Venerdì 16 novembre u.s. il critico d’arte Valerio P.Cremolini ha svolto nella sede dello Studio 18 di via Dialma Ruggiero (La Spezia ) una conferenza dal titolo “Il tempo delle Avanguardie”, sostando lungamente sui principali capitoli che hanno interessato la ricerca artistica del Novecento.
Nella parte conclusiva del suo intervento il relatore ha evidenziato, riprendendo l’apprezzata conferenza sul tema “I portatori del tempo”, svolta a Sarzana da Achille Bonito Oliva nell’edizione del 2010 del Festival della Mente, la concezione del tempo nei più affermati linguaggi del secolo scorso.
Proponiamo, per concessione di Valerio P.Cremolini, il suo contributo già pubblicato sulla rivista Le Voci-Quaderni di Adea La Spezia , n.13-14, 2011.
L’arte contemporanea tramite influenti maître à penser è spesso protagonista al Festival della Mente. Germano Celant, senior curator del Guggenheim Museum of Modern Art di New York, nel 2005 parlò su Il museo globale esponendo considerazioni realistiche sulla gestione e sulla promozione dei musei, per i quali oggi, diversamente dal passato, s’impone l’ampliamento dei propri ambiti territoriali. Non a caso la Fondazione Solomon R. Guggenheim, oltre al citato centro statunitense, gestisce la Collezione Peggy Guggenheim a Venezia, il Guggenheim Museum di Bilbao e il Deutsche Guggenheim a Berlino, ospitato nel palazzo dell’omonima banca tedesca.
È opinione di Celant che “i musei fissi, legati a un luogo, saranno destinati a incontrare grossi problemi se non sapranno cambiare strategie nella nuova realtà globalizzata”.
Francesco Bonami, anch’egli personalità di spessore internazionale, nel 2009 sviluppò nella conferenza curiosamente intitolata Dal panettone al Partendone. Storia dell’arte all’incontrario un’ampia riflessione comparando dipinti di ieri e di oggi, quasi sempre molto distanti tra di loro, ma uniti dall’essere tutti inequivocabilmente considerati contemporanei.
Non differentemente da Celant e Bonami l’audience si è mantenuta su livelli elevati anche per la conferenza I portatori del tempo svolta da Achille Bonito Oliva, docente di Arte Contemporanea all’Università la Sapienza di Roma, autore di numerose pubblicazioni, curatore di mostre di successo e teorizzatore nei primi anni Ottanta della Transavanguardia, movimento che vanta con i suoi esponenti (Sandro Chia, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Nicola De Maria, Mimmo Paladino) diffusa popolarità. L’attributo di creativo è quanto mai pertinente allo studioso campano, che fin dalla sua partecipazione agli eventi del Gruppo ’63 ha ininterrottamente associato la spinta innovativa al proprio impegno culturale.
Percorrendo nella sua lezione l’esteso cammino dell’arte, soffermandosi con puntuali osservazioni sulle avanguardie storiche del Novecento, sostenendo con convinzione che l’arte italiana sin dal Quattrocento è autenticamente sperimentale e concettuale, Bonito Oliva ha argutamente esordito affermando che al pari del Bolero di Ravel “il tempo non finisce mai di finire”.
I linguaggi dell’arte, infatti, interagiscono senza soluzione di continuità con il tempo ed esso “diventa il frullatore ossessivo di ogni specialità linguistica, della separazione dei linguaggi, delle differenze tra cultura umanistica e scientifica, della distanza culturale tra Oriente e Occidente”.
Capace di una comunicativa colloquiale e immediata dal ritmo gradevolmente didattico, il relatore ha puntualmente ricordato le prevalenti problematiche relative all’importanza dello spazio, soppiantato dalla predominante del tempo. La ricerca della terza dimensione, infatti, è già negli intendimenti di Giotto, che persegue di bucare la superficie bidimensionale per conquistare la prospettiva, definita da Bonito Oliva “messa in scena dello spazio secondo i principi della geometria euclidea (armonia, simmetria, proporzione) dove l’uomo rinascimentale, portatore di ragione, è collocato al centro dell’universo”. È la visione antropocentrica della filosofia aristotelica, che sarà scavalcata da quella neoplatonica, per cui l’arte rappresenta il mondo delle idee e l’artista da semplice artigiano diventa l’artefice di un prodotto materiale e mentale, pur rimanendo condizionato dai “capricci” della committenza.
Bonito Oliva ha avvalorato il suo limpido ragionamento formulando i principali avvenimenti che hanno motivato tale sviluppo, tra i quali la scoperta dell’America, per cui gli intellettuali prendono atto dell’esistenza di un territorio che va ben oltre il perimetro dell’Europa; il realismo politico di Machiavelli che condanna fortemente le finte idealità; la visione scientifica del mondo con la mutata considerazione della relazione fra il sole e la terra; il “Sacco di Roma” e le conseguenze sulla cristianità; la Riforma e la risposta della Chiesa cattolica con la Controriforma ; il pensiero di Marsilio Ficino, che considera l’ansietas struttura dell’animo umano. Il tutto alimenta il campo della soggettività, che, in particolare, nel Barocco persegue l’elaborazione di shock estetici, per cui la meraviglia, esemplare è lo straordinario abbraccio ecumenico realizzato da Bernini per la chiesa di San Pietro a Roma, produce consenso richiamando moltitudini di persone.
