giovedì 28 febbraio 2013

SALA CULTURALE CARGIA' 2013: RIFLESSIONE SULLA NON VIOLENZA di Ale Magnavacca



Sala Culturale CarGià, saluta il 2013 trattando il tema “ Donna e Violenza”
Un importante e significativo messaggio sostenuto dal blog
 ...... un piccolo grande passo verso il cambiamento.
....se ancora l'Arte e la Cultura possono muovere il mondo.....è nostro dovere fare il nostro possibile.
Ezia Di Capua

  
FEMMINICIDIO

Ezia Di Capua
"Preludio" - Acquerello - Particolare

"L’eclettismo di Ezia Di Capua è stato,nuovamente esplicitato con gusto in una pagina di musica dipinta, inquadrata con scrupolosa raffinatezza".
Questo il mio breve pensiero. Contraccambio la stima. Valerio P.Cremolini


"femminicidio...violenza sulle donne..." parole e concetti troppo sfruttati, per fare politica, per esaltare la falsa moralità, per nascondersi dietro a ciò che in verità è ben più grave. Se all'inizio del nuovo millennio siamo ancora a discutere su questo argomento che dovrebbe essere morto e sepolto da anni, la colpa è principalmente di noi donne. Non fraintendetemi: facciamo quello che possiamo di fronte a chi pesa il doppio di noi e ha una forza tre volte tanto. Ma cominciamo per gradi. Al di là della violenza fisica siamo violentate ogni giorno nella mente, nell'orgoglio, nella dignità. E perché lo premettiamo? Diciamo di no, NO! Ribelliamoci anche con chi dice una frase offensiva, denunciamo chi offende la nostra persona, non permettiamo più a nessuno (che non per niente è un termine maschile) di calpestarci. Smettiamo di dire "sono caduta dalle scale...ho sbattuto contro una porta...mio marito non vuole..." tiriamo fuori il coraggio e smettiamola di farci del male. Accidenti, affrontiamo un'esperienza come il parto col sorriso sulle labbra e non abbiamo il coraggio di affrontare chi ci offende? Se non vogliamo farlo per noi facciamolo per le nostre figlie, le nostre nipoti, le donne che verranno. Insegnamogli che le loro mamme sono donne coraggiose e che gli uomini ci devono rispetto come noi ne abbiamo per loro, ma non perché loro lo pretendono o perché ci è stato insegnato così, ma perché è così che ci si comporta in una società civile. Il progresso non è solo il pc o il cellulare, sta dentro di noi, è l'evoluzione della specie.

Ora tante donne mi troveranno da ridire, ma non mi importa, le prime che devono difendersi da tutto questo, siamo noi stesse.

Ale Magnavacca


Ale Magnavacca lavora da venticinque anni in mezzo a libri di ogni genere perché li ama, infatti, nel 2010, dà vita insieme a due amici scrittori al Caffè Letterario“Giro di Parole”.
Per anni nomade tra Londra, città che adora, e l’Italia, vive a Pontremoli città del Premio Bancarella, col marito e i due figli nello splendido palazzo storico della sua famiglia.
Nel 2010 ha pubblicato il suo primo romanzo “Nulla è scontato



venerdì 22 febbraio 2013

RAFFINATEZZA NELL'OPERA di Ezia Di Capua - DAL CLASSICISMO ALLA METAFISICA - Recensione di Donatella Zanello



Ezia Di Capua - Acquerello (Particolare)


“L’arte suprema di un maestro
 è la gioia che si risveglia
 nell’ espressione creativa
 e nella conoscenza.”
                         Albert Einstein.


FELICITA' E RAFFINATEZZA NELL'OPERA DI EZIA DI CAPUA

Ezia Di Capua
Acquerello (Particolare
)
Ezia Di Capua è donna dalla personalità complessa, estremamente positiva e poliedrica nell’uso della creatività e nell’espressione artistica. Succede alla madre Carla Gallerini come Direttrice della Sala Culturale Cargià, di cui cura il sito internet con grande entusiasmo e professionalità.
E’ organizzatrice di eventi. E’ apprezzata soprano corista nella Schola Cantorum Labronica diretta dal Maestro M.Preziosi.  Ostetrica, Vice Presidente del Collegio delle Ostetriche di La Spezia dal 1997 al 2003. E’ formatore presso l’Ente di Formazione Professionale C.I.O.F.S. Liguria.
E’ pittrice acquarellista miniaturista, vincitrice di numerosi concorsi, partecipa a mostre di pittura con lusinghieri riconoscimenti, ha pubblicato il suo primo libro “La misura dell’amore” Edizioni Cinque Terre nel 2012,  scritto in memoria della madre. Sue opere grafiche sono state pubblicate dalla Casa Editrice ECO di Milano.
La sua spiccata, generosa e decisa personalità artistica si esprime nella creatività pittorica fin dal 1976, con grande impegno e passione, la stessa passione, lo stesso amore con cui cura ed organizza l’attività della Sala Culturale Cargià, dando agli artisti uno spazio prezioso e fornendo con il proprio impegno un contributo di grande valore alla diffusione dell’arte e della cultura.
 Il mondo di Ezia, così ricco ed esuberante di vita, lo ritroviamo pienamente espresso nella “felicità”  da lei stessa sottolineata, delle sue creazioni artistiche. Gli acquerelli e le miniature sono veri e propri “Idilli”, ricami delicati ed eccezionalmente precisi, ammirevoli per una peculiare raffinatezza, caratterizzati da una squisita eleganza tipicamente femminile.
Grande dolcezza, tenerezza, musicalità lieve e cadenzata di un’anima che per naturale inclinazione aspira al bello, ad un’idea di bellezza metafisica, che realizza con rigore e passione (si veda il particolare “palloncini” nello spazio dedicato al Carnevale 2013, in ricordo della madre).
Le “visioni” di Ezia scaturiscono da una solida base di riferimenti culturali, che vanno dall’armonia classica e rinascimentale  alla levità delle forme geometriche presenti  nell’astrattismo di Kandinsky e della sua scuola, poderosa corrente artistica cui aderì anche Pablo Picasso.

