tuoi scorre l’acqua del Lete”. Il Lete,
ilo fiume dell’oblìo.”
Le Passioni
“Passiflora” è la poesia
che titola la silloge. La sua etimologia indica sofferenza, pena, includendo il
sacrificio. Passiflora è il fiore della passione; le sue caratteristiche ci
ricordano la corona di spine, il crocifisso di Cristo. Qui il poeta vuole
rendere omaggio ai fiori, suo amore quasi ossessivo come il mare. Perché c’è un
legame che risale fin dall’infanzia, quando un libro sui fiori le venne
regalato dai suoi genitori. Il tema principe affrontato è la passione. Una
ricerca sulla passione umana.
Le passioni
sono pulsioni di sangue, di nervi, di muscoli: sono gli dèi che agiscono su
questi. Ci dominano e ci tengono dentro la vita.
“Noi ci
amiamo/in uno schianto/di dolore”. Ci amiamo sapendo di perderci; amiamo
intensamente consapevoli della fine. Questo è lo schianto di dolore. La gioia
inseguita e magari raggiunta si amalgama con la sofferenza. Siamo
“per-la-morte”. Ed è un’esistenza autentica, secondo il pensiero heideggeriano,
dove la vita è pervasa dall’angoscia della nostra finitudine. Nella nostra
società, dove si cerca la curiosità e non la conoscenza, la morte viene
rimossa. Ma ciò è l’aspetto più in autentico dell’esistenza.
“Siamo due
poveri folli/che si amano/in una prigione”.
Folli, perché
lottano contro l’ineluttabile; ciechi che si cercano nella cecità e vogliono
dominare sapendo di essere dominati. “Così il buio infinito traversano,
fratello dell’eterno silenzio”scrive Baudelaire sui ciechi additandoli quali
condannati dalla natura. E metaforicamente i versi di Donatella qui suonano:
“Siamo due
ciechi/che si cercano/brancolando nelle tenebre.
Siamo due
condannati a morte/che si amano/per l’ultima volta.”
“Ho chiuso al
silenzio/le porte delle stelle.”
Qui, dunque,
il significato dell’amore per il poeta assume il sapore di una sfida: amarsi è
una sfida sapendo di dover perdere. E anche per tutto il resto la vita incombe
con aria di tragedia. Il dolore di perdere la persona amata, la brevità del
nostro tempo, la bellezza effimera… per questo la reazione con l’idea della
bellezza, l’idea dell’amore, l’idea dell’eternità. L’uomo, soprattutto il
poeta, vuole andare oltre afferrando emozioni, trasmettendo
emozioni….amplificando il quotidiano.
“…quando
l’alba solleva le onde/ lungo la riva del mare.”
A Tellaro
rivedo/ il glicine avvolto alla terrazza / ondeggiare nel vento”
“Sento il
rumore del mare/ricordo il salmastro/che sfiora la vela”.
Riemerge
dallo sgomento, in “Piccola voce”, la speranza di continuare a vivere
con una certa vitalità, anche se la strofa centrale resta gonfia di
inquietudine. Il poeta non sa e anche questa è una certezza come la sua
esistenza; è un sapere socratico: sa di non sapere. Ma sa pure di avere un rifugio;
sa che comunque il suo sangue non scorrerà indifferente e rassegnato. Se
prendiamo la prima e l’ultima strofa di questa poesia e i versi della
successiva “Sonia”, dedicata alla figlia, scopriamo un’anima che si
scuote dalla chiusura, dalla condanna, dal silenzio. Non è tanto un riscatto o
una rivincita sulla caducità, sulla follia delle passioni, sul destino della
morte, quanto un abbandono alla dolcezza, a un presente gratificante e sicuro,
ancora lontano dallo scomparire.
Il senso del divenire
“Credo a ciò
che vedo / Credo a ciò che sento / Ho fede nella luce.”
Sono gli
ultimi versi de “L’isola dei pirati” dove l’autrice mette in evidenza la
sua vera fede. In questo brano si evoca la figura del nonno navigante, vista in
un immaginario positivo come un misterioso personaggio di fantasia. L’isola
d’Elba, di cui la famiglia del nonno è originaria, è l’isola dei pirati e lui
fa parte di questo mondo. Lui vive quel mondo altro che è il mare, dove si sta
via per anni da casa; dove la vita ha un’altra dimensione. Quando il nonno
torna racconta storie di luoghi lontani, avventure come in favola. Poi scompare per riprendere le onde
dell’immensa distesa, che come lui perpetuano quell’infinito andare e tornare,
quell’emergere e scomparire. Il mutare incessante dell’esistenza.
Il tutto
resta attaccato a una specie di segreto ancestrale, che solo si coglie
nell’intuizione. Un’intuizione non tanto di fede mistica, quanto una sorta di
religioso assioma. Una verità incontrovertibile che appunto respira intensamente
negli ultimi versi. E’ un guizzo nella “Physis” aristotelica, dove la verità si
riconosce nella luce, indicando la fede nella natura, ossia ciò da cui si
nasce. Physis, perché la sua radice significa luce, l’essere nel suo apparire.
