Sala Culturale CarGià - Prom ozione Arte e Cultura 2014
Sezione Gemellaggio Artistico
MARE E CAMPAGNA
Sezione Gemellaggio Artistico
MARE E CAMPAGNA
FILATTIERA foto tratta dal libro L'HOSPITALE DI SAN JACOPO DI FILATTIERA |
San
Terenzo e Filattiera due territori che a tutta prima sembrano non avere niente
in comune. Ma non è proprio così.
Una
prima volta, nel settembre 2012, ho parlato di “idoli infranti”, di “stele
antropomorfe”, dell’oratorio di san Giorgio di Filattiera; l’anno scorso,
sempre in settembre, ho ricordato la figura importante di Angelo Trogu nel
racconto della madre. E con A.Trogu ora voglio ricordare Nino Gerini, - suo
compagno di lotta – penso abitante a Lerici, ma la famiglia di San Terenzo. E
dunque Glicerio Pagani di Filattiera, partigiano del battaglione Picelli,
caduto in combattimento e medaglia d’argento al valor militare. Ecco già un
punto in comune: Lotta di Liberazione, due paesi contro la barbarie, lo stesso sentimento
di Resistenza.
Trogu,
Gerini, Pagani.. martiri della nostra Repubblica.
Ma
non è solo questo ad accomunare questi due paesi. Certo San Terenzo è luogo di
mare, mentre Filattiera di campagna. Modi diversi quindi di affrontare il
territorio, diversi adattamenti. Ma gente che con la stessa umiltà, e per umiltà intendo l’essere legati alla
terra, – humus, e quindi che
comprende in sé la sua natura, forse il sentimento più nobile – ha inseguito il
medesimo intento. Con il medesimo sentimento ha affrontato le avversità della
natura, le vicissitudini della vita. Stesso sguardo, stesse membra, stesse
rughe.
E’
gente che ha camminato un destino non facile.. non penso che angeli siano scesi
dal cielo.. spesso doloroso e incerto, come camminare su un campo di grano
appena falciato a piedi nudi, respirando polvere e sudore, sanguinando per
quegli spuntoni di spighe, duri e taglienti: le tempeste e i naufragi nel mare,
o i cattivi raccolti e i parassiti dei campi. Quei resti di spighe aguzzi sono
anche il nostro presente; sono gli affanni, le inquietudini di un mondo
globalizzato che ci può rovinare addosso, che non ci offre scarpe da proteggere
i nostri piedi nudi. Mare e campagna restano a guardare l’umanità sull’orlo del
baratro, lì portata dai suoi paladini.
Donatella
Zanello con la sua poesia, Il colore del
mare, ci parla del nonno navigante, che prima, ancora adolescente, andava a
caccia di gamberi sul molo di Lerici; poi la nave divenne la sua casa, e tutta
la sua vita mise le radici nel mare.
Io
ho nella mia infanzia e prima adolescenza, la visione di chicchi di granturco
distesi al sole dopo averli liberati, la sera prima, dalle pannocchie. Si
scartocciavano dopo cena tra le chiacchiere degli adulti, sotto una luce fioca
come dell’ultimo crepuscolo: una palla con dentro una lampadina da 30 watt che
pendeva dal soffitto. Sentivo voci ovattate, risate e parole incomprensibili
nel mio desiderio di sonno.
Marco
Raiti dipinge, nel suo Palamiti per versi,
una baia incantata e un gregge di mansueti scafi che, come fedeli cani,
aspettavano il tempo per cavalcare liberi le marine praterie.
Io
vagheggio una cultura di vigneti sotto il campanile di Filattiera; terrazze,
che in dialetto si chiamano “madon”, di filari carichi d’uva nera e bianca,
grappoli appiccicaticci di succo per i quali, sono sincero, non ho mai goduto
la vendemmia.
Ma
Filattiera per me è un amore materno.. Una ridda di sensi svegli solo nella
memoria. Il profumo del prezzemolo e del basilico dall’orto di mia nonna;
l’afrore penetrante del letame, quello della stalla; e ancora il profumo, il
sapore di mattini freschi di rugiada luccicante su fili di ragnatele, mescolato
al sapone di Marsiglia. Ti ci lavavi e facevano il bucato, mentre si spandeva
dal gradile fragranza di patate arrosto rigorosamente cucinate con rametti di
rosmarino.
E’
un archivio di memorie contadine: di campi seminati, di orti dalle zucche
oblunghe, di solchi dove pali ritti come soldati in parata crescono fagioli
rampicanti; di scorte morte riposte nella cantina di mio nonno, dove un odore
umido di muffa ti investe fin sulla soglia.
E’
una raccolta, ormai polverosa, di ciliegi e fichi; ciliegie grosse e dure,
fichi buoni con il pane. Pane cresciuto nei testi di rame: una focaccia enorme
insaporita con foglie secche di castagno.
Sicuramente
è anche altro Filattiera, ma per me è così: pulita, pura, inossidabile nella
mia mente e nel mio stomaco. E’ campagna fertile, terra buona bagnata dal
Magra, anzi dalla Magra. Terra di mia madre che mi racconta della sua infanzia
senza giochi, pochi anni di scuola e fatiche nell’anima.
Filattiera
e San Terenzo, contadini e pescatori. Lavoro diverso, alieno dal profitto. Per
questo è lavoro. Lavoro diverso ma stesso sguardo, stesse membra, stesse rughe.
Stessa indispensabile umiltà. Importante, vitale, perché non è burocrazia, non
mondanità, non vanità. Contadini e pescatori.. significa cibo!
E’
bene che con l’arte.. la poesia, la pittura, si cerchi il connubio di queste
terre. L’arte che Ezia Di Capua sostiene in ogni sua espressività; arte che
deve comunicare, che ci scandaglia ed eleva, che ci dà merito o denuncia, che
offre alla nostra solitudine, al tedio, ai nostri quotidiani fastidi la
compagnia delle sue emozioni. Che, unica, ci consola fornendoci un paio di
scarpe, un bel paio di scarpe forti da camminare su quel campo di grano appena
falciato. Non più a piedi nudi.
Luigi Leonardi
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