Analizziamo di seguito in dettaglio due opere:

Ezia Di Capua - "Oltre"
Acquerello (Particolare)
OLTRE (2008), acquerello:
quanto sopra premesso è evidente nell’opera “Oltre, il cui particolare costituisce la copertina del libro “La misura dell’amore”. Notevole è il classicismo di questa immagine, la precisione del tratteggio e la poesia che ne traspare, in una bellissima rappresentazione della maternità.
Le linee sono essenziali e decise; i nodi nel mantello e nei capelli, simboleggiano la forza e la fatale ineluttabilità del legame più profondo, quello materno.
La figura nasce da un’energia superiore, preesistente, metafisica.
Dall’origine all’origine ritorna, in un cerchio che si chiude. Perfezione. Tendenza alla perfezione. Ricerca artistica che è intimamente connessa alla ricerca spirituale.
Le forme geometriche sono simbolo di aspirazione alla pace interiore, “oltre” il tempo e gli affanni, “oltre” la paura freudianamente ed oggi più che mai inseparabile compagna dell’uomo, verso una dimensione salvifica dell’arte intesa come continuità della vita e dell’amore, eternità.
Ogni opera d’arte, infatti,  non appartiene al contingente ma all’infinito, non appartiene al singolo ma a tutta l’umanità. Ezia lo sa bene, ha  appreso questa lezione di vita dalla propria madre e lo esprime con compiutezza in quest’opera emblematica del suo mondo interiore.

PRELUDIO”, acquerello:
Ezia Di Capua - "Preludio"
Acquerello (Particolare)
Anche l’amore per la musica è evidente nelle opere di Ezia, collocate mirabilmente all’interno di spartiti musicali, in una dimensione nuova, alternativa, libertaria.
Arte come insieme di arti , unità tra musica e pittura e poesia, plasticità, movimento di danza nell’opera “Preludio”, dove la figura femminile emerge, prepotentemente vicina alle sorgenti della vita ed immersa nel ritmo incalzante della musica che attraversa il mondo.
Energia positiva nelle opere di Ezia, così come nella sua vita, i riconoscimenti non mancano e saranno sempre maggiori. Molti i riferimenti già presenti in queste pagine, eccellente l’analisi delle sue opere fornita da critici d'arte della provincia di La Spezia.
Nella sua opera Ezia rappresenta il mondo naturale in suggestive cascate di fiori, tratteggia con eleganza armoniose figure femminili, raffigura il mare con le sue storie e leggende, basti pensare al “Vascello con cui Ezia inaugura sul blog il nuovo anno (“Sala Cargià è letto in tutto il mondo”).
In questo senso l’opera di Ezia pittrice, con la sua raffinatezza estrema e rigorosa, viene ad iscriversi nel concetto universale di arte come dono al mondo, scala verso le stelle, percorso di autocoscienza, conoscenza delle arcane geometrie dello spazio e dei misteri del tempo.

Ed ecco lo scaturire della “felicità”, insita nel principio stesso di creatività
(tra l’altro strettamente connesso all’istinto di maternità e di conservazione della vita).
Ezia Di Capua - "Il Vascello"
Acquerello (Particolare)
Felicità artistica che non consiste solamente nell’assenza del dolore di matrice epicurea e nell’evasione dalla realtà attraverso la fantasia ma anche nel compimento dell’opera, nel dono di sé, nella realizzazione del sogno, nella rappresentazione della cosa amata al fine di preservarne l’immagine oltre l’avara tirannia del  tempo distruttore.
 Il fine dell’arte è da sempre fermare l’attimo che fugge, sfidando l’amaro destino di caducità.
La grandezza di un artista consiste nella capacità di interpretare la realtà secondo la propria fantasia. Tale mediazione può essere non condivisibile da un punto di vista razionale ma il risultato può essere talmente forte e seducente da incantare il pubblico.
La pittura è da sempre prodigio della creatività, è qualcosa cui si arriva con desiderio,una dimensione nuova in cui resta sospesa l’essenza della vita, l’incanto dell’innocenza.
Anche nelle preziose opere di Ezia Di Capua questo incanto coincide con la felicità.



Donatella Zanello

                          
                                                                               
                                                      

lunedì 18 febbraio 2013

SALA CARGIA' PRESENTA IL LIBRO DI POESIE: " Dietro l'uscio socchiuso " di Egidio Di Spigna.


Sala Culturale CarGia’ amplifica il progetto di Promozione Arte e Cultura 2013 riservando uno spazio alla presentazione di libri.
Ezia Di Capua


Introduzione di Valerio P. Cremolini.

