La scrittura di Ezia scorre come ruscello evocativo, silenzioso.
In questa agile biografia, cara memoria materna, si leggono le emozionanti pagine dell’autrice, figlia affettuosa e riflessiva, che fissa la figura fisica e morale della madre. È un affresco interessante e riverberante, quando si recupera un passato, messo sotto gli occhi del pubblico, in cui personaggio
e territorio – Carla Gallerini e San Terenzo – sembrano essere vita insieme, comunione di sensi e di cuore.
Una vita donata dunque.
Carla ha lasciato un eco nel cuore di San Terenzo, nella stessa Liguria, in quelli che l’hanno conosciuta e amata, nei quali è scesa la solitudine della sua morte, 7 luglio 2010. Santerenzina di nascita, 30 giugno 1935, fanciullezza e adolescenza sono rapide al suo passo lanciato e ambizioso; ma poi la natura del cielo e del mare, la luce dei giorni e le metamorfosi del tempo, bello e meno bello, mutevole, traboccante di doni e languori, fanno da guida alla sua vita ardente e singolare, inimitabile.
Nella lettura di questi “momenti di grazia”, fluiscono realtà e immaginazione, problemi esistenziali e recupero dei sogni, vie e vicoli di città di mare, affetti familiari, nascite e proiezioni di nuove vite, il ricamo umile e prodigioso per cui è passata la madre. I sentimenti, l’amore, il fidanzamento, la famiglia, la tenerezza verso il marito e la figlia si evolvono come fiori nella sua esistenza, ventaglio di valori, richiamo a modelli di relazioni radicati nel moderno a misura che si aprano alle tradizioni degli avi. La madre viene osservata nella sua evoluzione.
L’autrice dice testualmente: “Dono prezioso questa alchimia grammaticale, che ha reso possibile la mia fuga dal presente per tessere un soprannaturale e intimo colloquio con mia madre così da sentirla ancora vicina nell’anima, e col cuore parlarle”. L’intento è rispettato dall’inizio alla fine del libro-diario, in cui si riflette insieme al naturale amore verso la madre, anche una mirabile costanza di raccontare come se le parole le venissero misteriosamente dall’anima suggerite, non ricorrendo a sfumature di pensiero né a locuzioni studiate. Qui verrebbero in armonia, magari con felice contrasto, i nomi di scrittori nostri:Marino Moretti, Grazia Deledda, Carlo Cassola, lo stesso Antonio Fogazzaro.
Lo stile di Ezia è lineare, controllato e pure spontaneo, talora idilliaco, perchè riecheggia istanti di vita vissuta accanto alle cose e oggetti dei giorni; e se volessimo meglio definire tale scrittura, ricorriamo alla forma della paratassi.
Credo che il racconto di questa biografia materna divenga incisivo nell’animo del lettore man mano che Ezia espone le situazioni della madre, nella quale emergono scultoree alcune virtù femminili: la cura di sé, il culto della persona, la sensazione di sentirsi bella oltre che esserlo, e quindi l’attenzione al marito e alla famiglia. Non raramente il ricorso alla forma diretta della narrazione mesce verità e fatti insieme alle riflessioni dettate dal sentimento. Ed è qui che si toccano altezze di pura poesia,
e penso che tali momenti non si rincorrano, crescono nelle sfumature, in cui l’anima attinge una dimensione mistica, armoniosa, naturale e spontanea.
Carla cresce nella esperienza degli altri Il fatto di prestarsi come infermiera a domicilio è una delle forme di impegno, in cui anche la politica rientra non come professione ma apertura democratica, di solidarietà, di partecipazione umana e civile. La sua vicinanza a chi aveva bisogno appartiene alle svolte piene di significato culturale, economico e sociale. Carla è ricordata come la “passionaria”.
