Le prime esperienze pittoriche di Marco Poggi
avvengono nel campo del ritratto; è nella qualità di questi sguardi
principalmente femminili, capaci di proiettare oltre il quadro sfumature di un
duro e allo stesso tempo delicato erotismo, che si intravedono i germogli di un
percorso che si articolerà attraverso vari momenti e tematiche figurative.
Già da queste prime opere è infatti facile evincere
come il disegno sia cifra di partenza ed elemento chiave nella sua visione di
concepire il quadro; la tela espone la sua cruda superficie accogliendo il
colore, offrendosi quale campo dove quest'ultimo, attraverso il disegno, ne
contorna le sezioni, espletando così una dicotomica e paritetica contrapposizione
dei due elementi.
La chiarezza del disegno e la scelta figurativa non
sono però da cogliere come spia di una direzione intrapresa verso un approccio
ammiccante, verso una facilità che possa incontrare con maggiore semplicità i
favori e i gusti del pubblico; il disegno chiaro, marcato, distinto, è anzi
l'opposto, è il mezzo perché non si crei nessuna ambiguità della percezione,
nessuna possibilità di sfumato fraintendimento, nulla di impastato e confuso.
Infatti, questo distacco in controtendenza con un recipiente creativo che ha
attraversato tutto il precedente secolo ed è giunto a contrarsi nell'astrazione
e a riverberarsi in varie declinazioni ancora oggi efficacemente attuali, è
necessario proprio perché la ricerca di realismo, attraverso la volontà di una
chiara proposta figurativa, sia la più netta e distinguibile possibile. E
soprattutto lo sia di conseguenza la tematica così veicolata, una tematica che
risulti, come detto, tutt'altro che ammiccante, ma anzi, indigesta, scagliata
contro l'occhio dello spettatore borghese al fine di rimettere in discussione
la sua concezione morale, urtarlo, colpirlo allo stomaco, attraverso scorci di
amore saffico, incorniciato in dettagli di scandalosa sensualità, oppure con
inquiete inquadrature di luoghi desolati, abbandonati, corrotti.
Questi luoghi così scelti, o forse meglio
non-luoghi, angoli dove altrettanto dimenticati e inanimi giacciono corpi, sono
proprio quelli che la cultura borghese ha scartato, rifiutato, in quanto
contenitori di qualcosa di disturbante e inquieto, recipienti ancora saturi
dello scandalo di quei corpi ivi lasciati, obliati, e quindi pertanto
abbandonati per rifugiarsi nella sicurezza dei centri commerciali, delle
villette a schiera, di luoghi sicuri dove non possa penetrare nessuna entità
turbante, sconvolgentemente irrazionale, proprio come quelle aleggianti in
questi quadri.
Questo distacco è caratterizzato anche dal
frequente uso di soggetti la cui carica simbolica si è ormai esaurita, feti,
forbici, oggetti presi in prestito da un immaginario grottesco e da esso stesso
ormai usati e consumati fino all'inverosimile tanto da essere ormai divenuti
banali; scevri ormai di ogni valenza, Poggi li recupera restituendogli nuova
centralità, non più avvicinandoli a quella loro simbologia ormai perduta, ma
rivitalizzandoli in quanto elementi provocatori ritorti proprio verso quel
sistema comunicativo che li ha sgonfiati e abusati.
Analogamente questa dimensione simbolica,
affiancata ad una sorta di ricerca del macabro, è certo
reperibile anche nell'uso degli insetti, come la
cavalletta, e soprattutto il ragno e il millepiedi, veicoli di un alfabeto
allegorico agito all'interno di una dimensione che raccoglie gli aspetti
interiori della natura umana: troviamo così in questi quadri, visivamente e
simbolicamente esplicitati, l'ipocrisia delle parole che strisciano fuori da
una sinuosa bocca oppure la ragnatela che, come il dolore soffoca ogni
genuinità dei sentimenti, rinchiude un inerme cuore offuscandolo e
confondendolo fra i suoi scuri fili.
Matteo Boriassi
Matteo
Boriassi (La Spezia, 1980) si laurea
nel 2013 presso l'Università degli studi di Parma in Beni artistici, teatrali,
cinematografici e dei nuovi media, con tesi dal titolo Interpretando
Porcile: Pasolini e la figurazione del maiale (dalla scena allo schermo).
Improntando il suo percorso nel considerare il mondo dell'arte e della cultura
in tutte le sue declinazioni e sfumature, (dalle arti figurative, alla musica,
allo spettacolo) comincia la sua formazione teatrale nel 2001 con il regista
Toni Garbini ed il gruppo Teatro Ocra. Dal 2003 inizia un iter professionale
con la compagnia sarzanese in qualità di attore, affiancando collaborazioni
alla pedagogia teatrale, e arrivando, nel 2005, a partecipare alle
semifinali del Premio Scenario e del Premio Dante Cappelletti.
Nessun commento:
Posta un commento