L’amico Egidio Di Spigna mi ha manifestato sincera stima invitandomi ad introdurre la sua raccolta, frutto di una stagione poetica non fuggevole, ed ha gradito che fossi presente anche in questa circostanza dedicata alla promozione della silloge Dietro l’uscio socchiuso, pubblicata dalle Edizioni Giacchè, il cui catalogo si propone da tempo qualitativamente interessante.
Parlare nel salone che l’Accademia Capellini, dove peraltro mi sento a casa, intitolato all’illustre Giovanni Sforza, prestigioso studioso della terra lunigianese e generosissimo uomo di cultura, mi onora tantissimo. Inoltre, affiancare in questo incontro Giuseppe Benelli, presidente dell’Accademia e titolatissimo docente universitario, alimenta in me una giustificata soggezione, ma anche un particolare entusiasmo.
Con franchezza esprimo il mio apprezzamento per l’intelligente innesto pittorico tra le pagine del libro con la riproduzione di alcuni dipinti del pittore Francesco Vaccarone. Ho detto poc’anzi di avere familiarità con l’Accademia Capellini e quella con Vaccarone e la sua pittura sfiora i cinquant’anni. Anche per questo, nel 2010, Vaccarone ha desiderato che fossi io a curare la magnifica antologica allestita al Camec, contrassegnata da diffusi consensi critici e dalla significativa affluenza di visitatori.
Poesia e pittura, concretamente rappresentate e valorizzate dalle distinte testimonianze di Di Spigna 
e Vaccarone,  non appartengono al pianeta dell'effimero; le loro diverse esperienze dai molteplici esiti creativi continuano incessantemente a comunicare messaggi sull'uomo e sulle cose tramite la forza evocativa, talvolta smisurata, della parola e del colore.
Nella concezione dell’arte di Vaccarone, per chi conosce la sua formazione culturale ed i temi affrontati in oltre mezzo secolo di professione, sa come la poesia e la letteratura abbiano un legame piuttosto solido con la sua pittura e di ciò si ha conferma sia nei suoi lavori giovanili sia in quelli dei decenni successivi, caratterizzati da un linguaggio inconfondibile.
Premetto che ho sempre rispetto per chi scrive poesie, esercizio di acuta riflessione, spesso di buona scrittura e di schietta sincerità. Per Giuseppe Ungaretti “la poesia è di tutti, scaturisce da un’esperienza strettamente personale e deve portare il segno inconfondibile dell’individualità”.
La lettura di Dietro l’uscio socchiuso mi spinge ad affermare che in questa prova letteraria si coglie il profilo culturale e umano dell’autore, che al pari di rinomati colleghi poeti, si offre e si apre senza alcuna esitazione al confronto. L’esercizio poetico, che si sviluppa in sintesi dense di significato necessita certamente di una sorta di isolamento che sostiene il poeta nell’elaborazione formale dei testi, che si propongono come canali comunicativi verso più direzioni.
È una peculiarità della poesia, arte della parola, e del poeta aprire la sua mente e il suo cuore agli altri, felice di raccogliere consenso, ma altrettanto onorato se i suoi versi vengano letti, perché parole, interrogativi, richiami paesaggistici o espressioni affettuose, fanno scattare una sorta di complicità con chi le ha generate. Anche perché il lettore si ritroverà nelle diverse situazioni della quotidianità richiamate nelle varie poesie, che se da un lato circoscrivono con autenticità l’esperienza esistenziale dell’autore, dall’altro, grazie alla dimensione colloquiale, stimolano la riflessione di quanti ne assaporano la genuina verità. Poi, è altrettanto significativa la spinta evocativa che appartiene alla scrittura dei poeti e quella che è propria della raccolta di cui stiamo discorrendo genera sensazioni, pensieri, immagini che hanno un legame con il vissuto di ciascuno di noi. Non è, allora, obsoleta la concezione che Giacomo Leopardi aveva della poesia come “espressione libera e schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito nell’uomo”.
Ritengo, allora, di affermare che è un comune ritrovarsi con le pagine del libro di Di Spigna che, rimugina il lettore, avrei potuto scriverle io e con la suggestiva immagine proposta da Giuseppe Benelli  di sentirsi custode della soglia. Il proprio “io”, incorporato tra le scelte parole del poeta,  viene svelato senza alcun timore e così tutto ciò che lo condiziona, gioia e dolore, che nella vita si alternano senza sosta.
Ritornando sulla verità della poesia richiamo un saggio del 1946 di Salvatore Quasimodo, L’uomo e la poesia, nel quale il poeta offre la seguente risposta:”L’uomo vuole la verità dalla poesia, quella verità che egli non ha il potere di esprimere e nella quale si riconosce, verità delusa o attiva che lo aiuti nella determinazione del mondo, a dare un significato alla gioia o al dolore in questa fuga continua di giorni, a stabilire il bene e il male, perché la poesia nasce con l’uomo, e l’uomo nella sua verità non è altro che bene più male”. Non diversamente Eugenio Montale scrive in Auto da fè (1966):”Mi guardo attorno e non vedo che volti devastati da una noia che non ha nulla di eistenzaile, ma è il frutto di una supina acquiescenza a tutti gli aspetti peggiori del nostro tempo. Un tempo che, dopo tutto, è stato fatto da noi”.
Citando Montale, Quasimodo e poco prima Ungaretti ho ricordato tre protagonisti della poesia italiana del Novecento e con loro l’importanza di un densissimo tracciato poetico, squisitamente italiano. In esso non è marginale  il significativo apporto della nostra regione, caratterizzato da continuità e da voci, anche innovative, di sicuro valore letterario. Penso ad Angelo Silvio Novaro e al fratello Mario, a Ceccardo Ceccardi Roccatagliata, Camillo Sbarbaro, Angelo Barile, Giovanni Descalzo, Edoardo Firpo, Ettore Cozzani, Luigi Perasso, Giovanni Giudici, Roberto Pazzi, Franco Loi, Edoardo Sanguineti, Giuseppe Conte, Adriano Sansa, Paolo Bertolani, a Renzo Fregoso, straordinario letterato e infaticabile promotore del dialetto spezzino, nel cui nome associo le poetesse ed i poeti spezzini contemporanei, che onorano la cultura letteraria del nostro territorio.
Alla domanda chi è il poeta ognuno di noi offre più risposte.
É “una specie di riassunto di tutti e delle voci del mondo”, dichiara lo scrittore Erri De Luca.  I poeti, infatti, sono persone che non hanno timore di parlare di se stessi; sono persone che non fingono, uomini che vivono, palpitano, fremono, che parlano senza ritrosia dei propri sentimenti e ce li offrono come tali.
Per la poetessa  Antonella Anedda il poeta “è colui che avverte, prima degli altri, nella sua carne viva, quel che accadrà poi; colui che inventa nuovi mondi e nuove speranze per chi non ne ha, o non ne ha più; colui che soffre con chi soffre e gioisce con chi sorride; colui che sa parlare ai piccoli, che non conoscono parole”. Per Aldo Forbice “il poeta è un uomo di estrema sensibilità che vive nel suo tempo, esprime le emozioni che lo circondano, e non tiene conto di ragioni di opportunità”.
Ritengo di esprimere il vero nell’affermare che nel profilo poetico Di Spigna queste definizioni non gli sono per nulla estranee. Sono anche persuaso che ogni pagina di Dietro l’uscio socchiuso riveli come la verità sia una presenza a cui il poeta non intende abdicare. Una verità che non svanisce, ancorata a ciascun verso delle sue poesie. In esse i vari temi sono proposti avvalendosi di una scrittura mai discordante e ciò facilita l’accoglienza del pensiero del poeta di volta e dei suoi ricordi. Sì, la poesia è memoria, anzi, precisa Davide Rondoni, “è una messa a fuoco nella memoria”. Il poeta l’attraversa iniziando un intenso viaggio sostando sempre con particolare piacere, cito ancora Ungaretti, su esperienze talvolta esclusivamente interiori, che evidentemente hanno significato molto nella sua vita, ripercorsa cautamente riferendone importanti momenti visualizzati, appunto, da un uscio socchiuso. Molto opportunamente Di Spigna introduce i capitoli della sua amabile silloge  con altrettanti prologhi, garbate e limpide ouverture  che aiutano immediatamente a prendere confidenza con gli aspetti formali e con i contenuti non più segreti della sua matura scrittura poetica, germogliata in tempi non vicini.
Sono prologhi, piuttosto brevi, schegge di poesia dalla percepibile chiarezza compositiva che accompagnano il lettore all’incontro con figure femminili, capaci in vario modo di dare amore; con l’incanto inesauribile delle stagioni; con le luci, le ombre e i colori, magistralmente esaltati nei dipinti di celebri pittori;  con la bellezza di straordinarie città e della nostra terra, verso la quale il poeta afferma il proprio senso di appartenenza anche tramite l’appropriato uso del dialetto. Il lettore, infine,  incontra l’autore che parla senza alcuna enfasi né toni angoscianti di se stesso, rivelando la propria identità.
La poesia è verità, una verità che non si consuma. Robert Musil in L’uomo senza qualità dichiara che “non è vero che il ricercatore insegue la verità. È la verità che insegue il ricercatore”.
D’altronde, perché mentire! Il poeta scrive soprattutto per sé stesso, ma è felicissimo che suo tramite si generi una sorta di fecondazione della parola che invade la coscienza del lettore, tenuto conto, che “anche la poesia più apparentemente privata chiama in vita una parte della coscienza collettiva”. (F.Fortini) E attraverso la poesia si ricerca e si realizzano intese fra scrittore  e lettore che si rinnovano di volta in volta  e danno consistenza alla comune riflessione sull’importanza dei sentimenti e del sapere, che il nostro rumoroso  tempo avvolge di vacuità.