Ha una presa diretta con le istanze del borgo natio, da cui trae ispirazione nei problemi e attese provinciali e regionali. La presenza nella cultura la spinge a conoscere i problemi estetici e i contenuti della società, la sollecita anche a prendere parte attiva alle organizzazioni culturali. L’APAC di via E.Ferro aggiunge all’esperienza di Carla, presidente del sodalizio, l’interesse all’arte. Alla famiglia, alla figlia desta l’amore alle forme artistiche, di estrazione classica, e alle avanguardie. Ezia medesima, in questa storia, reca l’alloro dell’arte - anche lei creativa nel rapporto con la natura e con l’arte. Ma prima, forse parecchi anni prima, Carla aveva svolto il lavoro nell’ufficio telefonico e turistico, venendo a contatto con problematiche sociali scomode ed forse ambigue. La solare Carla reca anche in questi ambienti la trasparenza, la chiarezza, il calore umano, la “civiltà” del cuore che intuisce. Per un ventennio quasi è vicepresidente dell’MCL e in giuria ha modo di selezionare le fotografie destinate a concorso.
Carla autorevole e autoritaria. Verso la figlia ha un carisma affascinante, che chiede e ottiene subito: è tenerissima e giocherellona, ma spesso, commenta Ezia, “durissima”: “Trincerata oltre ogni ragionevolezza, qualunque fosse stata la sua decisione, non ammetteva nessuna via di mezzo: o bianco o nero”.
Questo carattere rigido pesa – lei ne è cosciente – forse sta in questo se la concordia coniugale a un certo momento cede, fino a scomparire. È un particolare che se riflette la forza morale di Carla, è anche un segno chiaro di malessere. Da quel momento, Carla è un’ altra, o sembra. A prescindere da questo limite, voglio far notare come i paragrafi scorrono limpidi, intensi di lirica complicità tra Carla ed Ezia. “Mi vogliono tutti bene”
La narrazione si avvolge attorno a un filo d’oro, da questo momento, che segna la seconda parte: è vero, gli amici ci fanno dire tutto il bene che è la vita; ma chi non sa che la gente è mutevole, e spesso vive di pregiudizi e di chiusure mentali al posto dei civili rapporti e dei giudizi secondo verità. Ezia distriga una serie di problemi della madre. A parte lo speciale rapporto con il fratello Giacomo, ci sono
la collaborazione e l’intesa (politica) con Emanuele Fresco, attuale sindaco di Lerici, la Chiesa, l’arte (grafica e pittura), il canto, il mare reale e quello sognato, il Floridos 2°, il cielo alto e quello alla giornata; e tutto questo è per lei motivo di riflessione e di aperture. Se il garage di Carla soffocava per la mancanza di spazio, nei cieli aperti della sera la madre trovava il suo infinito, una dolcezza struggente. Ed è assai naturale per la narrazione di questa “misura d’amore” il fatto che le cose raccontate siano una specie di diario, cioè esposte ed evocate senza ricostruzione o esibita razionalità dell’ordine.
Ezia evita volentieri la letteratura, la perfezione cercata con ossessione, il dettaglio carico di cose e di oggetti, di manie e di vezzi, perfino evita di mettere alla ribalta i limiti e i difetti di Carla. Certo, se avesse dovuto sentire gli umori di casa e dei parenti, lei stessa dubita se la stretta tra orgoglio e pregiudizio avesse donato utile chiarimento.
L’onda dei ricordi di Ezia ha creato questo affresco d’amore alla madre; lei dice: “Ho scritto «ricordare» ed ecco spiegarsi lentamente questo mio navigare tra i ricordi. Queste peregrinazioni interiori svelano esse stesse il perché del mio narrare...
Vorrei scrivere quel tanto affinchè altri non dimentichino semplicemente, come avrebbe voluto mamma”. Il resto è tutto da trascurare, come fossero “nugae” di non senso.
C’è del valore in questa storia di Carla in memoriam, espressa con le parole del cuore e del sentimento, senza ricercatezze, con lo stile semplice e scorrevole della pura liricità, in cui vogliamo collocare a chiusura il finale della narrazione di Ezia: “Colma di una profonda solitudine che mi scava il cuore, ancora oggi come ieri, e sicuramente ancora domani, nel tentativo di sentire dentro me, la bellezza dell’eco delle tue parole, mi costringo a scrivere per ridarti voce”.
Prof. Giuseppe Luigi CoLuccia
Postfazione de “ La Misura dell’Amore” di Ezia Di Capua
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