Si entra nel pensiero profondo,dove l’anima esprime il suo primo significato:
“ànemos”, soffio, che dà movimento. Dove si crede non a ciò che è, ma a ciò che
si vede: si crede non alla “cosa in sé”, ma alla sua rappresentazione. Poiché è
ai nostri sensi che le cose appaiono; è in loro potere la “lucente bellezza del
mare, del sole, della terra”. Per loro le emozioni possono travolgere
l’indifferenza.
E nel
movimento perpetuo, o meglio nel mutamento sta quel particolare “senso greco
del divenire”. Da “Io cedo al sogno”: “Tu vedi il mio sorriso sfaldarsi
/ ad ogni tramonto/ e la forza svanire/silenziosamente/ nelle mie sere.” E’
nichilismo, inteso non come visione negativa di tutto; non nel senso
leopardiano del nulla, vale a dire l’indifferenza e la noia, il “taedium vitae”;
non il pessimismo storico di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”- di Pavese
abbraccerà poi ne “Il colore del mare”, silloge, 2012, inedita, certa metrica
stilistica. Ma quel nichilismo inteso appunto alla maniera dei greci: l’uscire
dal nulla e rientrare nel nulla; o, se vogliamo, con Eraclito, emergere dal
tutto e ritornare nel tutto.
Ciò non è
negativo poiché ci conduce a una chiara consapevolezza della nostra condizione
umana, dove potere, ambizione, diritto divino….cedono le loro velleità alla
conoscenza ineffabile. In Donatella questo nichilismo viene addolcito
attraverso la memoria. La suggestione di Paolo Bertolani, importante poeta
ligure, coinvolge, come lei mi confessa, certa sua poesia. “I pini frustati
dal vento” è quasi un’evocazione all’oltretomba.
“Non è vero
che i morti ci lasciano”.
E’ un
interrogarsi… forse meglio un riflettere sulla vita, magari cercando di
rimuovere quell’autenticità dell’essere-per-la morte. I morti vivono ancora
accanto a noi;si sentono i loro rumori, i rumori degli antenati in una
sensazione fantasma. Il ricordo a volte è così vivo da percepirne la presenza.
Questa poesia è dedicata a Portovenere; è stata scritta fisicamente a
Portovenere. Come il pittore dipinge sul luogo, così il poeta scrive sul luogo,
per omaggiarne la bellezza, per gustarne meglio le emozioni.
L’idea di felicità
In questo
mondo da sempre senza governo, Donatella si affaccia a quella finestra lasciata
aperta dalla poesia dell’inizio del secolo scorso, dove scaturì la reazione al
positivismo. Crollava la fede nella scienza ( o meglio dell’uso che l’uomo può
fare della scienza), l’uomo scopriva il male di vivere. Nel caso attuale è la
mediocrità dilagante di una civiltà impostata su regole di mercato. Una civiltà
che ancora idolatra valori bugiardi; una civiltà presa ad inseguire un
maledetto concetto di potere che, non solo in atto ma già in potenza è
fatiscente. Il poeta quindi approda alla riflessione dell’anima, nella
contemplazione della natura e riscopre la caducità della vita.
“Cane di un
tempo che non riesco a tenere alla catena”: sono parole di Paolo Bertolani, che
ci ricorda quanto il nostro potere sia ridicolo e vano. Tutto si annulla nel
tempo.
“Ti ho
perduta,/ non so come,/in una sera d’estate”
dice
Donatella riferendosi alla figlia bambina diventata donna. Fare il poeta non è
un piacere, è una fatica. Con la sua arma egli intuisce, con mira infallibile,
il significato dell’esistenza. Si spinge fino ai limiti per cercare conforto.
Da Pensieri
/ Frammento:
“Esiste un
luogo dove essere felici?....”
Da Pensieri
2 / Frammento:
“Il colore
del mare è di una bellezza accecante./ Provo una gioia immensa./ La mia
felicità è così grande che ne ho paura”.
L’autrice
sente il male di vivere del suo tempo. Per questo scopre la bellezza accecante
del mare; la bellezza dei silenzi; nelle prime ore del mattino, nell’odore di
salmastro, nelle distanze del mare e del cielo, come distanze tra l’io e la
moltitudine. Ma quella che afferra, che lo spirito percepisce, non è il mare,
non l’isola, non i pini, non le Rosse illuminate….è l’idea di tutto ciò: l’idea
della bellezza.
Ossia di
tutto ciò che non può mutare, che sta fisso, incorruttibile. Poiché ciò che
cambia è dolore. “Perch’io te non amai, ma quella Diva”, rivolge Leopardi ad
Aspasia, con sdegno. Cioè, non te donna amai, ma l’idea, l’idea dell’amore,
immutabile, eterna.