È ben noto il pensiero di Marcel Proust (Il tempo ritrovato) per cui “ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”.

Un’altra citazione nota la traggo dal saggio su Friedrich Schiller  di Benedetto Croce Poesia e non poesia, per il quale “nella vera poesia le espressioni che suonano più semplici ci riempiono di sorpresa e di gioia perché rivelano noi a noi stessi”.
Ebbene, da quell’uscio socchiuso si è dipanato dinanzi allo sguardo stupito del poeta un nuovo orizzonte esistenziale che non ha desiderato disperdere, anzi lo ha gradualmente registrato in un ideale diario, le cui pagine bianche si sono ad una ad una affollate di parole, di voci, d’immagini, anche di interrogativi che “vanno poi a costituire - scrive Giancarlo Pontiggia – i grandi temi della poesia di ogni tempo”. Così, si respinge la solitudine. Paul Valery è, a proposito, categorico nell’asserire che “un uomo solo è sempre in cattiva compagnia”.
Ed ecco comparire esatti profili di donne trattate con lodevole garbo. Sophie, ad esempio, è una frequentatrice di marciapiedi, ma “sembra un angiol del Signore”, quando veste gli abiti più belli; allo stesso modo Giada che non fa domande è anch’essa un “angel caduto dal suo cielo”, mentre La Dydi di Place Vendome ricorda fisicamente una “giovane dama di lignaggio antico”.
In Di Spigna è prevalente l’opzione per un linguaggio poetico descrittivo e fortemente comunicativo, che esclude ambiguità interpretative, condividendo il pensiero di Vincenzo Cardarelli, per il quale “il verso serve a parlare da sé”. Così, la costruzione delle poesie di questa silloge è tutt’altro che forzata e i versi mai irruenti che le compongono sintetizzano lo stato d’animo riflessivo dell’autore, svelato serenamente nelle diverse composizioni, che perseguono e conservano un saggio equilibrio fra la profondità dei contenuti e la necessaria chiarezza nel manifestarli.
Il poeta non deroga da tale atteggiamento nell’esternare con parole misurate e con accento partecipativo le sensazioni avvertite nell’avvicendarsi delle stagioni, raccolte in deliziosi quadri intitolati alla primavera, auspice di una rinnovata giovinezza; all’estate, dove negli assolati pomeriggi “l’unica voce che si sente/è il rumore del nulla”; all’autunno, simbolo di un’inquietante stagione della vita e, infine, all’inverno, emblematicamente risolto nell’immagine di una lunga spiaggia, sovrastato da un cielo “racchiuso da nuvole prive di vita”.
Questo obiettivo di ordine lessicale, ma non solo, è conseguito anche nelle poesie dedicate a luoghi cari al poeta, rappresentati mai banalmente, appunto perché realmente vissuti. Luoghi, si legge nell’omonima poesia, che “non son cornice, una qual che sia,/ sono la tela, la trama, son l’ordito/della vita d’ognuno”.  Luoghi, quindi, non soltanto spazi geografici, ma anche luoghi dei sentimenti, dello spirito, della libertà. Luoghi con i quali il poeta ha stabilito un solido legame di lunga durata. 
I suoi occhi e il suo cuore sostano su Fiumaretta, “granello di cielo capovolto,/un petalo di rosa in un roseto”; su Porto Venere, “promontorio roccioso,/chela di granchio d’aspetto minaccioso”; sul Mare nostrum, “che ha l’intenso spessore dell’azzurro/e ad ogni tono accende il tuo stupore”; sulla Terra di Liguria , di volta in volta, definita argutamente “terra che non c’è”; “terra fatta così, come nessuna”; “terra desiderata e mai scordata”; “terra di patimenti, violata”; “terra ruvida  e dura, terra di mare”. Descrizioni veritiere e totalmente condivisibili. Ma l’itinerario geografico-poetico di Di Spigna fa tappa anche a Capri, a Praga, a Dresda, sosta nell’incantevole città di Venezia  dall’immensa storia e dalla straripante ricchezza d’arte.
É ammirevole il commovente richiamo ad una straordinaria pagina di storia scritta dagli spezzini, quando la città, Medaglia d’oro al valor civile, non fece mancare il proprio generoso sostegno alle migliaia di ebrei sopravvissuti alla deportazione nazista, uomini, donne e bambini che sulle navi Fede e Fenice salparono l’8 maggio 1946 dal porto della Spezia, per raggiungere la Terra promessa. La Spezia è il Porto di Exodus e per Israele la Porta di Sion. a motivo della solidarietà e del concreto aiuto manifestata dai suoi abitanti. Scrive Di Spigna “E per riconoscenza che ci coglie,/nel Giardino dei Giusti ricordata,/un albero è cresciuto nel tuo nome”.
Il corpus dominante di Dietro l’uscio socchiuso è occupato da un nutrito numero di liriche nelle quali ricorre il tema dell’amore, parola certamente antica, che i poeti mantengono profumata di fragranza, di autenticità e di modernità. L’amore con le sue numerose declinazioni (sesso, desiderio, eros, agàpe, amicizia, ecc.) è una parola che non invecchia mai.
Il ritmo e la coerenza compositiva dell’intera raccolta suggeriscono una lettura continuativa, non necessariamente guidata dagli indizi interpretativi, solitamente sottintesi dai titoli delle liriche. Preferisco allora evidenziare l’apprezzabile unitarietà dell’insieme, senza indugiare sulle singole composizioni, che davvero costituiscono un cantico leggiadro, un vero e proprio inno all’amore, inteso come irrinunciabile e indelebile esperienza esistenziale, attributi che ne garantiscono, appunto, la perenne freschezza.