Non è sostenuto, viceversa, dal principio di creazione, bensì esclusivamente da quello della citazione, il tempo del Manierismo, dove il passato con le certezze del Rinascimento è utilizzato per Bonito Oliva come una corazza stilistica per ripararsi da un presente minaccioso e da un mondo precario. Stimolante è stato il preciso richiamo del critico al dipinto di Hans Holbein il Giovane I due ambasciatori, nel quale attraverso l’anamorfosi, con l’immagine tridimensionale di un teschio, si certifica il principio della lateralità della visione, indebolendo la visione frontale. Con la corrente pittorica italiana del XVI secolo, che attesta insicurezza tributando importanza all’arte dei tempi precedenti, inizia per Bonito Oliva l’arte contemporanea, caratterizzata dalla centralità del tempo.
In seguito, il progresso tecnologico con l’avvento della macchina in grado di soddisfare bisogni materiali, offrirà nuove motivazioni agli artisti ed anche l’Impressionismo con la sua visione idilliaca e lirica della natura esprimerà un atteggiamento fiducioso.
L’accelerazione e la sperimentazione sono tipiche del XX secolo. Pittura, scultura e architettura si dovranno presto confrontare con la fotografia, che oltre a riprodurre la realtà, sostiene Bonito Oliva, “democratizza lo sguardo stigmatizzando il mito dell’unicità”. Dopo l’istantanea fotografica l’avvento del cinema affermerà attraverso la sequenza delle immagini il tempo reale.
Accurata sintesi e chiarezza espositiva hanno accompagnato la disamina del relatore sulle diverse concezioni del tempo nei linguaggi dei principali movimenti artistici del Novecento, parti di un “menù di soluzioni elaborate dalle avanguardie”.
Bonito Oliva ha citato, a proposito, il “tempo euforico” del Futurismo, accennando al tema della macchina, della velocità, dell’estetizzazione della politica, della moda, della cucina, del teatro, ecc.; il “tempo del banale” e gli aspetti della quotidianità celebrati dal Dadaismo con lo spiazzamento derivante dai ready made di Marcel Duchamp; il “tempo interiore” e la visione onirica del Surrealismo; il “tempo bloccato” della Metafisica con la rappresentazione dell’invisibile e attraverso Giorgio De Chirico l’affermazione del mito; il “tempo accelerato” della scomposizione analitica e sintetica del Cubismo di Picasso; il “tempo modulato” dalla progettualità e dall’idea di futuro del Costruttivismo; la scuola del Bauhaus, che con Gropius, Kandinsky, Itten, ecc. svolge attività creativa anche al servizio dei bisogni quotidiani; il superamento della staticità della figura dominante nell’Astrattismo, che svela assonanze fra immagine e musica, protagonista quest’ultima delle esperienze del gruppo Fluxus, attraversato dalla contaminazione linguistica e contraddistinto da situazioni paradossali. Tale è la performance di John Cage quando dirige un concerto per pianoforte senza mai muovere un tasto, teorizzando il ruolo del silenzio nello spazio del suono.
Il tempo s’insinua anche nella Pop Art, diventando ripetizione, come si evince, ad esempio, in Sleep, video del 1963 di Andy Warhol, che per oltre cinque ore filma un uomo che dorme, analogamente a Empire State Building (1964), nel quale un’inquadratura fissa riprende dalla sera alla mattina, per ben otto ore, il celebre grattacielo di New York. Il tempo è ripetizione e il tempo del cinema contrasta con quello della realtà.
Fin qui, secondo il relatore, si è censito un “tempo orizzontale”, che incapace di svolgere una qualsiasi trama finisce inevitabilmente nell’entropia e nella morte, confermando l’assunto per cui “noi siamo nati già morti”, anche se l’esistenza della natura con le quattro stagioni è allusiva di un tempo evolutivo.
Diversamente è il tempo evocato dall’artista Gino De Dominicis, che insegue l’immortalità del corpo, mostrata alla XXXVI Biennale di Venezia del 1972 con la polemica esposizione (tempo istantaneo) di un giovane affetto dalla sindrome di Down. L’artista, allora, mancando la conquista dell’immortalità, dichiara Bonito Oliva, “è da ritenersi un errore biologico in quanto egli muore, mentre l’opera gli sopravvive” e “l’arte, pertanto, non è una soluzione, ma una domanda sul mondo, è un punto interrogativo”.
Dopo aver citato Duchamp, sulla cui tomba il geniale artista francese ha fatto scrivere che “sono sempre gli altri che muoiono”, sancendo sia la differenza fra l’opera, cioè la sentenza scolpita sulla lapide e chi la legge, sia la tangibile percezione che si avverte visitando i cimiteri, Bonito Oliva ha concluso l’apprezzata conferenza con l’apologo La porta dell’attimo.
Valerio P Cremolini
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