giovedì 18 settembre 2014

GEMELLAGGIO ARTISTICO TRA SAN TERENZO E FILATTIERA: MARE E CAMPAGNA di Luigi Leonardi

Sala Culturale CarGià - Prom ozione Arte e Cultura 2014
Sezione Gemellaggio Artistico

MARE  E  CAMPAGNA

FILATTIERA
foto tratta dal libro
L'HOSPITALE DI SAN JACOPO
DI FILATTIERA
San Terenzo e Filattiera due territori che a tutta prima sembrano non avere niente in comune. Ma non è proprio così.
Una prima volta, nel settembre 2012, ho parlato di “idoli infranti”, di “stele antropomorfe”, dell’oratorio di san Giorgio di Filattiera; l’anno scorso, sempre in settembre, ho ricordato la figura importante di Angelo Trogu nel racconto della madre. E con A.Trogu ora voglio ricordare Nino Gerini, - suo compagno di lotta – penso abitante a Lerici, ma la famiglia di San Terenzo. E dunque Glicerio Pagani di Filattiera, partigiano del battaglione Picelli, caduto in combattimento e medaglia d’argento al valor militare. Ecco già un punto in comune: Lotta di Liberazione, due paesi contro la barbarie, lo stesso sentimento di Resistenza.
Trogu, Gerini, Pagani.. martiri della nostra Repubblica.
Ma non è solo questo ad accomunare questi due paesi. Certo San Terenzo è luogo di mare, mentre Filattiera di campagna. Modi diversi quindi di affrontare il territorio, diversi adattamenti. Ma gente che con la stessa umiltà, e per umiltà intendo l’essere legati alla terra, – humus, e quindi che comprende in sé la sua natura, forse il sentimento più nobile – ha inseguito il medesimo intento. Con il medesimo sentimento ha affrontato le avversità della natura, le vicissitudini della vita. Stesso sguardo, stesse membra, stesse rughe.
E’ gente che ha camminato un destino non facile.. non penso che angeli siano scesi dal cielo.. spesso doloroso e incerto, come camminare su un campo di grano appena falciato a piedi nudi, respirando polvere e sudore, sanguinando per quegli spuntoni di spighe, duri e taglienti: le tempeste e i naufragi nel mare, o i cattivi raccolti e i parassiti dei campi. Quei resti di spighe aguzzi sono anche il nostro presente; sono gli affanni, le inquietudini di un mondo globalizzato che ci può rovinare addosso, che non ci offre scarpe da proteggere i nostri piedi nudi. Mare e campagna restano a guardare l’umanità sull’orlo del baratro, lì portata dai suoi paladini.
Donatella Zanello con la sua poesia, Il colore del mare, ci parla del nonno navigante, che prima, ancora adolescente, andava a caccia di gamberi sul molo di Lerici; poi la nave divenne la sua casa, e tutta la sua vita mise le radici nel mare.
Io ho nella mia infanzia e prima adolescenza, la visione di chicchi di granturco distesi al sole dopo averli liberati, la sera prima, dalle pannocchie. Si scartocciavano dopo cena tra le chiacchiere degli adulti, sotto una luce fioca come dell’ultimo crepuscolo: una palla con dentro una lampadina da 30 watt che pendeva dal soffitto. Sentivo voci ovattate, risate e parole incomprensibili nel mio desiderio di sonno.
Marco Raiti dipinge, nel suo Palamiti per versi, una baia incantata e un gregge di mansueti scafi che, come fedeli cani, aspettavano il tempo per cavalcare liberi le marine praterie.
Io vagheggio una cultura di vigneti sotto il campanile di Filattiera; terrazze, che in dialetto si chiamano “madon”, di filari carichi d’uva nera e bianca, grappoli appiccicaticci di succo per i quali, sono sincero, non ho mai goduto la vendemmia.
Ma Filattiera per me è un amore materno.. Una ridda di sensi svegli solo nella memoria. Il profumo del prezzemolo e del basilico dall’orto di mia nonna; l’afrore penetrante del letame, quello della stalla; e ancora il profumo, il sapore di mattini freschi di rugiada luccicante su fili di ragnatele, mescolato al sapone di Marsiglia. Ti ci lavavi e facevano il bucato, mentre si spandeva dal gradile fragranza di patate arrosto rigorosamente cucinate con rametti di rosmarino.
E’ un archivio di memorie contadine: di campi seminati, di orti dalle zucche oblunghe, di solchi dove pali ritti come soldati in parata crescono fagioli rampicanti; di scorte morte riposte nella cantina di mio nonno, dove un odore umido di muffa ti investe fin sulla soglia.
E’ una raccolta, ormai polverosa, di ciliegi e fichi; ciliegie grosse e dure, fichi buoni con il pane. Pane cresciuto nei testi di rame: una focaccia enorme insaporita con foglie secche di castagno.
Sicuramente è anche altro Filattiera, ma per me è così: pulita, pura, inossidabile nella mia mente e nel mio stomaco. E’ campagna fertile, terra buona bagnata dal Magra, anzi dalla Magra. Terra di mia madre che mi racconta della sua infanzia senza giochi, pochi anni di scuola e fatiche nell’anima.
Filattiera e San Terenzo, contadini e pescatori. Lavoro diverso, alieno dal profitto. Per questo è lavoro. Lavoro diverso ma stesso sguardo, stesse membra, stesse rughe. Stessa indispensabile umiltà. Importante, vitale, perché non è burocrazia, non mondanità, non vanità. Contadini e pescatori.. significa cibo!
E’ bene che con l’arte.. la poesia, la pittura, si cerchi il connubio di queste terre. L’arte che Ezia Di Capua sostiene in ogni sua espressività; arte che deve comunicare, che ci scandaglia ed eleva, che ci dà merito o denuncia, che offre alla nostra solitudine, al tedio, ai nostri quotidiani fastidi la compagnia delle sue emozioni. Che, unica, ci consola fornendoci un paio di scarpe, un bel paio di scarpe forti da camminare su quel campo di grano appena falciato. Non più a piedi nudi.


                                                                                                             Luigi  Leonardi

La Spezia, 13 settembre 2014

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