L’amore del nostro poeta, spesso la luna si affaccia per testimoniarlo, è molto profondo e si manifesta in un succedersi di espressioni trasparenti da non codificare, che hanno il valore di una confessione aperta. Non c’è di meglio della poesia per comunicare i piaceri e le laceranti ferite dell’amore che per Mario Luzi “aiuta a vivere, a durare,/ l’amore annulla, e dà principio”. (Aprile-amore)
Un’altra enclave della raccolta propone alcune poesie che onorano la pittura, genere artistico verso il quale il poeta mostra avvertibile sensibilità ed il richiamo alla famosa locuzione latina di Orazio Ut pictura poesis è quanto mai pertinente. Sì, un dipinto può trasmettere sensazioni poetiche ed anche la poesia diffonde, talora, impressioni pittoriche.
Ho citato frettolosamente Orazio, il quale nell'Ars poetica considera la poesia come unione dell'ars e dell'ingenium , richiamando la centralità del binomio forma-contenuto, elaborati dal poeta per conseguire la perfezione. Leonardo, da parte sua, affermava che “la pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca, e l'una e l'altra vanno imitando la natura quanto è possibile alle loro potenze”.
Altri versi accuratamente scelti descrivono tele famose, che il poeta intende mantenere sempre più vive esponendone le diverse peculiarità, dopo aver affermato che “la scintilla del genio è necessaria/a coglier la bellezza della forma”.
É affascinato, ad esempio, da un Plenilunio, che ha per protagonista una luna “disincantata, immobile, lontana”; da un capolavoro di Van Gogh con “i gigli azzurri, la sedia, i girasoli,/i campi di lavanda, il sole viola”; dalla Ballerina di Degas, “lieve farfalla tenuta prigioniera/nell’angusto teatro del mio cuore”; dalla celebre Cattedrale di Rouen, “trionfo di luce al sole chiaro”, ripetutamente dipinta da Claude Monet; dalla contestata Colazione sull’erba di Éduard Manet. Ma anche la pittura di Francesco Vaccarone è abilmente e amabilmente riassunta in trentatre efficaci versi. Con indubbia originalità, adottando un linguaggio aulico, Di Spigna colloca “nel giron del canto qual che sia” del poema dantesco il pittore Domenico Fiasella di Sarzana “ove lasciò di sé traccia preclara”.
Come tanti autori anche Egidio Di Spigna ci esorta con la sua poesia a non sottovalutare le più piccole emozioni che s’incontrano nella quotidianità, invitandoci a rivolgere sguardi silenziosi verso quanto si dispiega oltre il nostro uscio socchiuso, più o meno consapevolmente trascurato. Il richiamo al silenzio non è casuale, poiché nel silenzio la riflessione s’insinua naturalmente nella via della verità, riuscendo, davvero, ad aiutarci a meglio vedere e considerare quanto di piccolo o di grande ci circonda. E nel silenzio ci si apre alla trascendenza, al bisogno di Assoluto.
Vorrei concludere con un pensiero di Franco Fortini, sulle peculiarità e, direi, sull’inesauribile necessità di poesia. Scrive l’eccellente poeta e saggista letterario che “tutta la poesia ha con sé dei fini di persuasione, di esclamazione, di informazione e di emozione; afferma qualcosa, lo nega, lo chiama, ragiona ecc. Tutto l’intero discorso poetico è disposto in modo tale da evocare una separatezza da quei fini, in modo da mostrare una seconda finalità, è disposto in modo da costringere il lettore, l’ascoltatore ad avvertire una quantità di sintomi che negli altri discorsi non ci sono o che non sarebbero così importanti, come ad esempio la quantità delle figure retoriche o del discorso, gli effetti fonici, le scelte lessicali e così via, in rapporto con strutture che apparentemente sono simili a quelle che appaiono nella comunicazione non poetica”.
Ebbene, leggendo Dietro l’uscio socchiuso, si resta piacevolmente attratti dal succedersi di autentiche rivelazioni che non sono esclusive della sola quotidianità del poeta. Il tutto non è, comunque, da considerare fine a se stesso.
Non a caso per la poetessa Wislawa Szymborska, idealmente d’accordo con Benedetto Croce, “ogni poesia deve costituire una sorpresa ed essa non nasce mai per tutti i giorni, ma solo per la festa, è frutto d’eccezionalità”. C’è coincidenza con Jorge Luis Borges, quando nel prologo alla sua Opera poetica scrive che “ogni poesia è misteriosa: nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere”. Allude al mistero anche Alda Merini:”Quando chiama l’angelo della poesia – sono sue parole – devi lasciare tutto”.
Con questo atteggiamento mirato a sostenere la poesia come genere, per far sì che, lo rileva giustamente Vittorio Coletti, ordinario di Storia della lingua italiana nell’Università di Genova, “non rischi di essere la letteratura degli autori, ma non dei lettori”,  vi esorto ad avvicinare l’itinerario poetico e umano tracciato nella esemplare silloge di Egidio Di Spigna, che ho cercato d’interpretare, cercando di mettere in pratica la condotta intellettuale di Tullio Kezich sceneggiatore, scrittore e stimatisimo critico cinematografico scomparso nel 2009, il quale dichiarava che “un critico è un buon critico se aiuta lo spettatore a capire il film (romanzo, poesia, dipinto, scultura, brano musicale, ecc.) meglio di quanto non potrebbe fare da solo. Se sbaglia i giudizi, non è necessariamente un cattivo critico. È un cattivo critico se non risveglia la curiosità”. Confido anch’io di essere riuscito, anche in piccola parte, a suscitare la vostra curiosità.