Per
raggiungere la felicità è necessario allontanarsi da ciò che muta e quindi
raggiungere uno stato materiale e psichico di assenza del dolore. Ma non è
semplice perché si è irretiti nei problemi quotidiani, nelle paure
imponderabili, nei desideri mai raggiunti, o raggiunti e da altri sostituiti.
“Spazi
vuoti/nei quali/affonda il desiderio/Scomparirebbe dal tempo/anche l’ultima
notte,/se insieme, ubriachi, storditi, /facessimo il giro dei locali..”
Oltre la
razionalità, oltre la fatica di questa vita, ebbri come ubriachi potremmo
dimenticare anche il tempo, il tragico divenire delle cose, e uscire dalla
prigione del mondo, liberarci dai nostri pesanti fardelli. Bisognerebbe
ritrovare l’ingenua incoscienza immune di ambasce e presagi, ma il processo è
irreversibile. La “stagion lieta”, il “giorno d’allegrezza piena”, sfioriscono
prima di sera. Così conclude il poeta:
“Fuori da
qui, dalla prigione / che ovunque inutilmente mi tiene, / ..è la luce della
bella stagione…/la stagione inevitabile che viene, come le altre, / a sfiorire
sulle terrazze e sui giardini, / mentre il tramonto / declina i suoi colori.”
Luigi Leonardi
Da “Passiflora” Poesie, di Donatella Zanello
Editore
Ibiskos di Alessandra Ulivieri, Empoli, 2006:
Risveglio
Stamani
al risveglio
il
cielo era così lieve
e
così doloroso il peso
della
vita nel corpo.
Solo
il sentimento
apre
le porte
all’eterno,
al vero.
Lontani
marosi
a Portovenere,
al
di là dell’isola,
le
Rosse illuminate
dall’alba,
nel silenzio.
Un
peschereccio
doppia
la punta
del
molo, avvolto
nel
volo affamato
dei
gabbiani.
Donatella Zanello
“
PASSIFLORA” , Poesie, 2006
Ed. Ibiskos diAlessandra
Ulivieri, Empoli.
Scheda:prefazione
di Cristiano Mazzanti
PREFAZIONE
Liguria:gli
ossi di seppia di Montale, limati dalla luna, scintillano sotto il morso del
mare che scava golfi nella terra e nell’anima.
La
raccolta di questa scrittrice per molti motivi si inserisce nel filone della
poesia ligure marinara e la penna si trasforma in gabbiano “affamato”di parole
di vita. Il paesaggio ed il sentimento, il cielo con le sue dinamiche di sogno
e la pesantezza della “vita del corpo”. I rientri e gli affondi di tutta la
costa fino alla solennità ieratica di Genova si alternano come la linea
sinusoidale delle emozioni che si snoda nei versi “la tua libertà e la tua
assenza”: gli affetti come il mare che abbraccia e si ritrae lasciando
l’infinito di fronte alla riva abbandonata, “ritaglio del paesaggio del mondo”.Accanto
agli “idilli” di contemplazione profonda che raggiunge la paura della felicità
nello sperdersi abissale dentro il mare,
balzano a volte improvvise immagini “cinetiche”legate al treno descritto per la
prima volta come speranza lanciata nel futuro, fuori dal tunnel dell’anima.La
dilatazione dell’affetto, in alcune composizioni quasi disperata verso una
dissolvenza nikilista, viene accompagnata anche da efficaci descrizioni degli
amori familiari con i loro riti di crescita e di distacco,come nella
meravigliosa descrizione alla fine “dell’estate” (quella adolescenziale) con la
mano che scivola dalla guida materna (in quello “scivolare” c’è tutta la
delicatezza della partenza ma anche tutta la sua inesorabilità)e lo sguardo
della figlia si trasforma in quello di “una donna sconosciuta”.
Anche
l’icona della madre è compresa nei ritratti di famiglia con una foto vivace, in
bianco e nero senza ingiallire: “bei capelli neri” in contrasto con la “pelle
di porcellana”.
Tipica
della poesia di Donatella Zanello è la fusione di cose, paesaggi, sentimenti
nel crogiuolo artistico delle proprie emozioni e la saldatura poetica
conferisce una particolare forza, quasi scultorea, icastica,alle immagini “nuda
nella mia carne”, “la luna sulla pelle” ed in “Spazi vuoti” la disperazione
viene descritta nel “fare il giro dei locali/come barche/attraccate alla
riviera”.
La resa finale al porto scorre davanti al
lettore come le imbarcazioni “totali” di Egon Schiele in un suo paesaggio.
Un
augurio finale per tutti viene da una frase nascosta ne “l’isola dei pirati”: che queste pagine siano vele di ottimismo di
vita perché “la causa dell’esistere / potrebbe anche essere il niente”…. Ed occorre avere “fede nella luce”.
Cristiano Mazzanti
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