Nel segno figurativo di Sergio Scantamburlo
Quando penso alla creatività proteiforme e debordante di Sergio Scantamburlo non posso non pensare a quello che Konrad Fiedler dice dell'artista figurativo. Secondo il filosofo tedesco il processo della creazione è un moto interiore che non si arresta mai e l'artista visivo crea incessantemente, trascinato a mettere in figura il mondo da una forza che coinvolge tutto il processo della sua vita. L'artista sottostà a una continua tensione a restituire le sensazioni e le percezioni del mondo attraverso forme, segni carichi di senso, racconti dell'occhio che hanno al centro l'uomo e la sua complessità. Questo processo della creazione non solo è sprone continuo, ma la sua durata, se non ci fosse di mezzo la finitezza biologica dell'artista, sarebbe infinita, sarebbe una condizione vicino all'immortalità. Le opere, dice Fiedler, non sono che frammenti affioranti, schegge emerse alla luce, parti più piccole di un'immensa profondità di movimenti abissali, nella quale la materia si agita senza requie. Tutto questo per dire come la quotidianità di Sergio Scantamburlo sia costantemente invasa dalla ricerca figurativa, senza mai subire battute di arresto, senza dispersione, senza cadute nella banalità. Non c'è disegno, volto o coppie di figure che non traducano questo vasto mare di simboli che brulicano nella sua interiorità. Il caso di Sergio è quello di un uomo che non può allontarsi di un'unghia dal suo fare creativo. Le sue immagini lo visitano senza sosta e trovano traduzione grafica in uno stile che si riassume tutto nell'inconfondibile segno figurativo, fatto di linee sottili e musicali; linee che costruiscono un microcosmo di figure e di spazi che mantengono, o trattengono, solo un barlume del referente reale, ossia del modello esteriore da cui scaturiscono. La lente figurativa di Sergio non è mai pedissequamente mimetica; il suo scavo nella figurazione non cerca ancoraggi con la verosimiglianza, non indugia sulla restituzione del dato di realtà, del cosidetto vero naturale. Al contrario: il suo gesto artistico è un'interpretazione costante e continua della realtà secondo forme che nascono dal di dentro, plasmate dal segno di una vena a tratti fiabesca e visionaria, certamente dionisiaca e gioiosa. Non ci sono coni d'ombra o ali di malinconia che sfiorano e intossicano le visioni di Sergio. Ogni volto, ogni profilo, ogni gruppo di persone sono le sciolte strofe visive di un poeta della gioia di vivere. Il centro propulsivo di tutto il processo creativo di Sergio è il disegno. È da questo mezzo, così vicino ai moti del pensiero (Boschini, nel Seicento, lo chiamava “l'abito intellettivo della pittura”), che prendono corpo le sterminate figure del suo immaginario: uomini con baffi, barbe corte e lunghe, nasi gibbosi e acuti, profili a strapiombo con menti aguzzi; scanzonati avventori di piazze e di osterie, o animali da famiglia; oppure è l'umanità femminile, la grazia dei tondi perfetti di un viso di donna con capellino o cuffia o turbante, o quella del corpo dinoccolato di un bambino che sorride. Sono personaggi che ci vengono incontro singolarmente, un foglio riempito dalla morfologia di un unico volto, risolto nei tratti corsivi di un segno sapiente che coglie l'unicum di un'espressione, di una smorfia, di una maschera caratteriale. Ma sono anche parte di una folla, di un gruppo sociale, di un nido familiare e sono, questi, i disegni affollati, corali, dove un muro di corpi, o talora di visi, ci osservano con ironia, con svagata felicità. Ed anche quando il colore interviene, come nelle famiglie in un interno, la forza del disegno non viene mai meno e quei ritratti di gruppo si fissano nei nostri occhi con una memorabile potenza visiva. Il campionario di umanità di Sergio ci accompagna come il caldo del cappotto d'inverno. Persino i profili dei luoghi, degli spazi, dei paesi, sono come simboli di feste accoglienti. Quelle che pervadono le sue tele sono sempre pacate atmosfere d'idillio, scenari di serena compostezza dove il peso del vivere è come dissolto, bandito in un abisso che non trova asilo sotto la luce satura delle cromie del pittore. Molti, seguendo questo segno multiforme, potranno pensare a modelli del passato, ad esempio alle “tetes d'expression” che hanno rimpito la cultura figurativa della modernità (pensiamo solo, per la Francia, a Daumier, certo un referente stilistico di Sergio, assieme ai caposaldi di Cézanne e Van Gogh), con studi di volti e di busti nei quali, con tratti compositivi di una semplicità estrema, l'artista riesce a cogliere e trasmettere il dettaglio psicologico di ciascun soggetto. Ma in Sergio il segno non sborda in caricatura. Esso mette a nudo, con la potenza della fantasia, il lato migliore dell'umanità.
Davide Pugnana
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