 Valerio P. Cremolini







giovedì 14 febbraio 2013

SALA CULTURALE CARGIA': SAN VALENTINO TRA FEDE E LEGGENDA - CENNI STORICI di Donatella Zanello



Ezia Di Capua - Acquerello - 


San Valentino è rappresentato nell’iconografia sia come vescovo che come sacerdote, a causa della confusione di identità; 
porta di volta in volta il pastorale o la palma del martirio ed è considerato il protettore degli amanti, degli epilettici, degli innamorati. 
Il nome Valentino dal latino significa “che sta bene, sano, forte”.
San Valentino visse nel III secolo in Italia, fu vescovo e martire, è considerato protettore degli innamorati fin dal Medioevo.
La ricorrenza è il 14 febbraio perché si credeva che in questa data gli uccelli cominciassero a nidificare. 
Nell’Alto Medioevo il culto di San Valentino si diffuse in Italia ed in Francia ma soprattutto 
in Germania, dove il culto ebbe grandissima risonanza e da dove deriva quasi esclusivamente l’iconografia del Santo.
Sembra che si possano riunire in una sola identità, comunque, i due Valentino ricordati dal Martirologio Romano il 14 Febbraio: 
un sacerdote ed un vescovo.
Il sacerdote romano fu decapitato nel 268 sotto l’imperatore Claudio il Gotico, perché aveva convertito al Cristianesimo il prefetto 
Asterio e tutta la sua famiglia, compiendo il miracolo della guarigione della figlia cieca. Fu sepolto lungo la Via Flaminia, dove 
Papa Giulio II costruì una basilica. Il vescovo Valentino invece fu decapitato nel 273  durante le persecuzioni di Aureliano.
 Era il vescovo di Terni e giunse a Roma su invito del filosofo Cratone che aveva saputo delle sue doti di taumaturgo.
 Ne guarì il figlio e convertì tutta la famiglia al cristianesimo. Per questo fu prima imprigionato, costretto a sacrificare agli idoli ed ucciso. 
Il corpo di San Valentino fu portato dai discepoli a Terni, sulla Via Flaminia.
 Reliquie del Santo sono presenti in molte città italiane e straniere. 
La coincidenza del luogo di sepoltura e la medesima vicenda connessa al martirio potrebbero identificare i due Valentino nello
 stesso martire.

Donatella Zanello

ICONOGRAFIA: Bartolomaus Zeitblom, “San Valentino guarisce un epilettico, 
San Valentino si rifiuta di adorare gli idoli”inizio del secolo XVI, Augusta, Staatsgalerie.
BIBLIOGRAFIA: Dizionari dell’Arte: “Santi” a cura di Rosa Giorgi, Ed. Electa.



lunedì 11 febbraio 2013

SALA CARGIA' PRESENTA IL LIBRO DI POESIE " LABIRINTI " di Donatella Zanello



Sala Culturale CarGià amplifica il progetto di Promozione Arte e Cultura 2013 riservando uno spazio alla presentazione di libri.
Ezia Di Capua

Carissima Ezia ti invio in sintesi il testo di "Labirinti", raccolta di poesie, 
Edizioni Cinque Terre 2013, in occasione della ricorrenza di San Valentino, 
festa degli innamorati. In questo testo la parola poetica è filo d'Arianna nel 
labirinto della vita. In queste pagine l'amore è il sentimento guida, "il primo 
mobile"che fa muovere il mondo. "Labirinti" è il percorso di una donna alla 
ricerca della felicità e della verità.La prima stesura di questo libro di 
poesie risale al 2004, con il titolo provvisorio "Una parte di infinito", 
pensato in origine come un vasto canzoniere di circa ottanta brevi poesie 
d'amore e modificato più volte fino all'attuale definitiva versione. La silloge 
inedita è stata premiata al "Città di Lerici" , nella sezione inediti del 
Premio LericiPea ed al Premio San Valentino di Terni, nel 2011 è stata 
presentata al castello di S.Terenzo con prefazione di Luigi Leonardi.
Donatella Zanello

RIFLESSIONE SUL MITO DEL LABIRINTO NELLE VARIE CULTURE ATTRAVERSO IL TEMPO di Donatella Zanello

         Nelle culture arcaiche ed in particolare in quella Egizia e Greco – Romana, l’archetipo del labirinto ricorre continuamente, quasi un tema portante che costituisce la base di ogni narrazione, elemento religioso, filosofico e storico di grande rilevanza. Il labirinto è l’immagine emblematica di un intricato percorso realizzato da chi voglia sconfiggere un mostro, il male stesso personificato, oppure
rappresenta il difficile viaggio del reduce che fa ritorno in patria (Odisseo) o del fuggiasco fondatore di un mondo nuovo (Enea).Anche la madre di tutte le guerre rappresentata nell’Iliade costituisce un vero e proprio labirinto di scontri e battaglie fino alla tragica conclusione dell’assedio.
         Il labirinto di Creta nel quale Teseo si avventura per uccidere il mostruoso Minotauro seguendo il filo di Arianna ha dei precedenti anche in civiltà molto lontane da quella cretese. Analogie sono presenti nel Cristianesimo, basti pensare alle catacombe di Roma, oppure nella civiltà etrusca (Necropoli, città sotterranee).
         Il labirinto rappresenta la lotta tra il bene ed il male, è simbolo del percorso della vita umana. Dopo l’anno Mille D.C. in Europa sorgono numerosissimi castelli, monasteri e cattedrali. Anche qui è facile ritrovare la tipologia del labirinto, così come labirintiche risultano le piante delle città medioevali con il loro dedalo di vicoli. La rilettura del mito prosegue nei secoli successivi nella realizzazione dei giardini rinascimentali e nel Settecento dei giardini neoclassici.
Anche le più moderne architetture, soprattutto museali ma anche abitative, riflettono continuamente questa tipologia.
          In letteratura il labirinto è un potente simbolo del viaggio dell’anima, senza dubbio utilizzato anche da Dante nella Divina Commedia, in particolare nella rappresentazione della discesa agli Inferi attraverso molteplici gironi ma anche nell’ascesa drammatica alla vetta del Purgatorio. Labirinti di andamento circolare, sferico, si ripetono nella terza cantica laddove anche i cieli risultano suddivisi in più cerchi concentrici. Si tenga presente che la sfera è un altro simbolo magico a cui il labirinto fa riferimento, infatti chi si perde all’interno del labirinto torna sui suoi passi descrivendo un percorso circolare. Un simbolismo potente che è possibile utilizzare in ambito filosofico, artistico e letterario, laddove il labirinto diviene, appunto, raffigurazione del percorso interiore dell’anima umana alla perenne ricerca della felicità che consiste nella sconfitta del male, felicità che è appunto assenza del dolore. Un’altra possibile interpretazione è quella del labirinto inteso come luogo di incessante ricerca della verità attraverso molteplici tappe ed ostacoli insidiosi che si frappongono, memorie culturali che forniscono indizi, ricordi ed esperienze che aiutano a proseguire il cammino nonostante le difficoltà che appaiono insormontabili.
      Esistono quotidiani labirinti della mente tanto che la vita stessa è definibile in quanto percorso come l’attraversamento di una serie di labirinti che conducono alla sconfitta delle paure e ad un progressivo aumento della conoscenza, da intendersi come saggezza o sapienza nel senso classico del termine. Va detto che ad esempio anche lo scrittore Umberto Eco nelle sue opere  (“Il nome della rosa”, “Il pendolo di Focault”) fa riferimento alla tipologia del personaggio protagonista che si perde all’interno di un labirinto di luoghi e di avvenimenti, dal quale non riesce più ad uscire, in un crescendo continuo di tensione.
        Senz’altro il tema del labirinto è a maggior ragione applicabile alla scrittura e non solo alla narrativa ma anche alla scrittura poetica. Esiste un vero e proprio labirinto della poesia ovvero la poesia stessa è un labirinto. Infatti la parola poetica è astratta, mutevole, ermetica ed enigmatica e per questo motivo imprigiona in un dedalo di incertezze e domande, rappresentando in modo efficace le pulsioni umane ed i grandi temi filosofici. Da qui il titolo di una silloge inedita che si configura come irrinunciabile momento di ricerca artistica e di compiutezza formale della parola. La versificazione è scabra, nettamente scandita quasi sempre in due gruppi di quartine, per dare maggiore risalto al contenuto. Si tratta di una riflessione concisa ed essenziale sulla condizione umana, attraverso un filo conduttore comune, il labirinto come elemento chiave di ogni percorso artistico ed umano.

                                                           Donatella Zanello

 LABIRINTI


Preferisco lasciarti
in questi giorni sospesi.
Non temo nulla ormai.
Percorro labirinti di vicoli dove


il tempo è viandante cieco.
E’ dietro le spalle il desiderio,
irraggiungibile, è un sogno
che il cielo rispecchia in mille fuochi.

  
  LABIRINTI - Prefazione di Luigi Leonardi

  In “Labirinti” molteplici sono i temi evocati da questo elemento mitico. Dal greco “labirinto” significa “ascia a due lame”. Era il simbolo del potere. In altre accezioni potrebbe essere il simbolo del disegno imperscrutabile di Dio o del fato. Riprendendo la leggenda di Dedalo e del figlio Icaro, che costruirono il labirinto di Cnosso e che ne restarono prigionieri, potremmo interpretare il labirinto come l’ordito, la trama della vita prodotta dall’uomo che alla fine resta intrappolato nelle sue stesse costruzioni, cioè passioni, desideri, ambizioni, progetti. E’ prigioniero di se stesso, questo è il messaggio. Il labirinto del passato si confonde e si interseca con le incertezze del presente, che si aprono ad un futuro sconosciuto e inquietante. Meglio un silenzio già consolidato ad un futuro buio, carico di presagi.”Una parte di infinito”. Metaforicamente il labirinto è  per questa poetessa il male interiore, una sorta di latente inquietudine foriera di dubbi e paure. Tanta simbologia si può trovare nel labirinto: una lotta, una ricerca forse anche senza fine, un viaggio, il viaggio della vita, il mistero.”Labirinti”.”Percorro labirinti di vicoli/dove il tempo è viandante cieco.”Nel labirinto si avverte la presenza forte della divinità, laddove la ricerca della felicità è la sconfitta del male o cessazione del male, secondo Epicuro, assenza del dolore, alle radici della filosofia greca. “Temporale estivo” è una poesia estremamente bella e significativa, essenziale per il tema della ricerca della felicità. E’ una sintesi perfetta della vita umana. “Nel cielo tragico sul mare”.L’atmosfera tragica ci riporta ai primordi della storia, ai classici greci, dicevo. La tragedia rappresenta la lotta umana contro gli elementi soverchianti.
 L’uomo sarà sempre schiacciato, per essere nato dovrà, alla fine, necessariamente, sacrificare la vita, tuttavia non rinuncerà alla lotta nella quale consisterà la sua ricerca, per arginare il dolore che non potrà annientare. In una delle varie interpretazioni di tragedia il termine veniva inteso come “canto per il sacrificio di un capro”, ovvero il sacrificio di un bene, la vita, del quale l’uomo sarà comunque privato. “Afferro la mia vita con le unghie”. L’anima è disposta al sacrificio per raggiungere quel centro del labirinto dove si trova l’assenza del dolore. “Vedo le cose che non esistono”: il male, seguendo un certo pensiero tomistico, è proprio ciò che non c’è, è la mancanza dell’Essere, è mancanza del bene. E sempre si annuncia la tempesta che incombe, è un momento di smarrimento e di sgomento per il poeta. La poesia potrà essere soluzione allo smarrimento? La poesia è parte della verità? La ricerca della verità è un altro tema che scaturisce da certi labirinti della mente o dell’anima. La verità: molti conflitti sono stati consumati in nome di questa parola, che a mio avviso ha il vuoto alle spalle. Cos’è Dov’è? Chi la possiede? Atheleia ovvero non nascondimento, eppure come potrebbero nascondersi i dubbi?Di fronte alla parola “Verità” si apre un labirinto di interrogativi.
 Nella poesia” La presenza di Dio” si evince che la verità secondo la poetessa consiste nel “credere”. E’ una verità relativa ma nella sua soggettività diventa un assoluto. Se non voler credere è dolore, allora la mancanza di verità allontana dalla felicità.
 Poiché credere è in ogni caso un atto di fede inderogabile .E resta il mistero, l’ultimo enigma dei labirinti psichici. Insolute domande, dubbi lancinanti, emozioni rincorse, rimorsi, rimpianti, gioie, dolori, innumerevoli riferimenti storici, spazio-temporali, letterari. Ciò che potrebbe essere stato, ciò che potrebbe accadere. E’ il continuo moltiplicarsi di rami, come in un intrico complicatissimo di vegetazione. Rami di labirinto che si sommano nel progressivo svilupparsi della vita. Misteri che incessantemente ci avviluppano, lasciandoci come assoluta certezza la nostra solitudine.(“L’ultimo enigma”). Infine l’amore, spirituale e materiale, avaro e distruttore, amore che determina come marionette ai suoi fili le esistenze,seduzione e vaneggiamento ebbro nella “notte bianca”.
Amore e sogno, che si manifesta all’interno del labirinto in incontri fatali, non casuali o causali, laddove il destino dell’uomo si dipana, appunto, tra casualità ed autodeterminazione o volontà, libero arbitrio, filo di Arianna ovvero strada per raggiungere la libertà, che è soprattutto assenza del dolore e coincide con la verità.
(“Miniere di sogni”,”Incertezza”, “Il rifugio dei sogni”, “Le glorie del millennio”,
“Il funambolo”, “Cascata”).”Non ti darò la mia solitudine, stasera”.

                                                                                                  
                                                                                     Luigi Leonardi

Luigi Leonardi risiede a Sarzana, è scrittore e studioso di storia locale .Tra le pubblicazioni, “Dentro lo Stige”, storia della Resistenza in Lunigiana. Recentissima, “Epurazioni”, edito da Mursia, 2011.

domenica 3 febbraio 2013

SALA CARGIA': IN RICORDO DI CARLA GALLERINI 100 PALLONCINI VOLANO IN CIELO E DANNO INIZIO AL CARNEVALE DEI BAMBINI DI SAN TERENZO




Ezia Di Capua
Acquerello - particolare
Un altro momento magico dedicato a Carla Gallerini, oggi a San Terenzo, che ha accolto sul lungomare il 52° Carnevale dei bambini, in una splendida giornata di sole.
L’evento, che per anni è stato curato da Carla Gallerini, nella costruzione dei carri allegorici e nell’organizzazione, tanto da essere proclamata Regina del Carnevale, dall’Amministrazione comunale di Lerici, ha avuto inizio oggi alle ore 14,30 con il lancio di 100 palloncini variopinti che si sono alzati veloci in cielo, sostenuti da un buon vento, dagli applausi e dai saluti dedicati a Lei, scanditi al microfono con voce dal forte timbro  che più volte ha ripetuto:  “ grazie Carla !!! ”

Il mio grazie a tutti coloro che hanno contribuito a realizzare questo momento del Carnevale dedicato a Carla, per me così bello, importante e commovente.

Maggiormente ringrazio i giornalisti dei quotidiani "La Nazione" e de " Il Secolo XIX " che hanno dato grande rilievo alla notizia  mettendo in evidenza nelle pagine dei rispettivi giornali l'operato e il nome dell'indimenticabile Carla Gallerini, Regina del Carnevale

Ezia Di Capua




IL CARNEVALE  IN POCHE RIGHE
I caratteri della celebrazione del Carnevale hanno origini in festività greche e romane. Durante le feste greche dionisiache e i saturnali si scioglievano temporaneamente gli obblighi sociali e ci si lasciava andare allo scherzo e alla dissolutezza. Il Carnevale, dal punto di vista storico e religioso, è un periodo di festa e di rinnovamento simbolico durante il quale il caos sostituiva l’ordine e terminata la festa, riemergeva nuovo e pronto ad affrontare un nuovo anno solare.
Nel mondo antico la festa in onore della dea egizia Iside, importata anche nell’impero romano prevede la presenza di maschere. I Romani rappresentavano la fine del vecchio anno con un uomo ricoperto da peli di capra , portato in processione e colpito da bacchette. Durante le antesterie passava il carro di colui che doveva ripristinare il cosmo.
In Babilonia, la lotta del dio salvatore Marduk con il drago Tiamat simboleggiava, poco dopo l’equinozio, l’origine del cosmo e durante la rappresentazione lo sfarzo di carri a forma di nave con ruote che trasportava i simboli del sole  e della luna era vissuto come propiziatorio di un rinnovamento morale.
Le cerimonie carnevalesche sono diffuse in tutti i popoli Indoeuropei ed hanno una valenza purificatoria e rigeneratrice.
Il carnevale si inquadra quindi in un ciclo di significato mitico e riconduce a una dimensione metafisica che riguarda l’uomo e il suo destino. Le maschere hanno spesso un significato apotropaico in quanto chi le indossa assume il significato dell’essere rappresentato.
I vari significati cosmologici del Carnevale erano presenti anche nel Samhain celtico.

Locandina Carnevale 2013
progetto grafico a cura di Dario M. Coppola

http://www.forniturenavalicoppola.com/


A Firenze, nel XV e XVI secolo, la famiglia de i Medici organizzavano i “Trionfi”, carri carnevaleschi con maschere e canti di cui Lorenzo il Magnifico fu maggior autore.
Nella Roma papalina si ricordano la “corsa dei barberi” e la “gara dei moccoletti”.
La parola carnevale deriva dal latino "carnem levare" ("eliminare la carne"), indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di carnevale (martedì grasso) subito prima del periodo di astinenza, la Quaresima.
L’uso del vocabolo “carnevale” è usato da giullari già nel XIII secolo e si ritrova in novelle  nel 1400.
Si rappresenta la fine del Carnevale con falò la domenica dopo le Ceneri.


Ezia Di Capua



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